Carlo Magno Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Mon, 15 Jan 2024 15:48:45 +0000 it-IT hourly 1 Fare le cose alla carlona: cosa vuol dire e perché si dice? https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/ https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/#comments Mon, 15 Jan 2024 14:36:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9310 Con il detto fare le cose alla carlona, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.

Le origini del detto

L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone.

Egli viene rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che ama indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.

Carlo Magno - fare le cose alla carlona
Carlo Magno : il modo di dire “fare le cose alla carlona” deriva dal suo nome

Lo stile dell’Imperatore

Si racconta che anche quando l’Imperatore Carlo Magno doveva essere ritratto, indossava sempre vestiti non alla portata del suo rango, usando uno stile non consono ad un Imperatore, bensì uno stile più vicino a quello di un plebeo.

Leggenda: la battuta di caccia

La leggenda narra che ad una battuta di caccia, l’Imperatore Carlo Magno, si presentò tra lo stupore generale dei partecipanti, che indossavano per l’occasione abiti da caccia e sfarzosi, con un abito dimesso, fatto di ruvida stoffa indossata solitamente dai contadini.

L’Imperatore, accortosi dello stupore dei presenti, disse a quel punto che il suo abbigliamento un po’ rozzo non era casuale, serviva alla bisogna.

Di lì a poco, si scatenò un violento temporale e Carlo Magno fu l’unico a passare indenne alla tempesta. Gli eleganti cacciatori si inzupparono, rovinando i loro abiti preziosi, ridotti alla fine in un pessimo stato.

A questo punto l’Imperatore fece notare ai partecipanti alla battuta di caccia, di essere totalmente asciutto grazie ai suoi abiti umili e di stoffa grezza.

Da quel giorno in poi, si cominciò ad usare il modo di dire: essere vestiti alla carlona.

Il significato oggi

Il termine indica inoltre altri concetti simili:

  • fare le cose in modo veloce, sbrigativo e alla meno peggio possibile;
  • fare qualcosa senza curarne i dettagli;
  • essere una persona alla buona (“quello è un tipo alla carlona”)

Ed infine può significare anche essere troppo ingenui.

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Chanson de Roland: riassunto, storia e analisi https://cultura.biografieonline.it/chanson-de-roland/ https://cultura.biografieonline.it/chanson-de-roland/#comments Tue, 22 Nov 2022 07:49:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16516 Il filologo tedesco Auerbach definì la Canzone di Orlando (Chanson de Roland) come ‘‘il monumento letterario più popolare del Medioevo francese’’. Quest’opera illustre ricopre il posto d’onore tra le Chansons de geste nell’ampio panorama letterario medievale, racchiudendo in se la complessità e la bellezza di un mondo dalle connotazioni fiabesche e dagli ideali tipicamente cortesi.

Chanson de Roland
Dettaglio del bassorilievo presente nella cattedrale di Angouleme, raffigurante una scena della Chanson de Roland – Alcuni critici indicano l’autore della “Chanson de Roland” nel monaco e scrittore francese Turoldo. Turoldo viene nominato unicamente nell’ultimo verso del poema cavalleresco e solo nella versione del manoscritto di Oxford: «Ci falt la geste que Turoldus declinet» (La gesta scritta qui da Turoldo ha fine).

Chanson de Roland: un poema incerto

Sono molte le incertezze legate alla storia di questo antico poema: non si hanno indicazioni molto incoraggianti su chi potesse essere l’autore.

Tale circostanza convaliderebbe la principale teoria: quella che indica la Chanson de Roland come il frutto dell’assemblaggio di varie leggende e cantilene epiche. Tutte queste storie si rifarebbero alla vicenda della morte di Orlando nella Battaglia di Roncisvalle. Pertanto la Canzone di Orlando non va considerata come un’opera pensata e concepita da un unico autore.

La Chanson de Roland si diffonde nell’antico regno Normanno a partire dal XII secolo; in più di 4.000 decasillabi, in lasse assonanzate, narra le vicende del conte Orlando e degli undici paladini di Francia nella battaglia, guidata da Carlo Magno, contro i Mussulmani.

Carlo Magno contro gli infedeli

Leggendo il testo si può ben comprendere quanto questo poema sia da considerarsi una valida guida alla comprensione di un periodo storico controverso e spesso erroneamente declassato.

Dallo studio dell’opera emergono immediatamente i tratti distintivi dell’organizzazione verticistica tipicamente feudale: in cima spicca la figura dell’imperatore, per quale i vassalli combattono guerre nella quale non è ben definito il confine tra l’ideale di conquista e la salvaguardia dei valori religiosi.

Tutta l’opera è permeata di una cristianità al limite del fanatismo religioso, faziosità che ben volentieri si mescola con gli estremi della fedeltà cavalleresca.

Orlando e Gesù

Vale la pena di ricordare le analogie individuate da Cesare Segre tra il paladino Orlando e il salvatore dell’umanità Gesù Cristo, affinità che portando alla luce quella forte conformità del poema ai poemetti agiografici.

Canzone di Orlando
Battaglia di Roncisvalle: la morte di Orlando è raffigurata in una miniatura risalente alle metà del XV secolo (l’autore è Jean Fouquet)

Da questo punto di vista la vita del primo paladino di Francia è simile alla vita di Cristo ‘‘E se ne ha conferma clamorosa alla morte di Orlando, quando due arcangeli e un cherubino accorrono a raccogliere la sua anima per portala in Paradiso’’.

Il tema religioso è strettamente connesso al motivo del “meraviglioso” che, in un’ottica del tutto cristiana e devota a Dio, si oppone e si sostituisce agli interventi soprannaturali che costellano la produzione letteraria classica e quindi pagana.

L’oggettività dell’azione divina che risponde esternamente, come il narratore nei confronti del lettore, alle richieste umane, secondo un disegno che non può essere contestato in quanto giusto e assoluto, è un segno peculiare dell’epos, in cui le azioni e i fatti vengono osservati da una prospettiva alta e distaccata che non ammette incertezze e che rappresenta l’indiscutibile verità.

Da qui deriva la netta separazione tra i “buoni” ( i cristiani ) e i cattivi ( i musulmani), tra i paladini di Dio e i traditori della Fede.

Chanson de Roland: analisi dell’opera

Lo stile manifesta chiaramente le finalità e l’ideologia degne di un capolavoro di questa portata.

Come ricorda Auerbach:

Tutto è fissato e stabilito, bianco e nero, bene e male, e non richiede più indagine o motivazione’’. Tale inalterabilità deriva dal forte vigore paratattico che convince il lettore che nulla potrebbe svolgersi in modo diverso e che ‘‘ciò si riferisce non solo agli avvenimenti ma anche ai principi che ispirano i personaggi nel proprio agire. La volontà cavalleresca di lotta, il concetto di onore, la reciproca fedeltà alle armi, la comunanza di parentado, il dogma cristiano, la distribuzioni di diritto e di torto tra fedeli e infedeli, sono le concezioni più importanti’’ (Auerbach).

Le lasse assonanzate, come osserva Auerbach, “racchiudono in sé un’ immagine completa“, una visione che si realizza grazie alla ripetizione di termini ed espressioni che strofa dopo strofa si reiterano in forma differente ma con il medesimo significato.

Questa serie di accorgimenti stilistici rispondono chiaramente all’esigenza di una trasmissione del testo tramite un canale orale ad un pubblico prevalentemente popolare che necessitava di particolari monotoni e di espressioni semplici per seguire gli intrecci più complessi della trama.

L’uso del colore configura la Canzone di Orlando come un’opera artistica quanto letteraria. Il forte senso coloristico che invade quasi ogni strofa è propriamente medievale e si esprime spesso attraverso il riferimento a colori luminosi e campiture ben definite, caratteristiche che si possono riscontrare in tutti i manufatti artistici medievali, dalle miniature del Codex Manesse alle vetrate della cattedrale di Notre Dame, a Parigi.

Il paesaggio

Un altro aspetto interessante risiede nella descrizione del paesaggio che spesso si rivela essere definito solo attraverso pochi riferimenti ambientali, come ad esempio una roccia, un pendio o un albero. Anche questo aspetto è frutto di una mentalità tutta medievale, dove l’attenzione si focalizza principalmente sulle azioni del personaggio, ciò che conta e l’azione e gli ideali che spingono l’eroe ad agire.

Il gusto per una descrizione dettagliata del personaggio, del tutto sconosciuto durante il Medio Evo, inizierà ad emergere in letteratura solo con il naturalismo rinascimentale.

Note bibliografiche

G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Paravia, Torino,1994
L. Passerini, .La canzone d’Orlando, Soc. Leonardo da Vinci, Città di Castello, 1940

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Ai tempi in cui Berta filava: da dove viene questo modo di dire? https://cultura.biografieonline.it/berta-filava-modo-di-dire/ https://cultura.biografieonline.it/berta-filava-modo-di-dire/#respond Thu, 28 Apr 2022 09:40:23 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39805 Il modo di dire “ai tempi in cui Berta filava” si usa per indicare un momento passato, antico; significa proprio “in tempi lontanissimi“, remoti, andati. Contestualmente si considerano quei tempi come conclusi. Ora proveremo qui a rispondere a due domande:

  • Quali sono questi tempi?
  • Chi è Berta?

Più versioni raccontano l’origine di questa espressione italiana. Scopriamole assieme di seguito.

La filatrice - quadro di Eleuterio Pagliano
La filatrice (1869) • Dettaglio del quadro di Eleuterio Pagliano

Berta la Piedona

La Berta di cui si parla in questa espressione è Berta la Piedona. Si tratta della moglie del Re francese Pipino il Breve, nonché madre di Carlo Magno e prima regina carolingia.

La sua storia è stata cantata e tramandata dal trovatore Adenet le Roi, vissuto nel 1275 circa. Berta era chiamata la piedona per una particolarità: aveva un piede più lungo dell’altro.

Il suo vero nome francese era Bertrada di Laon; era nota anche come Berta del Gran Piè (in francese: Berthe au Grand Pied).

Nacque a Aisne nell’anno 720 e morì all’età di 63 anni a Choisy-au-Bac, il 12 luglio 783.

La leggenda

La leggenda narra che durante il viaggio per raggiungere il futuro sposo, la Principessa Berta venne sostituita. Prese il suo posto la figlia della sua dama di compagnia. Berta fuggì e raggiunse la casa di un taglialegna.

Lì visse qui per qualche anno, facendo il lavoro di filatrice.

La particolarità dei piedi, quel piedone, fece scoprire la sostituzione avvenuta anni prima.

Berta in seguito, finalmente, prese il suo posto sul trono francese.

I tempi in cui Berta filava

C’è una seconda versione, più favolistica, che racconta la storia o leggenda di Berta. Questa Berta è una vedova, molto povera, devota al suo Re.

Un giorno fila una lana sottilissima e la dona al suo sovrano.

Il Re, saputo della sua povertà, le regala tantissimi soldi e le garantisce una vita sicura e comoda.

Si narra che dopo l’episodio in molti tentano la stessa fortuna di Berta donando un filato pregiato al Re.

Questi però non risponde allo stesso modo.

Pronuncia, invece, la fatidica espressione:

“Non sono più i tempi che Berta filava”.

La leggenda italiana: Berta da Padova

C’è anche un’altra versione della leggenda di Berta. Si tratta di una storia tutta italiana che affonda le sue radici nella cultura popolare del bacino termale, ai piedi dei Colli Euganei. La località esatta sarebbe Montegrotto Terme, pochi chilometri più in là di Padova, nel Veneto.

Nel borgo medievale di San Pietro Montagnon, in cima a Monte Castello, si trova la ricostruzione della Torre di Berta.

La Berta di questa versione è una contadinella.

Siamo nei primi anni dell’XI secolo.

Giungono nelle terre dei Colli Euganei Enrico IV, Imperatore del Sacro Romano Impero, e l’Imperatrice Bertha di Savoia.

Nel viaggio fra Roma e la Franconia si fermano alle terme locali.

L’imperatrice sta per rientrare quando incrocia una contadinella. Le chiede la grazia per il suo sposo, prigioniero nelle segrete del castello per non aver pagato la decima dovuta al padrone del feudo.

L’imperatrice concede la grazia.

La donna vuole sdebitarsi e per questo le regala il suo filo.

La nobildonna si commuove per la spontaneità del gesto e così decide di premiare la contadina: le concederà tanto terreno quanto il suo filo potrà contenere.

Ai tempi in cui Berta filava
La regina Berta e le filatrici (Reine Berthe et les fileueses, 1881) • Dipinto del pittore svizzero Albert Anker

Come capita al Re della prima versione narrata, l’Imperatrice riceve molte visite che replicano quanto accaduto con la contadina per ottenerne lo stesso dono.

Quale che sia la linea che si vuole scegliere di seguire, c’è un filo – è il caso di dirlo – che lega il personaggio con il risultato, e quindi il modo di dire qui analizzato.

Che Berta abbia avuto un piede grande, oppure che sia stata al cospetto di un Re o di un’imperatrice, oggigiorno sono definitivamente finiti i tempi in cui Berta filava.

Oggi è considerata beata; ricordata talvolta come Berta la Pia, è patrona delle filatrici.

La canzone di Rino Gaetano

Nel 1976 il cantautore Rino Gaetano pubblicò un brano dal titolo Berta Filava. Proponiamo di seguito un estratto del testo.

E Berta filava
E filava la lana
La lana e l’amianto
Del vestito del santo
Che andava sul rogo
E mentre bruciava
Urlava e piangeva e la gente diceva
“Anvedi che santo vestito d’amianto”

E Berta filava
E filava con Mario
E filava con Gino
E nasceva il bambino che non era di Mario
E non era di Gino

E Berta filava
Filava a dritto
E filava di lato e filava, filava e filava la lana […]

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