campi di concentramento Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 01 Jul 2022 12:32:20 +0000 it-IT hourly 1 I sommersi e i salvati: riassunto del saggio di Primo Levi https://cultura.biografieonline.it/sommersi-salvati-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/sommersi-salvati-riassunto/#comments Wed, 12 May 2021 16:08:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29714 Primo Levi è uno degli scrittori più importanti che il nostro Paese ha conosciuto nel corso del Novecento. Il suo nome è legato soprattutto al romanzo “Se questo è un uomo” (pubblicato nel 1947) in cui racconta la sua esperienza come deportato nel campo di lavoro di Monowitz, ad Auschwitz. Ma vi sono anche altre opere scritte da questo autore torinese (che è stato anche un valido giornalista) che meritano attenzione, come il saggio scritto nel 1986, prima di togliersi la vita, intitolato “I sommersi e i salvati”.

I sommersi e i salvati - libro
I sommersi e i salvati

I sommersi e i salvati: riassunto e storia

Nella prefazione dell’opera, Primo Levi ci tiene a puntualizzare che il suo punto di vista non è quello di uno storico; per cui nel saggio vengono riportate per lo più considerazioni, non essendovi alcuna documentazione reale dei fatti accaduti. Nel testo infatti sono presenti riflessioni e opinioni che accomunano i reduci dalla drammatica esperienza dei lager. In particolare, emergono i ricordi, i sentimenti e le emozioni che i sopravvissuti hanno sentito fortemente sulla propria pelle, anche a causa delle violenze subite.

Memoria e Ricordo

L’autore, nel suo saggio I sommersi e i salvati, parla dell’importanza della Memoria e del Ricordo per noi uomini. Purtroppo, però, i ricordi tendono a sbiadire nel corso del tempo, oppure si alterano per svariati motivi. Rievocare il dramma del Lager provoca forte disagio sia a chi lo ha vissuto da vittima che per l’oppressore.

Quest’ultimo, in particolare, cerca di dare (ma invano) una giustificazione agli scellerati gesti compiuti all’interno di quei luoghi maledetti dove milioni di uomini hanno perduto la loro dignità.

“Ho agito perché non potevo sottrarmi al comando, perché ero stato infarcito con slogan e manifestazioni e mi è stata tolta la capacità di discernere, ecc”.

Per non restare schiacciato dal peso di ciò che ha fatto l’oppressore si costruisce una realtà di comodo cercando di convincere sé stesso e poi gli altri che ha agito “in buona fede”.

Le vittime invece solitamente alterano i ricordi di una esperienza così dolorosa per evitare di soffrire ancora. Ma c’è una differenza che Primo Levi mette in evidenza: mentre i politici, i combattenti e coloro che hanno sofferto di meno hanno provato un senso (legittimo) di liberazione una volta usciti dai lager, in tutti gli altri (la maggioranza) prevale un senso di abbattimento e vergogna che dura molti anni.

Alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento non hanno retto al peso dei ricordi e si sono suicidati. Nei lager non avvengono suicidi semplicemente perché si è impegnati a sopravvivere e il senso di colpa viene continuamente soffocato dalle violenze e punizioni inflitte.

Una volta usciti, poi, il senso di colpa di non aver fatto nulla per ribellarsi al sistema che li ha soggiogati, torna a fare capolino. E per alcuni può essere talmente forte da portare al suicidio.

Chi sono i Salvati

I sopravvissuti ad un Lager provano vergogna anche per l’egoismo assoluto che ha contraddistinto il periodo trascorso all’interno di questi terribili luoghi: non si aveva tempo o possibilità di badare agli altri, ma soltanto a sé stessi. Levi dice che “i salvati non erano i migliori”.

Purtroppo a sopravvivere erano spesso gli egoisti, le spie, i loro collaboratori, le persone più malvagie e senza scrupolo.

Chi si è salvato da un lager ed ha un animo sensibile sente su di sé tutte le colpe del mondo, soffre anche per quello che altri hanno commesso al posto suo.

Primo Levi, foto
Foto di Primo Levi

La Violenza gratuita

Primo Levi sottolinea in modo magistrale nel saggio anche un altro aspetto importante: la violenza gratuita e inutile perpetrata alle vittime all’interno dei campi di concentramento. Un tipo di violenza inferta al solo scopo di provocare la sofferenza negli uomini, non “giustificata” da una guerra o da altri scopi pur ignobili.

Nell’ultima parte del saggio l’autore si sofferma a rispondere ad alcune domande che gli hanno posto fino alla fine dei suoi giorni:

  • “perché non siete scappati?”
  • “perché non vi siete ribellati a ciò che vi stavano facendo?”

Primo Levi ha risposto che, per come erano organizzate le cose nel Lager, ogni tentativo di fuga o ribellione sarebbe miseramente fallito, portando con sé soltanto conseguenze ulteriori di violenza e sopraffazione.

Molto interessante è la distinzione che lo scrittore sopravvissuto al campo di concentramento fa dei prigionieri.

Riferendosi a quelli che da vittime si trasformano in collaboratori ed oppressori, lui li definisce essere in una “zona grigia”. C’è anche un caso limite di collaborazione nei Lager, che Levi individua nelle “squadre speciali”. Si tratta di prigionieri a cui veniva affidata la gestione dei forni crematori, in cui di volta in volta le vittime venivano uccise.

L’autore ci tiene poi a citare alcune persone specifiche, che hanno condiviso con lui l’atroce esperienza della prigionia: l’amico Alberto, Chaim Rumkowski (uno dei “dittatori” del ghetto di Lodz), l’intellettuale ebreo Hans Mayer, Mala Zimetbaum (la prigioniera che tenta di fuggire con un prigioniero politico), il compagno Daniele.

Il libro

]]>
https://cultura.biografieonline.it/sommersi-salvati-riassunto/feed/ 1
Se questo è un uomo, riassunto e commento https://cultura.biografieonline.it/se-questo-e-un-uomo/ https://cultura.biografieonline.it/se-questo-e-un-uomo/#comments Mon, 03 Feb 2014 12:04:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9631 Famosissimo romanzo di Primo Levi che lo scrittore ci ha lasciato per raccontarci le sue memorie della prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz. Scritto tra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, il libro “Se questo è un uomo” racconta la tragedia dei lager nazisti vista da vicino dallo stesso autore che ne fu deportato nel 1944 per l’unica colpa di essere di religione ebraica.

Primo Levi, Se questo è un uomo
Nella foto: immagine tratta dalla prima edizione di “Se questo è un uomo” (1947), una copertina del libro e la foto dell’autore, Primo Levi

Levi visse per un anno all’interno del lager più tristemente famoso: i nazisti scelsero di tenerlo in vita in quanto chimico di professione che poteva essere utile per la manodopera.

L’opera testimonia la formidabile volontà di spiegare con l’arma della ragione, l’irrazionalità della barbarie tedesca. Egli sente infatti il bisogno di lasciare una testimonianza al mondo su quello che ha vissuto in quei terribili luoghi di morte.

Il romanzo fa parte infatti del filone neorealista perché descrive con grande vividezza la condizione disperata dei deportati.

Se questo è un uomo: riassunto

La narrazione degli eventi segue l’ordine cronologico per la maggior parte del tempo. Inizia col descrivere il viaggio che i deportati compivano in treni, veri e propri carri bestiame, per arrivare nelle strutture detentive. Molti dei passeggeri morivano durante il viaggio a causa delle condizioni disumane in cui erano trasportati.

Una volta arrivati al campo esisteva una selezione tra coloro che venivano subito uccisi e coloro che erano destinati ai lavori forzati. Primo Levi viene catalogato con il numero e assegnato alle mansioni più dure.

Levi racconta anche dell’infortunio al piede che lo colpisce e lo costringe 20 giorni a letto, che sono per lui un modo per riposarsi dalle angoscianti fatiche. Purtroppo la povertà era dilagante, nessuno possedeva niente e l’autore ci racconta l’ esistenza di una sorta di mercato nero basato sul baratto per potersi procurare almeno quel poco per arrangiarsi a vivere.

Primo Levi
Primo Levi

Figura importante del sesto capitolo è l’amico francese Resnyk, che lo aiuta nei lavori pesanti.  A seguito di un esame di chimica, Levi viene ammesso al laboratorio, questa condizione permette di distinguerlo dai prigionieri di lavori forzati e di vivere in modo un po’ più dignitoso. La parte più emozionante è Storia di dieci giorni, l’epilogo della vicenda in cui Levi illustra l’abbandono del lager da parte dei tedeschi e l’arrivo dell’armata rossa. Egli, malato di scarlattina, viene abbandonato nell’infermeria. Ma questa sarà la sua fortuna in quanto gli altri saranno costretti alla cosiddetta marcia della morte, in cui moriranno a migliaia. Levi si sostiene con gli altri malati e mentre aspettano l’arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio del 1945.

Lo stile del romanzo Se questo è un uomo è molto semplice e rigoroso.

L’esperienza segnerà per sempre lo scrittore, che scelse il suicidio nel 1987.

Il libro

Dello stesso autore, sullo stesso tema, abbiamo riassunto in un altro articolo la sua ultima opera: I sommersi e i salvati. Il libro fu pubblicato nel 1986 prima del suicidio di Primo Levi.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/se-questo-e-un-uomo/feed/ 3
Il ghetto di Varsavia https://cultura.biografieonline.it/il-ghetto-di-varsavia/ https://cultura.biografieonline.it/il-ghetto-di-varsavia/#comments Wed, 18 Jul 2012 00:03:30 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2947 Il ghetto di Varsavia divenne un luogo di reclusione per gli ebrei della capitale e della provincia. Nel 1940 i nazisti scelsero  il ghetto come luogo di deportazione degli ebrei trasformandolo in uno dei più terribili capitoli della soluzione finale della questione ebraica. Esisteva già un ghetto nella città dove risiedevano prevalentemente ebrei e che era collocato, senza mura divisorie, nella parte vecchia di Varsavia. Era naturalmente un luogo libero e ben collegato con gli altri quartieri.

Perché i nazisti lo trasformarono in una prigione?

Il ghetto di Varsavia
Il ghetto di Varsavia: un gruppo di persone costrette a uscire dal proprio nascondiglio

I nazisti, dopo l’invasione della Polonia, diedero inizio alla soluzione finale che consisteva nella deportazione di tutti gli ebrei d’Europa in un luogo collocato ad est in cui sarebbero stati costretti ai lavori forzati e sterminati con le fucilazioni, attraverso la somministrazione di gas letali, a causa degli stenti e delle fatiche inflitte dal lavoro, dalla mancanza di cibo e cure adeguate.

Il ghetto fu, insieme ai campi di concentramento, uno dei luoghi di transito in cui rinchiudere coloro che erano considerati diversi dalla razza ariana. Il concetto di diverso e cioè estraneo ad una determinata comunità ha raggiunto il massimo del suo orrore con la dittatura nazista che ha reso questo atto di razzismo un aspetto essenziale della sua strategia di prevaricazione e morte.

Inoltre il popolo ebraico rinchiuso in luoghi di carcerazione e sterminio è diventato il capro espiatorio di tutte le umiliazioni, sofferenze e ingiustizie che una parte del popolo tedesco riteneva di aver patito. L’abilità di Hitler ha consistito proprio in questo: trovare una comunità di persone su cui scaricare la rabbia e la violenza di una parte del suo popolo per catalizzarne tutta l’attenzione e la fedeltà.

Come è cominciato l’orrore?

La Polonia fu invasa il giorno 1 settembre 1939 con un’ incursione lampo realizzata dall’esercito tedesco che dimostrò a tutto il mondo la sua efficacia e la sua capacità distruttiva. L’esercito polacco non poté fare granché e in breve tempo fu sopraffatto. Già l’8 settembre la quarta divisione corazzata lambiva Varsavia.

L’Europa guardò senza intervenire benché Francia e Inghilterra avessero dichiarato guerra alla Germania il 3 settembre dello stesso anno. A causa del Patto Molotov – Ribentrop, stipulato il 23 agosto 1939 e che prevedeva anche la spartizione della Polonia fra Germania e Russia, l’Armata Rossa invase il Paese dalla parte orientale del confine il 17 settembre 1939,  mettendo fine a qualsiasi speranza di salvezza per il popolo polacco.La Poloniasi arrese il 6 ottobre 1939.

A questo punto le SS avevano campo libero per iniziare la deportazione dei cittadini polacchi di origine ebraica all’interno dei ghetti delle città. Reinhard Heydrich, capo della polizia segreta, iniziò a dare corpo al progetto di deportazione degli ebrei che culminò il 20 gennaio 1942 con la conferenza di Wannsee, durante la quale si diede avvio alla fase finale dell’organizzazione programmatica delle deportazioni degli ebrei d’Europa.

Heydrich organizzò le deportazioni operando nell’area sud orientale del Paese dove venne costituito un governatorato che doveva rappresentare una sorta di bacino territoriale in cui trasferire la maggior parte degli ebrei  affinché fossero da lì smistati in altre aree.

Dopo la conquista della Polonia le autorità tedesche decisero che il ghetto di Varsavia sarebbe stato un luogo di quarantena in cui trasferire circa 500.000 ebrei. La giustificazione ufficiale fu la decisione di evitare epidemie che però coinvolgeva solo gli ebrei e non i polacchi. Il ghetto era grande come il quartiere di una capitale circa 4 chilometri quadrati per 2 e non poteva certo contenere una quantità tanto elevata di persone senza che vi fossero conseguenze per la salute della popolazione costretta a risiedervi.

Un gruppo di bambini nel ghetto di Varsavia
Un gruppo di bambini nel ghetto di Varsavia

Nell’agosto del 1940 l’oppressione tedesca sul ghetto aumentò di intensità:  furono chiusi gli accessi e i residenti potevano uscire solo con permessi di lavoro che dovevano svolgere senza diritti né compensi. Inoltre le comunicazioni esterne furono completamente impedite tanto che iniziò un intenso e pericoloso mercato nero e quando la popolazione residente veniva vista avvicinarsi troppo al muro di cinta o alle uscite veniva uccisa dai soldati senza alcuna pietà per uomini, donne e bambini.

Nelle settimane successive la vita peggiorò rapidamente. Il cibo cominciò a scarseggiare perché le reazioni gestite dai tedeschi erano troppo limitate per poter alimentare una persona. L’amministrazione del ghetto era nelle mani di un consiglio di ebrei fiancheggiatori dei tedeschi che abusavano a volte del loro potere creando situazioni di corruzione e di abusi. All’inizio del 1941 la gente cominciò a morire di fame. Furono sgomberati dei palazzi e la popolazione venne ammassata in luoghi sempre più concentrati. Scoppiarono delle epidemie e molti si ammalarono.

Iniziò la deportazione nei campi di concentramento mentre la mortalità per stenti, fame e malattie salì a 2.000 persone al mese. Nel 1943 quando oramai il ghetto aveva circa 70.000 residenti, scoppiò una rivolta contro i tedeschi. Alcuni operai mentre venivano condotti in un luogo di lavoro esterno al ghetto, estrassero alcune armi e uccisero una parte della loro scorta. La rivolta scoppiò il 18 gennaio 1943, durò alcuni mesi e vide coinvolto tutto il ghetto che a questo punto fu gestito e protetto dai ribelli.

Ghetto di Varsavia: la rivolta del 19 aprile 1943
Ghetto di Varsavia: la rivolta del 19 aprile 1943

La rivolta del ghetto di Varsavia

L’insurrezione principale, ricordata come rivolta del ghetto di Varsavia, iniziò il 19 aprile 1943 e durò fino al 16 maggio: l’esercito comandato dalle SS entrò nel ghetto e iniziò una battaglia senza quartiere contro gli ebrei che però risposero con forza ingaggiando una guerriglia contro le truppe tedesche. Alla metà di maggio le truppe riuscirono a distruggere la maggior parte dei palazzi, cantine e caseggiati uccidendo 56.000 persone e annientando i ribelli che si batterono con dignità e coraggio fino all’ultimo.  Alla fine di maggio il ghetto non esisteva più e la sua popolazione era stata uccisa, fatta morire o deportata.

]]>
https://cultura.biografieonline.it/il-ghetto-di-varsavia/feed/ 5