Brigate Rosse Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 02 Aug 2019 14:32:55 +0000 it-IT hourly 1 Anni di piombo: i giornalisti e le Brigate Rosse https://cultura.biografieonline.it/giornalisti-brigate-rosse/ https://cultura.biografieonline.it/giornalisti-brigate-rosse/#respond Fri, 21 Jul 2017 10:14:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22860 I giornalisti nel mirino delle Br

A partire dal 1977 anche i giornalisti entrano nel mirino dei terroristi rossi (Brigate Rosse). Tra il primo e il 3 giugno, tre direttori vengono gambizzati a Genova, Milano e Roma. Si tratta di Vittorio Bruno de “Il Secolo XIX”, Indro Montanelli de “Il Giornale” e Emilio Rossi del “Tg1”. Lo scopo è quello di intimorire il mondo giornalistico. Nei mesi di luglio e settembre vengono feriti altri giornalisti e a novembre i brigatisti alzano il tiro sparando a Carlo Casalegno, vice direttore de “La Stampa”, che muore dopo tredici giorni.

Indro Montanelli
Indro Montanelli

L’agguato di Carlo Casalegno

È il 16 novembre del 1977 quando Carlo Casalegno viene ferito dalle Brigate Rosse a Torino. Colpito con quattro pallottole alla testa, rimane vivo per 13 giorni ricoverato in terapia intensiva presso l’ospedale Le Molinette. Muore il 29 novembre, dopo vari giorni di agonia. Casalegno Aveva ricevuto minacce, una bomba era arrivata al giornale, da alcuni giorni era scortato. Quel giorno un improvviso mal di denti lo costringe ad andare dal dentista: è senza scorta. Quando arriva a casa, ad attenderlo nell’androne trova gli assassini, che gli sparano a bruciapelo.

1980, la Brigata 28 marzo: ancora attentati

Il terrorismo si scatena di nuovo contro i giornalisti nel 1980. La Brigata 28 marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra, ferisce a Milano Guido Passalacqua inviato di “Repubblica”. A maggio uccide Walter Tobagi, giovane inviato del “Corriere della Sera”. È un delitto feroce e assurdo che desta sospetti perché il volantino di rivendicazione appare scritto da persone che hanno una buona conoscenza del mondo del giornalismo milanese. Per i socialisti i mandanti vanno cercati in via Solferino, sede del Corriere. I processi contro Marco Barbone e i suoi compagni dimostrano l’infondatezza di questi sospetti.

Walter Tobagi
Walter Tobagi

Il delitto di Walter Tobagi

È il 28 maggio 1980 quando, poco prima delle 11, il giornalista esce di casa e si reca verso via Salaino, dove ha lasciato l’auto in un garage. Viene affiancato da due giovani armati: sparano, Tobagi cade a terra, vicino al marciapiede. Si saprà poi che all’agguato partecipano sei giovani: Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano. A sparare il colpo mortale è Marco Barbone.

Chi è Marco Barbone

All’epoca dei fatti Barbone ha 22 anni. E’ esponente della Milano “bene”, leader dell’organizzazione terroristica di estrema sinistra, chiamata “Brigata 28 marzo”. Nata a Milano nel maggio del 1980 con lo scopo di lottare e contrastare il mondo dei media, in particolare i giornalisti della carta stampata.

Il sequestro Aldo Moro

I problemi più complessi sorgono dall’evento cruciale: il sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La notizia del sequestro e del massacro della scorta viene diffusa la mattina del 16 marzo 1978 dalla radio, dalla televisione e dalle edizioni straordinarie di molti quotidiani. Nel corso della prigionia, i servizi segreti non riescono a trovare Moro. Nasce il dibattito, in Italia, tra chi sostiene la necessità di trattare con le Brigate Rosse e chi, al contrario, rifiuta ogni compromesso. Così lo Stato non tratta: il 9 maggio del 1978 il cadavere del presidente della Dc viene ritrovato all’interno di una Renault 4, a Roma, in via Michelangelo Caetani.

Aldo Moro sequestrato dalle BR (Brigate Rosse)
Aldo Moro sequestrato dalle Br (Brigate rosse)

1980: Le Br sfidano i giornali

Alla fine del 1980 le Br sfidano direttamente i giornali. Per rilasciare il magistrato Giovanni D’Urso chiedono che vengano pubblicati i proclami dei loro compagni incarcerati a Trani e a decidere se accettare o meno devono essere i giornali. La maggior parte delle testate respinge il ricatto, mentre pubblicano i proclami “Il Messaggero”, “Il Secolo XIX”, “L’Avanti!”, “Il Manifesto” e  “Lotta continua”.

Il “Corriere della Sera” decide di adottare il “completo silenzio stampa” e quindi di non dare neppure notizie riguardanti il terrorismo. Gli altri quotidiani del gruppo devono adottare la stessa linea. Nel 1982, subito dopo la pubblicazione dei documenti brigatisti e la chiusura del supercarcere dell’Asinara, i terroristi rilasciano il magistrato.

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L’assassinio di Guido Rossa https://cultura.biografieonline.it/guido-rossa/ https://cultura.biografieonline.it/guido-rossa/#respond Mon, 03 Sep 2012 09:29:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3544 Negli anni Settanta la lotta armata scuote la vita sociale e politica dell’Italia, e le ripercussioni sono notevoli in ogni settore. A Genova, nel 1974, si costituisce la colonna genovese delle Brigate Rosse, guidata da Rocco Micaletto. Tra i militanti aderenti all’organizzazione vi sono: Riccardo Dura, Fulvia Maglietta, Francesco Lo Bianco e Livio Bistrocchi. Si può ben dire che l’attività della colonna genovese, portata avanti per circa quindici anni, termina proprio con l’uccisione dell’operaio Guido Rossa, che avviene il 24 gennaio 1979.

Guido Rossa
Guido Rossa

Guido Rossa è un operaio dell’Italsider, ed è un fervido sindacalista aderente al Pci e alla CGIL. Durante le ore di lavoro, si accorge che un collega distribuisce volantini di propaganda delle Brigate Rosse. All’interno dell’armadietto, che viene perquisito, Berardi conserva documenti e copie di rivendicazioni da parte di brigatisti: la sua appartenenza all’organizzazione è inconfutabile. A differenza di altri, che pur vedono ciò che succede senza parlare, Guido Rossa decide coraggiosamente di esporre denuncia contro Francesco Berardi, suo compagno di lavoro. Alla denuncia segue anche un processo, cui Rossa partecipa in qualità di testimone.

In questi anni nelle fabbriche le Brigate Rosse raccolgono un gran numero di simpatizzanti, ed è in tali ambienti in particolare che si diffonde lo slogan “Né con lo Stato, né con le BR”. Guido Rossa firma la denuncia contro Berardi, ma è subito consapevole di essere in pericolo, esposto alla vendetta dei brigatisti. Francesco Berardi intanto prova a fuggire ma viene arrestato: subito si dichiara prigioniero politico.

Condannato a quattro anni e mezzo di reclusione, l’operaio muore suicidandosi in carcere. Nei primi tempi seguenti l’arresto di Berardi a Guido Rossa viene offerta una scorta, alla quale però lui stesso rinuncia poco dopo. A proteggerlo durante gli spostamenti sono due operai dell’Italsider, che lo fanno volontariamente.

All’alba del 24 gennaio, come ogni giorno, Guido Rossa esce di casa per andare al lavoro. Mentre sta per mettere in moto la macchina, il finestrino va in frantumi e viene raggiunto da un colpo di pistola. A questo ne seguono altri, a raffica. Rimasto ferito, uno degli aggressori si avvicina per sparargli il colpo di grazia. E’ la prima volta che le Brigate Rosse uccidono un operaio militante nel Partito Comunista. La morte di Guido Rossa, definito da tutti come una persona umile ma con il carisma di un leader, lascia il segno in quegli anni di piombo, tanto che alle esequie vi partecipano circa duecento mila persone, compreso il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

Quali sono le conseguenze dell’omicidio di Guido Rossa?

Le BR uccidono Guido Rossa perché, avendo denunciato un infiltrato brigatista in fabbrica, crea un rischioso precedente che potrebbe ripetersi altrove. La reazione dei brigatisti, quindi, deve essere immediata e soprattutto violenta. Poiché colpisce un esponente di sinistra, la reazione di sindacati e partiti appartenenti a questa corrente è molto forte. Secondo le testimonianze acquisite durante il processo, pare che l’iniziale intenzione delle BR è di gambizzare l’operaio senza ucciderlo.

E’ Riccardo Dura, capo dell’organizzazione genovese, a tornare indietro ed esplodere il colpo mortale a Guido Rossa. Dopo l’omicidio l’organizzazione delle BR viene messa pesantemente in discussione dai suoi stessi partecipanti, perché sembra che la decisione di uccidere Rossa sia solo di una persona, e non frutto di una precisa volontà politica. La biografia di Guido Rossa viene documentata in una pellicola cinematografica curata dal regista Giuseppe Ferrara. Il titolo del film è: “Guido che sfidò le Brigate Rosse”.

Al ricordo dell’operaio ucciso dalle Brigate Rosse sono state dedicate scuole, piazze e monumenti. Guido Rossa è un esempio di impegno civico e coraggio che va ricordato, un modello di vita cui dovrebbe ispirarsi sempre chi lavora nelle istituzioni e crede nei valori della libertà e della democrazia.

Oltre ad essere un fervente sindacalista, Guido Rossa è un alpinista di nota fama che, ad un certo punto, decide di mettere da parte la sua passione sportiva per dedicarsi al lavoro all’interno delle fabbriche.

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Le Brigate Rosse e gli anni di piombo https://cultura.biografieonline.it/le-brigate-rosse-e-gli-anni-di-piombo/ https://cultura.biografieonline.it/le-brigate-rosse-e-gli-anni-di-piombo/#comments Mon, 18 Jun 2012 23:09:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2617 L’episodio cardine nella storia delle Brigate Rosse risale al 16 marzo 1978, quando l’onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, venne sequestrato e gli uomini della sua scorta furono uccisi. Aldo Moro, politico pugliese, stava lavorando alla costituzione del Governo stringendo alleanza con il Partito Comunista.

Aldo Moro sequestrato dalle BR (Brigate Rosse)
Aldo Moro sequestrato dalle BR (Brigate Rosse)

L’intero Paese entrò in un vortice di tensione nei giorni che seguirono il sequestro. Nonostante le accurate ricerche, non si riuscì mai a trovare il covo dei brigatisti nel quale Moro era rinchiuso. Intanto il prigioniero, tramite appelli inviati ai giornali, chiedeva al Partito e allo Stato di trattare con i brigatisti per il suo rilascio.

Aldo Moro
Aldo Moro

Lo Stato Italiano però non volle scendere a compromessi, quindi rifiutò categoricamente qualsiasi trattativa (solo il Partito socialista si mostrò disposto a trattare con i brigatisti per salvare lo statista democristiano). Nei suoi scritti dalla prigionia Aldo Moro lanciò pesanti accuse ai dirigenti del Partito, agli ex amici, alla Santa Sede, per aver scelto la strada della fermezza e dell’intransigenza, piuttosto che attivarsi per la sua liberazione. Le BR inviarono un comunicato il 18 aprile, nel quale invitavano gli inquirenti a cercare il corpo senza vita di Aldo Moro nel lago Duchessa, ma le ricerche non portarono alcun risultato.

Il 9 maggio, invece, le BR comunicarono per telefono all’amico di Aldo Moro, il professor Franco Tritto, che il cadavere del politico era rinchiuso nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma. Purtroppo tale avvertimento fu vero. Le immagini del corpo massacrato di Moro entrarono nelle case degli italiani tramite le edizioni straordinarie del Tg, suscitando orrore e sconcerto. Il barbaro assassinio di Aldo Moro dimostrò che la violenza dei brigatisti non conosceva limiti, e che bisognava fare qualcosa per impedire che prendesse il sopravvento.

Le Brigate Rosse: chi sono?

Le BR erano composte da persone per lo più appartenenti alle categorie di studenti ed operai. Pare che a fondare questo “partito armato” sia stato un giovane studente di Sociologia, chiamato Renato Curcio, insieme ad Enrico Franceschini, un ex militante del Partito Comunista.

Renato Curcio
Renato Curcio

Obiettivo principale delle Brigate Rosse era quello di organizzare la Rivoluzione contro il SIM (Stato Imperialistico delle Multinazionali). Per questo le BR trovarono terreno fertile per lo sviluppo della loro ideologia nei movimenti operai (come “Autonomia Operaia”) e in quelli extra parlamentari (come “Lotta continua”).

Le BR rappresentano un gruppo composito, formato da diverse soggettività, che ad un certo punto diventano portavoce di un modo alternativo di vivere rispetto all’ordine borghese precostituito. Comunque il fenomeno “Brigate Rosse”, diffusosi negli anni Settanta, resta ancora un mistero non del tutto chiarito a livello ideologico. Pur essendo una realtà per lo più nata nel nostro Paese, non è esclusa la partecipazione di nazioni straniere nella preparazione ed esecuzione degli atti terroristici. Secondo alcuni studiosi, l’ideologo della “rivoluziona armata” propugnata dalle BR è il professor Toni Negri, che si è anche distinto come uno dei maggiori teorici dei movimenti giovanili.

Il panorama politico-sociale italiano degli anni Settanta era così confuso e variegato che le BR riuscirono a conquistare una fetta minoritaria di consenso sociale, che poi venne meno del tutto con l’assassinio di Aldo Moro. Ancora oggi il “brigatismo rosso” non manca di farsi sentire, anche se il clima politico è ormai cambiato e non gode più del consenso sociale sul quale aveva costruito il suo potere negli anni passati.

Gli anni di Piombo

Gli anni Settanta vengono definiti “anni di piombo” a causa dell’irrequietezza e il clima rivoluzionario che coinvolgevano soprattutto le classi sociali più “deboli”. Le Brigate Rosse approfittarono di tale periodo alquanto instabile per mettere a punto una serie di attacchi di diversa entità nei confronti di personalità che rappresentavano lo Stato e le istituzioni: politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati, imprenditori, poliziotti, docenti. Fu un momento alquanto difficile per l’Italia, in cui già imperversava il terrore per le stragi degli estremisti di Destra che diffusero una vera e propria “strategia della tensione”.

Ad aggravare la situazione nazionale già compromessa si aggiunse anche la dilagante corruzione politica, che solo alcuni esponenti politici ebbero il coraggio di denunciare pubblicamente (come Enrico Berlinguer, che sollevò la “questione morale” nel 1981). In quegli stessi anni turbolenti, caratterizzati da un profondo anelito al cambiamento in ogni settore del Paese, si venne a costituire una sorta di “setta occulta”, la Loggia Massonica P2, costituita da uomini influenti nell’abito della politica e dell’economia, che si unirono per ristabilire l’originario “ordine” attraverso l’uso dell’autorità e degli affari illeciti. A capo di questo gruppo vi era Licio Gelli.

Tra gli eventi criminosi che caratterizzarono il periodo che va dagli anni Sessanta agli inizi degli anni Ottanta ricordiamo la strage di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) e la strage della Stazione centrale di Bologna (2 agosto 1980), nella quale morirono ben ottantacinque persone.

Gli omicidi politici messi in atto dalle BR sono stati parecchi il primo in assoluto fu quello risalente all’8 giugno 1976 quando venne ucciso, insieme alla sua scorta, il Procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Coco. Pare che questa azione criminosa sia stata pianificata dalle BR per dare una forte dimostrazione della loro forza nei confronti della politica.

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La strage di Piazza Fontana https://cultura.biografieonline.it/la-strage-di-piazza-fontana/ https://cultura.biografieonline.it/la-strage-di-piazza-fontana/#comments Wed, 04 Apr 2012 10:09:41 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1318 Il 12 dicembre del 1969 una bomba scoppia presso la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana a Milano. Sono le 16:37 e lo scoppio provoca la morte di diciassette persone e il ferimento di altre ottantotto. In un lasso di tempo di appena 53 minuti, oltre all’ordigno milanese, scoppiano a Roma altre due bombe: una in Via Veneto vicino alla Banca del Lavoro e una davanti all’Altare della Patria a Piazza Venezia.

Milano, 12 dicembre 1969: Strage di Piazza Fontana
Strage di Piazza Fontana: L’attentato di Piazza Fontana avvenne il 12 dicembre 1969 a Milano

Gli attentati rientrano nella cosiddetta stagione del terrore che insanguina l’Italia negli anni compresi tra il 1968 e il 1974. La motivazione con la quale i terroristi agiscono è quella di mantenere il clima di tensione instaurato dai gruppi di estrema destra con l’intento di fare pressione sugli organi di governo, e favorire così un inasprimento delle politiche di repressione. Oltre alla bomba di Piazza Fontana, viene rinvenuto anche un secondo ordigno inesploso in Piazza della Scala nei pressi della Banca Commerciale Italiana.

Il primo indagato: Giuseppe Pinelli

Le prime indagini portano all’arresto del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, che muore misteriosamente precipitando dai balconi della questura dopo tre giorni di interrogatorio. L’autopsia non viene resa pubblica, ma il sostituto procuratore responsabile del caso, Gerardo D’Ambrosio, definisce l’incidente un “malore attivo”. Secondo tale definizione, il Pinelli si sarebbe sentito male, e, sporgendosi eccessivamente dalla ringhiera, sarebbe precipitato.

In quel momento nella stanza non è presente il commissario che conduce le indagini, Luigi Calabresi, eppure l’uomo viene ritenuto responsabile, e fatto oggetto di una serie di attacchi che lo isolano e lo rendono vulnerabile. Gli attacchi provengono soprattutto dal giornale di Lotta Continua e dagli ambienti di sinistra. E saranno proprio degli esponenti di Lotta Continua a deciderne la morte.

Il commissario Calabresi viene assassinato il 17 maggio del 1972. Sono stati condannati come esecutori materiali dell’omicidio, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino e, come mandanti, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Il commissario Calabresi e gli altri agenti, inizialmente processati per omicidio colposo, sono stati scagionati nel 1975 perché il fatto non sussiste.

Il secondo indagato: Pietro Valpreda

Il 16 dicembre del 1969, grazie alla testimonianza di un tassista, Cornelio Rolandi, viene arrestato anche il secondo sospettato, Pietro Valpreda. Secondo quanto affermato dal testimone, l’uomo si sarebbe diretto verso Piazza Fontana munito di una pesante valigia. Dopo l’interrogatorio, il procuratore Vittorio Occorsio contesta a Valpreda quattordici omicidi, ricevendo immediatamente le congratulazioni per il lavoro svolto dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat.

La ricostruzione dei fatti fornita dal tassista presenta, però, delle incongruenze, prima fra tutte un improbabile percorso a bordo della vettura di soli 20 metri. Dopo ulteriori indagini comincia a prendere corpo l’ipotesi che l’uomo sul taxi non sia Valpreda, ma Antonino Sottostanti, un ex legionario di origine siciliana infiltrato nei circoli anarchici, dove è conosciuto con il soprannome di Nino il fascista.

Il Sottosanti risulta fisicamente molto simile all’imputato. Secondo una delle ricostruzioni, tale somiglianza sarebbe stata usata  da servizi deviati e gruppi di destra per pagare l’uomo affinché portasse la valigia con l’ordigno, facendo così ricadere la responsabilità della strage sugli anarchici. La ricostruzione, avvalorata anche da quotidiani come Il Corriere della Sera, risulterà falsa in quanto Sottostanti al momento dello scoppio è in compagnia del Pinelli. Quest’ultimo deve consegnarli un assegno di pagamento per la testimonianza resa in favore di un altro anarchico, il Pulsinelli, a torto accusato di un attentato alla Caserma Garibaldi. A complicare la situazione è la reticenza di Pinelli a svelare i fatti per timore che la testimonianza resa da Nino il fascista possa essere considerata falsa.

Le Brigate Rosse conducono una propria inchiesta sulla strage, di cui consegneranno solo in parte gli incartamenti alla magistratura. Secondo tale ricostruzione l’attentato è opera dei gruppi anarchici che si sono procurati esplosivo e ordigni dagli ambienti di destra. Il Pinelli, dunque, si sarebbe suicidato per il rimorso di essere incappato inavvertitamente nel traffico degli esplosivi usati per la realizzazione dell’ordigno.

L’arresto e il proscioglimento dei responsabili

Le indagini proseguono e, grazie alla scoperta della provenienza del timer da Treviso e delle borse da Padova, vengono individuati due esponenti di Ordine Nuovo: Franco Freda e Giovanni Venturi. Nel 1971 viene scoperto un arsenale di munizioni Nato presso l’abitazione di un militante veneto di Ordine Nuovo. Ci sono anche casse con un esplosivo simile a quello utilizzato per Piazza Fontana. Finiscono in manette Freda e Venturi e insieme a loro Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo.

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Giovanni Venturi confessa la responsabilità di ben 21 attentati realizzati nel 1969, ma nega quello di Piazza Fontana. In una cassetta di sicurezza intestata alla zia vengono, però, ritrovati dei documenti dai quali emerge l’esistenza di una stretta comunicazione con Guido Giannettini, agente del SID meglio conosciuto come agente Z.

La magistratura interpella il SID che, per bocca del comandante Vito Miceli, dichiara il segreto di Stato. Sarà lo stesso Giannettini a consegnarsi al consolato italiano di Buenos Aires nel 1974. Il SID interviene anche in favore di Venturi, e, per timore che possa parlare, gli fa avere le chiavi della cella del carcere di Monza in cui è detenuto e un narcotizzante per le guardie. Nel 1972, Valpreda viene scarcerato, e poi nel 1985 prosciolto per insufficienza di prove insieme a Freda e Venturi. Questi ultimi due escono definitivamente dal processo nel 1987, quando La Cassazione rende definitiva la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Bari nel 1985.

Solo Carlo Digilio, neofascita di Ordine Nuovo, confessa il ruolo avuto, e ottiene nel 2000 la prescrizione del reato proprio in virtù della collaborazione resa. Sempre Digilio riferisce di una confessione fattagli da Delfo Zorzi secondo la quale sarebbe stato lui stesso a piazzare la bomba. L’uomo, però, trasferitosi in Giappone nel 1974 è diventato un imprenditore di successo, e gode della protezione del governo giapponese che non ha concesso allo stato italiano l’estradizione.

Nel 2005 la Corte di Cassazione assolve Delfo Zorzi, Carlo Maggi e Giancarlo Rognoni, tutti militanti di Ordine Nuovo. Nella sentenza i magistrati chiariscono che la responsabilità morale e storica della bomba è da attribuirsi a Franco Freda e Giovanni Venturi, capi del gruppo anarchico ideatore dell’attentato.

Nel 2009 le vedove di Pinelli e di Calabresi si incontrano invitate da Giorgio Napolitano, e, per la prima volta, si stringono la mano.

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