belgio Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 22 Mar 2022 16:12:57 +0000 it-IT hourly 1 Giro delle Fiandre: storia, percorsi, successi e curiosità https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/ https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/#respond Tue, 22 Mar 2022 16:05:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39591 Il Giro delle Fiandre (Ronde van Vlaanderen in fiammingo) è una delle cosiddette 5 classiche monumento del ciclismo su strada. Le altre corse che ne fanno parte sono:

  • Milano-Sanremo
  • Parigi-Roubaix
  • Liegi-Bastogne-Liegi
  • Giro di Lombardia.

Molti considerano il Giro delle Fiandre l’università del ciclismo e per almeno 3 buoni motivi.

  1. In primo luogo si disputa nella parte fiamminga del Belgio, dove il ciclismo è considerato poco meno di una religione.
  2. In secondo luogo è celebre per i cosiddetti muri – salite brevi ma spesso ripidissime – e i pavé, dove i più forti possono fare la differenza.
  3. Ed è proprio questo il terzo punto: raramente il Fiandre “laurea” un carneade, perché per vincere una gara alla quale puntano tutti i migliori specialisti, belgi e non solo, e per di più su un percorso così duro, è necessaria tanta tanta classe e una condizione di forma al top.
Giro delle Fiandre illustrazione

La storia del Giro delle Fiandre

La prima edizione del Fiandre si è corsa il 25 maggio 1913. La fama e l’importanza della gara sono cresciute progressivamente fino a portarla definitivamente nel novero delle classiche del nord, le gare che si svolgono in primavera in Belgio, Olanda e Francia settentrionale. È anzi la prima classica del Nord in calendario e precede di una settimana la Parigi – Roubaix.

Ad avere iscritto più volte il proprio nome nell’albo d’oro, con tre trionfi a testa, sono:

  • Achiel Buysse
  • Fiorenzo Magni
  • Eric Leman
  • Johan Museeuw
  • Tom Boonen
  • Fabian Cancellara.

Il toscano Magni è l’unico riuscito nell’impresa di ottenere le sue tre vittorie in modo consecutivo.

I belgi, da soli, nel primo secolo di storia di questa corsa hanno vinto il Fiandre un numero di volte quasi doppio rispetto ai corridori di tutti gli altri Paesi messi insieme. Ciò a conferma di quanto sia difficile primeggiare per chi non è nato da queste parti e non ha quindi l’abitudine a correre sui muri, con il vento, la pioggia e il gelo delle Fiandre.

Il percorso

Nelle prime edizioni il percorso superava ampiamente i 300 chilometri andando a toccare tutte le principali città del Belgio fiammingo.

In anni più recenti lo si è ridotto a “soli” 250-260 chilometri.

A differenza di gare come la Milano – Sanremo, il percorso varia spesso, anche perché le condizioni dei muri richiedono una manutenzione frequente; non è scontato che tutti i muri siano percorribili il giorno della corsa.

Negli anni a cavallo tra la fine dei 2010 e l’inizio dei 2020 l’arrivo è spesso fissato a Oudenaarde, cittadina sul fiume Schelda.

Il muro simbolo della corsa

Il simbolo della corsa è probabilmente il Muro di Grammont, o Muur van Geraardsbergen in fiammingo, come amava ricordare Adriano De Zan nelle sue appassionate telecronache, o anche Kapelmuur perché giusto in cima c’è una piccola chiesa.

E’ simbolico sia per la difficoltà dell’ascesa, che tocca anche la pendenza del 20%, sia perché in questo tratto si sono spesso decise le sorti della corsa, magari dopo duelli epici.

Un duello epico fu quello del 2010: lo svizzero Fabian Cancellara staccò l’idolo di casa Tom Boonen e si involò per cogliere il 1° dei suoi 3 successi: fu un trionfo clamoroso – ma non scevro di polemiche.

Cancellara Fiandre 2010
Fabian Cancellara sul pavé del Fiandre 2010 con moltissimi tifosi che lo incitano

Altri muri quasi altrettanto famosi e spettacolari sono:

  • l’Oude Kwaremont
  • il Paterberg
  • il brutale Koppenberg, che tocca il 22% di pendenza!

I tifosi

Sono tanti gli aneddoti sui tifosi che circondano questa corsa. Ogni storia testimonia l’infinita passione dei fiamminghi per il ciclismo e per il “loro” Giro delle Fiandre in particolare.

Si dice che fra i tifosi assiepati ai margini delle strade la birra – bevanda tradizionale del paese – scorra a fiumi e l’odore degli hotdog impregni l’aria per ore. Ma non tutti i tifosi sono “stanziali”: ci sono autentiche gare per riuscire a vedere più volte il passaggio degli atleti; e per riuscirci i tifosi si spostano in macchina da un punto all’altro del percorso.

Ovviamente non possono percorrere le stesse strade dei corridori e sono quindi costretti a studiare alternative che includono stradine di campagna a malapena transitabili.

Il colore predominante lungo tutto il percorso è decisamente il giallo, non solo quello dorato delle birre ma anche e soprattutto quello del leone fiammingo: la bandiera delle Fiandre rappresenta un leone nero in campo, appunto, giallo.

Bandiera delle Fiandre - Flanders flag
La bandiera delle Fiandre: un leone nero con lingua e artigli rossi campeggia sullo sfondo giallo

I vincitori italiani

Quando Fiorenzo Magni partì per andare a cogliere il suo primo trionfo, i corridori italiani non erano considerati adatti alle corse del Nord, tanto che non solo non vi partecipavano, ma nemmeno le conoscevano in dettaglio. La stessa squadra del toscano, la Willier Triestina, gli accordò il permesso di partecipare ma senza garantirgli alcun supporto.

Così Magni partì in treno, con la sua bicicletta e un unico gregario. Vinse la volata finale dopo 7 ore e 20 minuti di gara. Era il 10 aprile 1949.

Gli altri due successi consecutivi (1950 e 1951), ottenuti entrambi per distacco, gli valsero il soprannome di Leone delle Fiandre.

Il fenomenale “terzo uomo” del ciclismo italiano (chiamato così perché considerato tra i grandissimi della sua epoca, dopo Fausto Coppi e Gino Bartali) aveva uno spaventoso furore agonistico. Era un passista di rara potenza e si trovava perfettamente a suo agio nel gelo e nella pioggia, condizioni che spesso caratterizzano le Fiandre a inizio aprile.

Fiorenzo Magni - Fiandre 1951 - Tuttosport
La prima pagina del quotidiano sportivo Tuttosport (3 aprile 1951) con Fiorenzo Magni vincitore del Giro delle Fiandre

Il secondo italiano a imporsi fu il veneto Dino Zandegù, nel 1967.

Bisognerà poi aspettare fino al 1990 per un nuovo trionfo italiano. Quello di Moreno Argentin, che vinse al termine di una fuga a due con il belga Dhaenens.

Quattro anni (1994) dopo si parlò di Pasqua di resurrezione perché, alla fine di una splendida corsa che aveva chiamato allo scoperto molto presto i grandi favoriti, si impose Gianni Bugno, “risorgendo” da un periodo buio, con un contestatissimo sprint sul belga Museeuw; altro campione che su queste strade ha scritto pagine importanti.

Poco sofferta nel 1996 la vittoria del toscano Michele Bartoli, per quanto agevole possa essere un trionfo al Fiandre, in considerazione della straordinaria superiorità del toscano.

Il primo decennio del 2000 vide diverse vittorie tricolori: Gianluca Bortolami nel 2001; Andrea Tafi nel 2002; il veneto Alessandro Ballan vinse nel 2007 e l’anno successivo sarebbe diventato campione del mondo a Varese.

Nel 2019 vinse a sorpresa Alberto Bettiol, staccando di forza gli avversari con un’irresistibile progressione sull’Oude Kwaremont.

Le donne

Dal 2004 si disputa anche la corsa femminile, nello stesso giorno e sulle stesse strade degli uomini, sia pure su un chilometraggio ridotto.

La prima edizione fu vinta dalla russa Zul’fija Zabirova.

Le azzurre non si sono però limitate a fare da comprimarie e possono vantare già 2 successi. La prima vittoria risale al 2015 (edizione corsa su un totale di 145 chilometri) quando una Elisa Longo-Borghini realmente in stato di grazia salutò una compagnia comprendente tutte le più forti a 20 chilometri dall’arrivo, per non essere più rivista fino al traguardo.

Nel 2019 fu la campionessa europea in carica, Marta Bastianelli, a replicare: fulminò in volata due fuoriclasse come Annemiek van Vleuten e Cecilie Ludwig.

Fiandre 2019 - Alberto Bettiol e Marta Bastianelli
Al Fiandre 2019 i vincitori sono entrambe italiani: Alberto Bettiol e Marta Bastianelli

Sito ufficiale

Se state pianificando una gita e un viaggio in Belgio per assistere alla gara o addirittura pedalare lungo i percorsi del Giro delle Fiandre, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale Visit Flanders.

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Marcinelle (Belgio): gli italiani morti in miniera https://cultura.biografieonline.it/disastro-marcinelle/ https://cultura.biografieonline.it/disastro-marcinelle/#respond Wed, 17 Jun 2015 09:43:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14477 Ricordato come “Disastro di Marcinelle“, esso fu un terribile incidente che avvenne la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio. Persero la vita 262 persone su 275 al lavoro quel giorno.

Marcinelle (Belgio) disastro in miniera - 8 agosto 1956
Marcinelle (Belgio) : una foto storica che ricorda il disastro avvenuto in miniera il giorno 8 agosto 1956

La causa sarebbe stato un incendio innescato da una scintilla elettrica vicino al condotto dell’aria che provocò la diffusione del fumo in tutta la miniera, soffocando tutti i lavoratori lì presenti. L’incidente ebbe un impatto impressionante sulle coscienze della gente, restando per tanti anni uno dei più gravi nel suo genere mai avvenuti in Europa.

I lavoratori italiani coinvolti nel disastro

Gli operai provenivano per la maggior parte dall’Italia: persero la vita 136 italiani, 95 belgi e altri lavoratori provenienti da tutta Europa. L’Italia aveva sottoscritto un accordo con il Belgio il 20 giugno 1946, al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel quale si impegnava ad inviare 50.000 lavoratori nelle miniere in cambio di carbone.

Questo accadde perché il Belgio, non essendo molto popolato, perse ancor più forza lavoro a causa delle vittime della guerra e pertanto aveva un forte bisogno di manodopera proveniente dall’estero. La situazione dei lavoratori italiani all’epoca era molto precaria e molti, specie provenienti dalle zone più povere del paese, scelsero di andare a lavorare all’estero in cerca di fortuna.

Si intensificarono così i flussi migratori verso i paesi del nord Europa e, in modo particolare, nelle miniere belga, tedesche e francesi. Nel 1956 su un totale di 142.000 impiegati nelle miniere del Belgio ben 44.000 erano italiani.

Per convincere le persone ad emigrare in Belgio e a lavorare in miniera, erano state avviate in Italia molte campagne pubblicitarie e il bel paese veniva tappezzato di manifesti di colore rosa. Qui venivano presentati i vantaggi di questo mestiere: pensionamento anticipato, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, buono stipendio, assegni familiari etc.

Tuttavia non era incluso nessun cenno ai pericoli ai quali erano esposti questi lavoratori, dovuti in alla mancanza del rispetto delle elementari norme di sicurezza.

Dopo il disastro di Marcinelle, si ridusse notevolmente il numero di italiani immigrati in Belgio; attualmente vi risiedono stabilmente soltanto 190.000 italiani.

Le cause dell’incidente e il corso degli eventi

L’incendio, che causò poi la diffusione del fumo che soffocò i minatori, fu provocato da una scintilla elettrica vicino a dell’olio ad alta pressione. L’errore fu causato probabilmente da un equivoco di segnali che dovevano scambiarsi due lavoratori: Antonio I. addetto alle manovre, e il suo aiutante Vaussort.

Nell’atto di caricare l’ascensore, i due vagoncini, col carico di carbone da trasportare in superficie, sporgevano e per questo andarono ad urtare un’asse di acciaio (putrella) che a sua volta andò ad urtare il condotto di olio, il filo della corrente elettrica e le condotte di aria compressa.

Tutte queste componenti innescarono un terribile incendio. Ciò avvenne proprio vicino al pozzo di entrata dell’aria e il fumo si diffuse velocemente nelle condotte d’aria e in tutte le gallerie della miniera, provocando il soffocamento dei minatori che vi lavoravano.

Il fuoco divampò invece in una zona circoscritta della miniera. L’allarme venne dato da Antonio I. alle ore 8:25 quando risalì in superficie per primo, anche se si era già capito dalle 8:10 che stava succedendo qualcosa di molto grave poiché iniziarono ad interrompersi le comunicazioni.

La prima squadra di soccorritori arrivò soltanto alle 8:58 ma fu impossibile scendere a causa del troppo fumo. Nessuno riuscì a scendere prima delle 15:00, quando vennero ritrovati solo 3 superstiti, mentre gli ultimi 3 furono scoperti più tardi, in un’altra spedizione.

Marcinelle - Prima pagina giornale (Corriere della sera) - 9 agosto 1956
Disastro di Marcinelle: La prima pagina del Corriere della sera, del 9 agosto 1956

Dopo l’incidente

La mobilitazione generale fu enorme: sul posto si riunirono Croce Rossa, Pompieri, Protezione Civile e Polizia, tentando invano di raggiungere i minatori bloccati sottoterra. Si cercò di aprire anche un cunicolo laterale ma era già troppo tardi. Arrivarono anche semplici cittadini che volevano aiutare i soccorritori nelle ricerche.

Sul posto perfino un esperto francese con l’apparecchiatura radiotelefonica, pronto a captare qualsiasi segnale proveniente da sottosuolo. Da ricordare due personaggi in particolare: G. Ladrière “l’angelo di Cazier”, assistente sociale che tentò di consolare le famiglie delle vittime, e Angelo Galvan “la volpe di Cazier” che cercò fino all’ultimo i suoi compagni superstiti, purtroppo invano.

Il ministro dell’economia Jean Rey creò una commissione di inchiesta composta anche da due ingegneri italiani, Caltagirone e Gallina, tentando di rintracciare i responsabili diretti o indiretti della tragedia. La commissione era composta da 27 membri che si riunirono in 20 sedute, ogni gruppo di membri cercò di difendere i propri interessi anziché ricercare la verità sull’accaduto.

L’inchiesta giudiziaria fu avviata dal magistrato Casteleyn e vide al suo termine un solo condannato: l’ingegnere Calicis; a lui furono dati 6 mesi con la condizionale e una multa di 2000 franchi belga. Le restanti 4 persone vennero assolte e la società Bois du Cazier venne condannata a pagare una parte delle spese per risarcire i parenti delle vittime: la causa si concluse solo nel 1964 con un accordo tra le parti.

Le omissioni

Quel che è certo è che sicuramente la tragedia poteva essere, se non evitata, quando meno ridimensionata. I minatori non morirono serenamente sul loro posto di lavoro ma cercarono di scappare, tant’è vero che molti di loro furono ritrovati cadaveri lontano da dove erano soliti lavorare.

Esisteva un verricello di emergenza, una sorta di ascensore, che doveva funzionare in caso di blocco di quello principale ma non venne mai utilizzato dai soccorritori a causa della scarsa velocità con la quale saliva e scendeva.

Le riserve d’acqua erano piene solo per metà e questo costrinse i pompieri a spegnere l’incendio con l’acqua delle condutture domestiche.

Per quanto riguarda la dinamica dell’incidente principale, non si è arrivati mai alla scoperta della verità in quanto dopo lo spegnimento dell’incendio il vagoncino che doveva sporgere in realtà non si capovolse nemmeno e fu ritrovato al suo posto. Probabilmente la causa era molto più complessa di quella che fu fornita ufficialmente.

Certo è che l’assenza durante quella mattina di alcune figure fondamentali nella direzione del lavoro della miniera  giocò un ruolo fondamentale. Mancavano sul posto di lavoro J. Bochkoltz, il direttore della centrale di soccorso, P. Dassargues, ingegnere ancora in periodo di tirocinio, ed E. Jacquemyn, il direttore generale della miniera, tutti prosciolti.

La giustizia non fece il suo corso e i veri motivi della strage probabilmente non saranno mai chiariti. A distanza di tanti anni resta il dolore per quei tanti lavoratori italiani, emigrati alla ricerca di fortuna e che invece di trovare un buon posto di lavoro, trovarono la morte in un terribile incidente.

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