Basilica di San Pietro Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Jan 2021 17:22:50 +0000 it-IT hourly 1 La vocazione di San Matteo https://cultura.biografieonline.it/vocazione-san-matteo/ https://cultura.biografieonline.it/vocazione-san-matteo/#comments Tue, 02 Feb 2016 12:35:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16412 La vocazione di San Matteo è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni (322 cm x 340 cm) che il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) realizzò durante il suo soggiorno romano, intorno al 1599. L’opera fa parte di un ciclo pittorico costituito da tre grandi tele (le altre due sono “Il martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’angelo“) avente come tema la vita di San Matteo.

Vocazione di San Matteo - Michelangelo Merisi da Caravaggio - 1599-1600
Vocazione di San Matteo (Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1599-1600)

Si tratta del primo incarico pubblico ricevuto a Roma dal pittore, grazie all’intercessione del cardinale Berlingero Gessi (responsabile a quel tempo della basilica di San Pietro) con la committenza, rappresentata dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli). Il ciclo pittorico era destinato a trovare collocazione presso la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, all’interno della cappella Contarelli, così denominata poiché era stata acquistata nel 1565 dal defunto cardinale francese.

San Matteo e il Vangelo

Il dipinto, che ancora oggi trova posto sul lato sinistro, guardando verso l’altare, della suddetta cappella, è ispirato ad un brano del Vangelo (Matteo 9,9 – 13) in cui l’apostolo Matteo racconta la propria chiamata da parte di Gesù Cristo. Matteo, prima di incontrare il Redentore, era un pubblicano, ovvero un esattore dei tributi incaricato dall’Impero romano. Quella del pubblicano era una figura disprezzata dalla popolazione in quanto, chi ricopriva questa carica, curava gli interessi del dominatore, ed altresì traeva solitamente dei vantaggi personali grazie alla propria posizione. Matteo è dunque un peccatore, attaccato ai beni materiali, destinato alla misericordia del Signore sceso in terra non per chiamare i giusti, ma i peccatori.

La vocazione di San Matteo: analisi dell’opera

In Caravaggio, arte e vita si fondono e si confondono; egli è un rivoluzionario, è il pittore dei peccatori che cercano di passare dall’oscurità alla luce, è l’artista che sceglie di mostrare il sacro nelle vesti umane. Dipinge il vero, rappresenta la realtà, svela ciò che c’è, scegliendo tra i popolani i suoi modelli per rappresentare le figure sacre, rifiutando così la validità del disegno ideale e idealizzato, il manierismo e le facce dell’iconografia ufficiale.

Caravaggio catapulta Gesù Cristo, San Pietro, Matteo ed altri tre personaggi all’interno di un ambiente che somiglia tanto alle locande romane della sua epoca, facendo loro indossare persino gli abiti di foggia francese in voga in quel periodo (Gesù e San Pietro indossano invece una tunica e sono scalzi): è una delle prime volte in cui viene rappresentato un evento sacro totalmente decontestualizzato.

I sei protagonisti del dipinto, nel rappresentare tutte le fasce di età della vita (l’infanzia, l’adolescenza, l’età matura, la vecchiaia), simboleggiano l’intera umanità che, in qualsiasi momento, può ricevere la chiamata divina.

Caravaggio, come spesso accade nei suoi dipinti, ci propone un’istantanea: Gesù fa il suo ingresso improvviso nel locale, accompagnato da San Pietro, mentre Matteo, un giovane ed un vecchio con gli occhiali sono intenti a contare del denaro. Con un gesto della mano destra (che ricorda la mano di Adamo, protesa verso quella di Dio, affrescata da Michelangelo Buonarroti sulla volta della Cappella Sistina), Cristo indica Matteo che, a sua volta, con la mano destra sui soldi riscossi, dirige stupito il proprio indice sinistro verso se stesso, quasi come a far richiesta di un chiarimento, di una conferma, quasi come se dicesse :”Ma chi, io?”.

Vocazione di San Matteo - dettaglio
Vocazione di San Matteo: il dettaglio dei personaggi seduti alla tavola e delle dita che li indicano.

Pietro, che rappresenta la Chiesa, punta anch’egli l’indice della mano destra verso Matteo. Ogni personaggio presente sulla scena, colto di sorpresa dall’Amore divino, reagisce in maniera differente: c’è il giovane seduto su di una sedia, con la spada sul fianco, che entra in allerta (lo manifestano i polpacci tesi che ci fanno immaginare un suo repentino scatto per alzarsi a difesa del gruppo), c’è il bambino che rimane tranquillo mentre si interroga su quello che sta accadendo, ci sono il vecchio con gli occhiali e l’uomo seduto con il capo chino che continuano con indifferenza a contare i soldi.

Vocazione di San Matteo - dettaglio - polpacci tesi
Il dettaglio dei polpacci tesi

La luce, simbolo della Grazia divina, non proviene dalla finestra chiusa posta in alto sulla destra della tela (da notare il riquadro ligneo dell’infisso che forma una croce sulla superficie vetrata) ma da altrove, da una sorgente indefinita al di fuori dell’inquadratura. Il fascio si staglia e taglia la tela in modo direzionale da destra a sinistra e investe tutti, senza nessuna gerarchia, ma solo Matteo risponde alla chiamata; questa non è altro che l’espressione del libero arbitrio, della scelta che ogni individuo può compiere nell’accogliere o meno la salvezza.
Caravaggio, libero rivoluzionario, ha dipinto la libertà.

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Il Giudizio Universale di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/giudizio-universale-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/giudizio-universale-michelangelo/#comments Sun, 23 Mar 2014 22:16:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10215 Nel 1534, interrompendo le opere laurenziane, Michelangelo Buonarroti lascia Firenze, dove non tornerà più, e si reca a Roma per dipingere il “Giudizio Universale” nella parete di fondo della Cappella Sistina (affresco; metri 13,70×12,20. Roma, Palazzo Vaticano, Cappella Sistina).

Il Giudizio Universale di Michelangelo (dettaglio)
Il Giudizio Universale: un dettaglio dell’imponente capolavoro di Michelangelo Buonarroti

Per dipingere questo affresco ne fu distrutto un altro del Perugino che si trovava nella parte bassa, e, in alto, le lunette dipinte dallo stesso Michelangelo insieme alla volta. Nelle lunette nuovamente dipinte sono raffigurati gli strumenti della Passione; Cristo è al centro dell’affresco, avendo alla sua destra gli eletti, alla sua sinistra i dannati; in basso a sinistra è rappresentata la resurrezione della carne, al centro una grotta (probabilmente l’ingresso all’inferno), poi, con sicuro riferimento a Dante, Caronte con alcuni peccatori e, nell’angolo di destra, Minosse.

Intorno al 1536 il pittore inizia a tradurre i cartoni sul muro e, dopo quattro o cinque anni di lavoro, nel 1541 la grande parete fu resa visibile al pubblico. Le quasi quattrocento figure campeggiano contro il cielo libero, senza riferimenti prospettici.

Ancor più che altrove, la pittura si identifica con un altorilievo, incentrato sulla figura di Cristo giudice, la cui inesorabilità è mitigata dalla presenza della Madonna, dolcemente raccolta accanto a lui.

Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti
Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti

Cristo, nell’emettere il suo giudizio inappellabile, imprime con il suo alzare e abbassare le braccia, un movimento all’intera composizione, ascendente a sinistra, discendente a destra, chiamando a sé, verso l’alto dei cieli, gli eletti, e precipitando verso il basso dell’inferno i dannati.

Al tempo stesso, avvolgendosi su se stesso, trasmette un’analoga rotazione a tutte le altre immagini, dalle più vicine alle più lontane, come Caronte che, dantescamente, traghetta le anime peccatrici.

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La Pietà di Michelangelo https://cultura.biografieonline.it/la-pieta-di-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/la-pieta-di-michelangelo/#comments Fri, 18 Jan 2013 19:34:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=6011 La Pietà fu realizzata da Michelangelo fra il 1498 e il 1499. E’ la seconda opera commissionata dal Vaticano allo scultore fiorentino. La prima fu il Bacco. Il contratto per la realizzazione dell’opera fu firmato nel 1498 su commissione del cardinale Bilhères de Lagraulas, abate di Saint-Denis. Inizialmente l’opera doveva essere posta sopra alla tomba del cardinale, nella Cappella di Santa Petronilla, vicino alla Basilica di San Pietro.

Michelangelo, La Pietà
La Pietà, celebre scultura di Michelangelo Buonarroti

Attualmente è esposta nella prima cappella a destra della Basilica. La Pietà è una delle opere più famose di Michelangelo il quale la realizzò a 24 anni ricevendone in cambio una fama immensa. Si tratta della raffigurazione della Vergine che tiene sulle ginocchia il corpo del figlio morto.

Una delle ipotesi identifica il tema della scultura con l’avvenimento tragico che colpì il papa dell’epoca, Alessandro IV, il cui figlio, il duca di Gandia, proprio nel 1497 venne ucciso in battaglia. La scultura ha un’altezza di 174 cm, una larghezza di 195 cm e una profondità di 69 cm. Il modello, che all’epoca Michelangelo Buonarroti scelse, era molto diffuso in Europa, tuttavia la fluidità dei corpi, la bellezza dei volti, la perfezione dell’anatomia dei corpi, la tensione del dolore e della sofferenza della Vergine che sembra sul punto di scoppiare ma che viene trattenuta con grandissima dignità, rendono l’opera un capolavoro unico.

La Vergine appare molto giovane con un volto fuori dalla cronologia ufficiale e questo per dare un senso di incorruttibilità senza tempo al personaggio che porta sulle ginocchia un corpo, quello del Cristo, martoriato dai peccati del mondo che il martire ha deciso, prima di morire, di portare su di sé.

La Pietà regalò un prestigio immenso a Michelangelo, del quale il giovane scultore era perfettamente consapevole, tanto che decise, per la prima e ultima volta, di firmare l’opera incisa su una cintura posta sul petto della Vergine: “Michelangelus Bonarotus florent faciebant”.

Un’altra scultura celebre dell’artista fiorentino è la Pietà Rondanini: conservata a Milano, è la sua ultima opera, rimasta incompiuta prima della morte.

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Le 95 tesi di Martin Lutero https://cultura.biografieonline.it/le-95-tesi-di-martin-lutero/ https://cultura.biografieonline.it/le-95-tesi-di-martin-lutero/#comments Wed, 19 Sep 2012 07:44:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3869 Con il termine “Le 95 tesi di Martin Lutero” si intende l’elenco di punti che costituisce il trattato sul potere e l’efficacia delle indulgenze della Chiesa cattolica romana che il predicatore tedesco elaborò e che portò in breve alla Riforma Protestante. La discussione suscitata dalle tesi di Martin Lutero sfidò gli insegnamenti religiosi canonici del tempo, affrontando temi circa la natura della penitenza e l’autorità del papa. I riflessi e le consguenze in ambito politico non tardarono ad affiancare gli aspetti religiosi che accompagnavano il dibattito teologico.

Martin Lutero rappresentato mentre affigge le sue 95 tesi
Martin Lutero rappresentato mentre affigge le sue 95 tesi

Secondo la tradizione pare che Lutero affisse le sue 95 tesi sul portone della Chiesa di Wittenberg (in Sassonia), il giorno 31 ottobre 1517.

La pubblicazione e l’affisione di Lutero delle sue tesi fu ispirata soprattutto da un evento: la vendita delle indulgenze da parte del prete domenicano Johann Tetzel su commissione dell’Arcivescovo di Magonza e del papa Leone X. Obiettivo finale della vendita fu la raccolta di fondi per finanziare la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. Si trattava di veri e propri documenti scritti, in cui si affermava che i peccati venivano perdonati: i fedeli potevano così presentarsi in confessionale con il proprio documento alla mano.

Testo delle 95 tesi di Martin Lutero

1. Il signore e maestro Gesù Cristo dicendo: “Fate penitenza ecc.” volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
2. Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).
3. Non intende però solo la penitenza interiore, anzi quella interiore è nulla se non produce esteriormente varie mortificazioni della carne.
4. Rimane cioè l’espiazione sin che rimane l’odio di sé (che è la vera penitenza interiore), cioè regno dei cieli.
5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per volontà propria o dei canoni.
6. Il papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa rimarrebbe certamente.
7. Sicuramente Dio non rimette la colpa a nessuno, senza sottometterlo contemporaneamente al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.
8. I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla si deve imporre in base ad essi ai moribondi.
9. Lo Spirito Santo dunque, nel papa, ci benefica eccettuando sempre nei suoi decreti i casi di morte e di necessità.
10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti, i quali riservano penitenze canoniche per il purgatorio ai moribondi.
11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del Purgatorio certo appaiono seminate mentre i vescovi dormivano.
12. Una volta le pene canoniche erano imposte non dopo, ma prima dell’assoluzione, come prova della vera contrizione.
13. I morituri soddisfano ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.
14. La integrità o carità perfetta del morente, porta necessariamente con sé un gran timore, tanto maggiore quanto essa è minore.
15. Questo timore e orrore basta da solo, per tacere d’altro, a costituire la pena del purgatorio, poiché è prossimo all’orrore della disperazione.
16. L’inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
17. Sembra necessario che nelle anime del purgatorio di tanto diminuisca l’orrore di quanto aumenti la carità.
18. Né appare approvato sulla base della ragione e delle scritture, che queste anime siano fuori della capacità di meritare o dell’accrescimento della carità.
19. Né appare provato che esse siano certe e sicure della loro beatitudine, almeno tutte, sebbene noi ne siamo certissimi.
20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
21. Sbagliano pertanto quei predicatori d’indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l’uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
22. Il papa, anzi, non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.
23. Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le pene, è certo che essa può esser data solo ai perfettissimi, cioè a pochissimi.
24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.
25. La stessa potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l’ha ogni vescovo e curato in particolare nella propria diocesi o parrocchia.
26. Il papa fa benissimo quando concede alle anime la remissione non per il potere delle chiavi (che non ha) ma a modo di suffragio
27. Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa, l’anima se ne vola via.
28. Certo è che al tintinnio della moneta nella cesta possono aumentare la petulanza e l’avarizia: invece il suffragio della chiesa è in potere di Dio solo.
29. Chi sa se tutte le anime del purgatorio desiderano essere liberate, a giudicare da un aneddoto che si narra riguardo ai santi Severino e Pasquale?.
30. Nessuno è certo della sincerità della propria contrizione, tanto meno del conseguimento della remissione plenaria.
31. Tanto è raro il vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente le indulgenze, cioè rarissimo.
32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere sicuri della loro salute sulla base delle lettere di indulgenza.
33. Specialmente sono da evitare coloro che dicono che tali perdoni del papa sono quel dono inestimabile di Dio mediante il quale l’uomo è riconciliato con Dio.
34. Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze riguardano solo le pene della soddisfazione sacramentale stabilite dall’uomo.
35. Non predicano cristianamente quelli che insegnano che non è necessaria la contrizione per chi riscatta le anime o acquista lettere confessionali.
36. Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza.
37. Qualunque vero cristiano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.
38. Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non deve essere disprezzata in nessun modo perché, come ho detto [v. tesi n°6], è la dichiarazione della remissione divina.
39. È straordinariamente difficile anche per i teologi più saggi esaltare davanti al popolo ad un tempo la prodigalità delle indulgenze e la verità della contrizione.
40. La vera contrizione cerca ed ama le pene, la larghezza delle indulgenze produce rilassamento e fa odiare le pene o almeno ne dà occasione.
41. I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza, perché il popolo non intenda erroneamente che essi sono preferibili a tutte le altre buone opere di carità.
42. Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del papa equiparare in alcun modo l’acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.
43. Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e fa l’uomo migliore, mentre con le indulgenze non diventa migliore ma solo più libero dalla pena.
45. Occorre insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e trascurandolo dà per le indulgenze si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio.
46. Si deve insegnare ai cristiani che se non abbondano i beni superflui, debbono tenere il necessario per la loro casa e non spenderlo per le indulgenze.
47. Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze è libero e non di precetto.
48. Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno così desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni piuttosto che monete sonanti.
49. Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si perde il timor di Dio.
50. Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.
51. Si deve insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe, anche a costo di vendere – se fosse necessario – la basilica di San Pietro, dare dei propri soldi a molti di quelli ai quali alcuni predicatori di indulgenze estorcono denaro.
52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenza. anche se un commissario e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.
53. Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali perché si predichino le indulgenze fanno tacere completamente la parola di Dio in tutte le altre chiese.
54. Si fa ingiuria alla parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo eguale o maggiore all’indulgenza che ad essa.
55. È sicuramente desiderio del papa che se si celebra l’indulgenza, che è cosa minima, con una sola campana, una sola processione, una sola cerimonia, il vangelo, che è la cosa più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.
56. I tesori della Chiesa, dai quali il papa attinge le indulgenze, non sono sufficientemente ricordati né conosciuti presso il popolo cristiano.
57. Certo è evidente che non sono beni temporali, che molti predicatori non li profonderebbero tanto facilmente ma piuttosto li raccoglierebbero.
58. Né sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre, indipendentemente dal papa, la grazia dell’uomo interiore, la croce, la morte e l’inferno dell’uomo esteriore.
59. San Lorenzo chiamò tesoro della Chiesa i poveri, ma egli usava il linguaggio del suo tempo.
60. Senza temerarietà diciamo che questo tesoro è costituito dalle chiavi della Chiesa donate per merito di Cristo.
61. È chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi basta la sola potestà del papa.
62. Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio.
63. Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo perché dei primi fa gli ultimi.
64. Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione gratissimo perché degli ultimi fa i primi.
65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali un tempo si pescavano uomini ricchi.
66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
67. Le indulgenze che i predicatori proclamano grazie grandissime, si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono.
68. Sono in realtà le minime paragonate alla grazia di Dio e alla pietà della croce.
69. I vescovi e i parroci sono tenuti a ricevere con ogni riverenza i commissari dei perdoni apostolici.
70. Ma più sono tenuti a vigilare con gli occhi e le orecchie che essi non predichino, invece del mandato avuto dal papa, le loro fantasie.
71. Chi parla contro la verità dei perdoni apostolici sia anatema e maledetto.
72. Chi invece si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore di indulgenze, sia benedetto.
73. Come il papa giustamente fulmina coloro che operano qualsiasi macchinazione a danno della vendita delle indulgenze.
74. Così molto più gravemente intende fulminare quelli che col pretesto delle indulgenze operano a danno della santa carità e verità.
75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio, è essere pazzi.
76. Al contrario diciamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.
77. Dire che neanche S. Pietro se pure fosse papa, potrebbe dare grazie maggiori, è bestemmia contro S. Pietro e il papa.
78. Diciamo invece che questo e qualsiasi papa ne ha di maggiori, cioè l’evangelo, le virtù, i doni di guarigione, ecc. secondo I Corinti 12 [1 COR, 12].
79. Dire che la croce eretta solennemente con le armi papali equivale la croce di Cristo, è blasfemo.
80. I vescovi i parroci e i teologi che consentono che tali discorsi siano tenuti al popolo ne renderanno conto.
81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa sì che non sia facile neppure ad uomini dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle calunnie e dalle sottili obiezioni dei laici.
82. Per esempio: perché il papa non vuota il purgatorio a motivo della santissima carità e della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero infinite di anime in forza del funestissimo denaro dato per la costruzione della basilica, che è una ragione debolissima?
83. Parimenti: perché continuano le esequie e gli anniversari dei defunti e invece il papa non restituisce ma anzi permette di ricevere lasciti istituiti per loro, mentre è già un’ingiustizia pregare per dei redenti?
84. Parimenti: che è questa nuova di Dio e del papa, per cui si concede ad un uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un’anima pia e amica di Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di tale anima pia e diletta?
85. Ancora: perché canoni penitenziali per sé stessi e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a motivo della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora col denaro come se avessero ancora vigore?
86. Ancora: perché il papa le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro con i propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?
87. Ancora: cosa rimette o partecipa il papa a coloro che con la contrizione perfetta hanno diritto alla piena remissione e partecipazione?
88. Ancora: quale maggior bene si recherebbe alla Chiesa, se il papa, come fa ogni tanto, così cento volte ogni giorno attribuisse queste remissioni e partecipazioni a ciascun fedele?
89. Dato che il papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime piuttosto che il danaro perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse, quando sono ancora efficaci?
90. Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate, anzi non esisterebbero.
92. Addio dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano “Pace. pace”, mentre non v’è pace.
93. Valenti tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano «Croce, croce», mentre non v’è croce.
94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le mortificazioni e gli inferni.
95. E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni che per la sicurezza della pace.

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La Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti https://cultura.biografieonline.it/la-cappella-sistina-di-michelangelo-buonarroti/ https://cultura.biografieonline.it/la-cappella-sistina-di-michelangelo-buonarroti/#comments Tue, 24 Apr 2012 20:37:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1604 Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti
Il Giudizio Universale presente nella Cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo Buonarroti

La Cappella Sistina ogni anno richiama a sé migliaia di turisti da tutto il mondo, perché è sicuramente una delle opere d’arte più belle e fascinose del nostro Paese. Racchiusa nei Musei Vaticani a Roma, nasce sulla ristrutturazione dell’antica Cappella Magna, avvenuta tra il 1477 e il 1480. Sono questi gli anni di papa Sisto IV della Rovere (pontefice dal 1471 al 1484), da cui la cappella eredita il nome.

Al suo interno, quello che maggiormente risalta sono gli affreschi che ricoprono la volta di Michelangelo Buonarroti e “Il Giudizio Universale”, che invece riempie la parete dell’altare. Nella Cappella Sistina, però si possono apprezzare anche i contributi quattrocenteschi di altri artisti importanti per la storia italiana, come Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, ma anche Pier Matteo d’Amelia che dipinse un cielo stellato.

Una foto della Cappella Sistina
Un’altra foto della volta della Cappella Sistina

Questi artisti lavorarono nella cappella sistina tra il 1481 e il 1482, fin quando nel 1483 il nuovo pontefice Giulio II della Rovere, nipote di Sisto IV, esprime il desiderio di modificare la decorazione e chiama il giovane Michelangelo Buonarroti, che inizia il suo lavoro nel 1508. Buonarroti si occupa di dipingere la volta e le lunette nella parte alta delle pareti. Non è un compito facile e il problema da affrontare è il raggiungimento del soffitto. Come fare? Il Bramante cerca di aiutare Michelangelo proponendogli una struttura costituita da funi, ma il Buonarroti rifiuta il progetto, perché potrebbe causare dei buchi nelle pareti. Così, sceglie di costruirsi da solo una semplice impalcatura di legno organizzata in gradoni.

Poi c’è l’ostacolo dell’intonaco, soggetto a muffa. Per risolvere questo inconveniente, Jacopo l’Indaco propone a Michelangelo una nuova miscela resistente alla muffa davvero efficace, tanto che questo prodotto rivoluzionò la tradizione costruttiva del Paese.

Il giorno 1 novembre 1512 Michelangelo completa i suoi affreschi e la Cappella Sistina viene mostrata al pubblico per la prima volta: papa Giulio II inaugura il capolavoro con una messa solenne.  La cappella è davvero meravigliosa, non sembra più la stessa. Certo il contratto firmato da Michelangelo prevedeva la raffigurazione dei dodici Apostoli, mentre nella sua opera compaiono più di 300 figure. Nei nove riquadri centrali si possono vedere le Storie della Genesi, negli spazi tra le vele, invece, si scorgono le cinque Sibille e i sette Profeti. Nei pennacchi angolari, ci sono le Salvazioni miracolose di Israele, infine, nelle vele e nelle lunette sono stati raffigurati gli Antenati di Cristo.

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Non è questa, però, la Cappella Sistina definitiva. Nel 1533, infatti, il Papa Clemente VII de’ Medici (pontefice dal 1523 al 1534) richiama Michelangelo. Per lui c’è un nuovo lavoro: deve modificare nuovamente la decorazione. Stavolta deve dipingere il Giudizio Universale sulla parete dell’altare. Non è un lavoro da poco, perché purtroppo la modifica causa la perdita di numerosi affreschi quattrocenteschi di grande valore, come la Vergine Assunta tra gli Apostoli e alcuni episodi delle storie di Mosè e di Cristo, realizzate dal Perugino. Viene, infatti, ricordato come il primo intervento distruttivo della storia.

Michelangelo si mette all’opera nel 1536 e riesce a concludere l’affresco cinque anni più tardi. È un capolavoro assoluto, tanto che la Cappella Sistina è diventata “il santuario della teologia del corpo umano” (Omelia, pronunciata da S.S. Giovanni Paolo II, 8 aprile 1994).
L’affresco è strutturato in modo tale girare intorno alla figura del Cristo, che occupa totalmente la scena. È interessante inoltre ricordare che il Giudizio universale non accolse solo elogi, ma anche numerose polemiche, a causa di alcune figure rappresentate e giudicate oscene (perché completamente nude). Nel 1564 Daniele da Volterra è incaricato, a seguito della decisione presa della Congregazione del Concilio di Trento dopo la morte di Michelangelo, di coprire le figure considerate volgari con delle braghe. Per questo motivo, quest’artista è ricordato come il “braghettone”. Le braghe sono state parzialmente rimosse negli ultimi interventi di restauro.

La Cappella, che si trova a destra della Basilica di San Pietro nel Palazzo Apostolico, non è solo un’opera d’arte o una meta turistica. Qui, ancora oggi, si tiene il Conclave per l’elezione del Papa.

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