Aziende Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 06 Nov 2024 08:05:52 +0000 it-IT hourly 1 Adidas: storia del marchio e 3 curiosità https://cultura.biografieonline.it/adidas-storia/ https://cultura.biografieonline.it/adidas-storia/#comments Fri, 16 Aug 2024 15:57:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2945 La storia dell’Adidas prende il via nel 1920, a Herzogenaurach, una piccola località non lontana da Norimberga, in Germania. Qui, Adolf Dassler comincia a pensare a realizzare delle scarpe specifiche per fare sport: si tratta di una novità assoluta, che diventa ancora più importante quando Adolf pensa a scarpe specifiche per ogni sport. Dassler, quindi, pianifica la creazione di scarpe pensate per l’atletica: egli, infatti, è a sua volta un atleta, e nel giro di poco tempo dimostra a tutti la qualità delle sue intuizioni.

Logo Adidas
Logo Adidas

Le scarpe alle Olimpiadi

Così, in occasione delle Olimpiadi di Amsterdam in scena nel 1928, gli atleti in gara indossano per la prima volta delle scarpe munite di “spikes”, vale a dire tacchetti, in grado di regalare prestazioni eccezionali grazie a una migliore presa rispetto alle calzature tradizionali.

Jesse Owens
Jesse Owens (1936)

La prima atleta ad aggiudicarsi una medaglia d’oro indossando scarpe nate dall’ingegno di Adolf è Lina Radke, che vince gli ottocento metri stabilendo il nuovo primato mondiale. Dassler, così, riesce a far conoscere in tutto il mondo le sue creazioni, dopo aver aperto, quattro anni prima (nel 1924) insieme al fratello Rudolf Dassler, la “Fabbrica di Scarpe dei fratelli Dassler” (Gebrueder Dassler Schulfabrik), un negozio che vende articoli sportivi.

Dassler ottiene grandi soddisfazioni grazie alle sue idee, e così inizia a pensare anche a scarpe per altri sport: nel 1931, per esempio, è la volta delle scarpe da tennis. Alle Olimpiadi di Berlino del 1936 il campione Jesse Owens indossa scarpe firmate da Dassler, ed è anche grazie a esse che conquista quattro ori a cinque cerchi.

Adidas e Puma

L’anno successivo, la scarpe Dassler possono essere utilizzate in undici sport differenti, per un totale di trenta modelli: la scarpa sportiva moderna è ormai famosa. Le cose, tuttavia, vanno bene dal punto di vista professionale, ma non da quello personale: Adolf, infatti, continua a litigare con suo fratello Rudolf, anche a proposito delle modalità di gestione dell’azienda. I due, così, rompono e si separano: ognuno decide di fondare una propria azienda.

È il 1948: Rudolf fonda una fabbrica chiamata Puma, mentre Adolf dà ufficialmente vita all’Adidas il 18 agosto 1949: il nome Adidas arriva da Adi, il soprannome con cui Adolf viene chiamato dagli amici, e dalle prime tre lettere del suo cognome.

Adolf Dassler mentre sistema i tacchetti di un paio di scarpe da calcio
Adolf Dassler mentre sistema i tacchetti di un paio di scarpe da calcio

Costantemente impegnato nello sviluppo della nuova azienda, Dassler si dedica in particolar modo alle scarpe da calcio, e così nel 1950 dà vita alle Adidas Samba, progettate in maniera particolare per gli allenamenti quotidiani dei giocatori. Ai Campionati del Mondo di Svizzera 1954 i giocatori della Nazionale tedesca calzano scarpe Adidas: a Berna, in occasione della finale, c’è anche Adolf, che alla fine del primo tempo si precipita negli spogliatoi per modificare la forma dei tacchetti e adattarli al terreno bagnato dalla pioggia.

La Germania sconfiggerà l’Ungheria e si laureerà campione del mondo, e Dassler, in virtù dei tacchetti intercambiabili delle sue scarpe, diventerà un eroe al pari dei calciatori.

L’invenzione delle sponsorizzazioni sportive

Adidas inventa, nel contempo, la sponsorizzazione sportiva, e si pubblicizza grazie ai calciatori che equipaggia. Per la fabbrica tedesca viene addirittura inventato il retronimo “All Day I Dream About Sports”, a dimostrazione della sua fama, confermata – per altro – dal fatto che più del 70 % degli atleti che partecipano alle Olimpiadi di Roma vestono Adidas. Vestono, perché nel frattempo si è deciso di puntare anche sull’abbigliamento sportivo: ne sono testimonial, tra gli altri, anche Dick Fosbury, Muhammad Ali, Franz Beckenbauer, il già citato Jesse Owens e Sepp Herberger.

Adidas Strisce

Adidas così inizia, progressivamente, a prendere le caratteristiche che oggi le riconosciamo: per esempio le tre strisce laterali, pensate per favorire la stabilità delle scarpe, e che nel giro di poco tempo divengono un segno riconoscibile del marchio Adidas, al punto da essere riprese anche nei capi di abbigliamento.

Le sponsorizzazioni della casa tedesca vanno oltre lo sport, come dimostrano i vestiti sportivi di Bob Marley: la moda detta legge, e l’idea di sponsorizzare un personaggio famoso (non necessariamente uno sportivo, ma anche un musicista) garantendosi i diritti esclusivi per la sua immagine rappresenta un’intuizione fantastica.

Adidas Bob Marley
Adidas Bob Marley

Il genio di Adolf Dassler

La mano di Adolf, in ogni caso, si rivela indispensabile anche nel momento in cui Adidas diventa una macchina da centinaia di milioni di dollari.

Per esempio, durante le Olimpiadi di Montreal 1976.

Dassler sta guardando in tv le batterie di qualificazione dei quattrocento metri piani: nota nel movimento del cubano Alberto Juantorena qualcosa di strano, uno scivolamento verso l’esterno nelle curve. Adolf chiama i tecnici inviati in Canada per far sì che controllino le scarpe dell’atleta centroamericano: i chiodi regolabili singolarmente, novità messa a punto da Adolf per le Olimpiadi canadesi, sono stati involontariamente manomessi, e la loro altezza è stata aumentata.

Ad accorgersene non è stato Juantorena, ma Dassler, dall’altra parte del mondo, attraverso uno schermo televisivo.

È la conferma del genio.

Una fotografia firmata Adi Dassler
Una fotografia firmata Adi Dassler

Adolf Dassler muore due anni dopo, il 6 settembre 1978, lasciando al mondo un’eredità di circa settecento brevetti.

Adidas, naturalmente, continua la sua cavalcata anche senza il suo fondatore. Oggi l’azienda tedesca è uno dei leader nel settore, e, dopo aver acquistato l’inglese Reebok, è seconda solo al gigante Nike.

Un modello Adidas Samba
Un modello Adidas Samba

I modelli storici di Adidas sono sempre più in voga, grazie alla voglia di vintage dei consumatori, e nel catalogo della casa tedesca resistono modelli come Campus, SuperStar e Samba che hanno fatto la storia per decenni, con fantasie e colori differenti.

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Cosa fa il Digital Project Manager e perché è utile alle Aziende https://cultura.biografieonline.it/coaching-aziendale/ https://cultura.biografieonline.it/coaching-aziendale/#comments Tue, 11 Jul 2023 06:18:17 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=27141 Avviare un percorso di team building aziendale è un’esigenza sempre più avvertita dalle aziende, non solo quelle più grandi e strutturate, ma anche le più piccole e le start-up, che decidono di “partire con il piede giusto” programmando gli obiettivi da raggiungere in maniera più puntuale, con il coinvolgimento di dipendenti e collaboratori il più possibile competenti e motivati.

coaching, coaching aziendale

Accade spesso, inoltre, che all’interno delle aziende vi siano manager dotati di notevoli competenze sia tecniche che organizzative, che però sono incapaci di instaurare rapporti sereni e proficui con gli altri colleghi.

Il Digital Project Manager serve anche a questo: a creare l’ambiente ideale e le condizioni favorevoli affinché l’azienda possa crescere ed evolversi (non solo dal punto di vista produttivo ed economico, ma anche umano e professionale).

Il ruolo del Digital Project Manager

Il professionista chiamato dalle aziende per introdurre un organizzazione concreta del team non è un insegnante, né uno sviluppatore di competenze inespresse (come spesso si pensa erroneamente).

Per intenderci, un Digital Project Manager non deve trasmettere ai manager competenze specifiche (gestire una riunione, parlare in pubblico, guidare un team di collaboratori), e non è neppure uno psicologo o un terapeuta in grado di risolvere conflitti all’interno della compagine aziendale o tenere a bada personalità “difficili”.

Il project management è un cammino esperienziale basato su azioni concrete in vista del raggiungimento di precisi obiettivi personali e professionali. Il manager interviene nella quotidianità dell’azienda attraverso attività di sostegno individuale e programmi mirati, per rendere i dipendenti/collaboratori più consapevoli delle proprie risorse e motivati al raggiungimento di obiettivi comuni (quali ad esempio la produttività aziendale o la visibilità dell’azienda).

Il Digital Project Manager aiuta i vertici aziendali ed anche il resto del personale impiegato a mettere in atto i cambiamenti necessari per ottenere risultati più concreti e di lunga durata, lavorando su alcuni elementi specifici come: Punti di Forza, Talenti, Aree da sviluppare, Motivazione, Spirito di Adattamento ai cambiamenti. La guida di un esperto favorisce l’acquisizione di una maggiore consapevolezza ed autonomia, oltre che una focalizzazione puntuale sugli obiettivi da raggiungere nel breve e lungo termine.

Dal momento che il mondo del digital cambia costantemente, abbiamo aggiornato questa guida intervistando Deborah Del Bianco fondatrice di Puntoecommerce.it, magazine che si occupa di parlare delle tendenze del mercato digitale e dei protagonisti degli e-commerce, per chiedere come utilizza un approccio di team building quando gestisce collaboratori e progetti digitali all’interno dei sui progetti e delle aziende che richiedono un supporto per lo sviluppo e la pianificazione di tutti i processi per raggiungere l’obiettivo desiderato. Deborah sottolinea: L’introduzione di un percorso di project management all’interno delle aziende digitali, in particolare nel settore dell’e-commerce, è molto vantaggioso per ottenere una maggiore proattività e coinvolgimento emotivo da parte dei dipendenti e collaboratori, con l’obiettivo di raggiungere risultati e performance stabilite. Il ruolo fondamentale del digital project manager è quello di coordinare e gestire i progetti digitali all’interno dell’azienda, assicurando che ogni individuo si senta parte integrante di un’organizzazione coesa, contribuendo con azioni concrete e mirate al raggiungimento dei risultati a beneficio dell’azienda stessa. Nel contesto dell’e-commerce, questo professionista svolge un ruolo cruciale nell’ottimizzazione delle strategie di vendita online. Attraverso una gestione efficace dei progetti, si assicura che tutte le attività e le risorse siano allineate agli obiettivi aziendali. Questo implica la definizione di obiettivi chiari, la pianificazione delle attività, l’assegnazione delle risorse necessarie e il monitoraggio costante del progresso. Il digital project manager si assicura anche che i progetti siano completati nel rispetto dei tempi stabiliti e che siano in linea con le aspettative dei clienti. E’ responsabile della gestione delle interazioni tra le diverse funzioni aziendali coinvolte nell’e-commerce, come il reparto marketing, il team di sviluppo web, il servizio clienti e la logistica. La sua capacità di coordinare e comunicare efficacemente con questi diversi attori permette di massimizzare l’efficienza e l’efficacia delle operazioni. Per ultimo ma non per importanza, è la capacità di saper utilizzare strumenti e tecnologie digitali per facilitare la gestione dei progetti. Questi consentono di monitorare lo stato di avanzamento, tenere traccia delle scadenze, gestire i rischi e collaborare in modo più efficiente.”

La gestione del Cambiamento

Le aziende oggi devono affrontare continuamente nuove ed impegnative sfide per essere sempre competitive sul mercato. Certo non basta aver acquisito un “portafoglio clienti” e lavorare su quello: non si va da nessuna parte senza ampliare il proprio orizzonte (e questo vale anche a livello personale).

I manager che dirigono aziende di prestigio sono messi a dura prova perché devono mantenere inalterati nel tempo sia la loro motivazione che l’entusiasmo. Per questo, sono proprio loro a richiedere spesso il supporto di un digital project manager che sia preparato ed esperto nella gestione aziendale.

Le aziende (soprattutto quelle medio-grandi) sono spesso costrette a rivedere la compagine aziendale e l’organizzazione interna, intervenendo su alcuni ruoli e posizioni professionali. Quando non si procede ai licenziamenti, spesso si mettono in atto strategie diverse che comunque richiedono uno spirito di adattamento non indifferente da parte dei dipendenti o collaboratori.

Il digital project manager ha questo ulteriore ruolo importante e in certi casi indispensabile: aiutare le persone ad affrontare con curiosità ed entusiasmo i cambiamenti aziendali, ad esempio quelli provocati dall’introduzione di nuove tecnologie. La necessaria esperienza ed il tempo devono essere coadiuvati dalle strategie adatte a favorire l’apprendimento: e in questo il coach riveste un ruolo fondamentale.

Digital Project Manager e il metodo di Coaching aziendale

C’è molta confusione circa il coaching aziendale e l’attività svolta dai manager coach all’interno delle organizzazioni aziendali: si tende infatti a confonderlo spesso con altri tipi di consulenza, come quella olistica o di PNL.

Per dissipare ogni dubbio al riguardo e cogliere l’essenza di tale disciplina potrebbe essere utile partire dalla definizione di “coaching” che in inglese significa “allenamento”. Il percorso di coaching sia personale che aziendale richiede infatti l’affiancamento e la guida di un coach ad un cliente/allievo per raggiungere specifici obiettivi concordati all’inizio del programma, siano essi personali o strettamente collegati alla professione e al ruolo rivestito all’interno dell’azienda.

La pratica del coaching, anche applicata in azienda, presuppone un’adesione continua e graduale da parte dei clienti/allievi: si tratta di un percorso che va seguito interamente fino alla fine, ed è costituito da vari step.

Digital Project Manager: aiuta le persone ad affrontare con curiosità ed entusiasmo i cambiamenti aziendali, come quelli che seguono l’introduzione di nuove tecnologie
Digital Project Manager: aiuta le persone ad affrontare con curiosità ed entusiasmo i cambiamenti aziendali, come quelli che seguono l’introduzione di nuove tecnologie

Digital Project Management: come si svolge

Sei curioso/a di sapere in cosa consiste concretamente  un percorso di questo tipo applicato alle aziende? Partiamo dal presupposto che un bravo project manager non fornisce indicazioni o istruzioni su cosa fare. Deve il più possibile favorire lo sviluppo della creatività tra i dipendenti o collaboratori presenti in azienda, aiutando ognuno a mettere a frutto i talenti e le risorse in loro possesso.

Così come il coach, è una guida, deve soltanto fare osservazioni sulla situazione e dare la possibilità di cambiare approccio e modalità di azione se lo si ritiene necessario.

Durante le riunioni il manager ascolta e stimola immaginazione e riflessione dei partecipanti. Con esperienza, le opportune tecniche a sua disposizione, è in grado di guidare le persone verso nuove idee e nuove strade da percorrere per raggiungere risultati concreti secondo una cadenza temporale prestabilita.

In questo modo – lo si è accertato – aumentano notevolmente i livelli di performance e responsabilità di chi lavora in azienda o ne occupa i vertici. Il feedback continuo e approfondito e il controllo dei progressi acquisiti permette di valutare se il suo lavoro sta dando i frutti sperati e non sta deludendo le aspettative del committente.

Come rispondono i dipendenti alla figura del Digital Project Manager

Alcuni studi recenti hanno evidenziato che per dipendenti talentuosi ci vogliono manager competenti e di grande valore. Chi viene assunto in un’azienda e “va d’accordo con i capi” è più portato ad impegnarsi per il bene dell’azienda e a seguire i programmi formativi che gli vengono suggeriti.

Alcuni dirigenti aziendali, purtroppo, non riescono ad instaurare rapporti “sani” e stimolanti con i propri dipendenti o collaboratori. Il modello “comando & controllo” è ancora assai diffuso, e non sortisce alcun risultato (anzi!).

Non è certo mortificando o tenendo sotto controllo il personale che lo si motiva a dare il meglio. Un bravo ed esperto manager, tra le altre cose, contribuisce a gettare le basi di un apprendimento continuo e costante che diventa un valore aggiunto dell’azienda, in termini di maggiore efficienza e valorizzazione del capitale intellettuale.

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Storia della Red Bull https://cultura.biografieonline.it/storia-della-red-bull/ https://cultura.biografieonline.it/storia-della-red-bull/#comments Sun, 23 Oct 2022 09:05:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2943 La Red Bull viene fondata da Dietrich Mateschitz nel 1984, ma in realtà la sua storia prende il via molto tempo prima. Laureato in economia a Vienna alla Hochschule fur Welthandal, Mateschitz, prima di dare origine alla Red Bull, può vantare un curriculum piuttosto modesto, come direttore marketing di Blendax, azienda tedesca del settore cosmetico.

Dietrich Mateschitz
Dietrich Mateschitz

Dietrich Mateschitz

Il business dell’energy drink più famoso del mondo nasce, in effetti, quasi casualmente: Mateschitz, durante un viaggio di lavoro, giunge a Bangkok, capitale della Thailandia, e qui, per risollevarsi dal fuso orario, beve la cosiddetta Krating Daeng, una bibita locale rigenerante il cui nome significa più o meno “bufalo rosso d’acqua”.

Il logo Red Bull
Il logo Red Bull

Si tratta di una bevanda alquanto popolare nel continente asiatico, a base di Lipovitan, che incontra un notevole successo soprattutto tra i contadini e i camionisti, che grazie a essa riescono a contrastare la stanchezza e a lavorare anche di notte.

La nascita della Red Bull

Mateschitz scopre che a produrre la Trating Daeng è un’azienda giapponese partner della Blendax, e così, propone all’azienda nipponica di lavorare insieme: la ricetta delle bevanda, quindi, viene modificata e resa più conforme ai gusti occidentali, aggiungendo dell’anidride carbonica. Vengono cambiati anche il nome e il packaging: nasce ufficialmente la Red Bull (in italiano, “toro rosso”).

Gli inizi non sono dei più semplici, anche perché le autorità austriache impongono test severi prima di concedere la licenza che permette l’importazione della bevanda in Europa. Non sono in pochi, infatti, a ritenere la Red Bull simile a una droga in grado di suscitare dipendenza, soprattutto a causa della taurina: si tratta di un aminoacido che stimola il sistema nervoso, la circolazione del sangue e il metabolismo.

Una volta ricevuta l’autorizzazione, comunque, Mateschitz può dedicarsi alle vendite. Vendite che, tuttavia, nei primi anni sono piuttosto modeste: i consumatori non apprezzano il gusto dolciastro della bibita, mentre le analisi di marketing sono decisamente scoraggianti.

La rivoluzione della lattina

Il primo anno si conclude con un milione di lattine vendute, e con un deficit equivalente a circa 830mila euro: numeri non proprio facili da digerire. Mateschitz, tuttavia, vuole insistere sulla creatura, e idea una nuova strategia di marketing, forse una delle più rivoluzionarie nella storia dell’economia mondiale. L’azienda austriaca, infatti, mette in vendita la bevanda in lattine in alluminio, “sleek cans”, slanciate verso l’alto, dal disegno poco complicato ma di sicuro impatto.

Una lattina "sleek can" di Red Bull
Una lattina “sleek can” di Red Bull

Il logo è costituito da due tori rossi opposti al sole, situato su quattro parallelogrammi argento e blu affiancati e sovrapposti. Anche la storia del logo, peraltro, è stata contrastata: l’imprenditore austriaco, infatti, ha rifiutato più di cinquanta proposte prima di scegliere il design definitivo, accompagnato dallo slogan “Red Bull ti mette le ali” conosciuto da tutti ancora oggi.

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Ballo, sport, movimento, energia

Discotecari e ragazzi imparano ad apprezzare la bevanda, diffusa soprattutto tra gli sportivi – per il suo potere rivitalizzante – e tra i giovani, che la mischiano all’alcol in improbabili cocktail. Con il passare dei mesi tutti i consumatori imparano a conoscere il design della lattina, proprio come avvenuto decenni prima per la Coca-Cola: e non è un caso che qualche anno dopo proprio Coca-Cola deciderà di passare alle “sleek cans”, abbandonando parzialmente le lattine più basse.

Nel giro di poco tempo, la Red Bull, bevanda dallo strano sapore e dal colore non invitante, diventa un fenomeno planetario, diffondendosi dapprima in Austria e in Ungheria, e poi in Gran Bretagna. In Germania, addirittura, i produttori non sono in grado di soddisfare tutte le richieste, con un milione di lattine vendute ogni giorno.

Nel giro di poco più di un decennio Red Bull praticamente conquista l’Europa, e nella seconda metà degli anni Novanta si appresta a espandersi nel resto del mondo. L’unico ostacolo sembra provenire dalla Francia, che vieta momentaneamente la vendita della bevanda a causa della presenza di taurina e di quantitativi di caffeina equivalenti a dodici tazze di caffè Ma anche Parigi, alla fine, si arrende allo strapotere di Red Bull.

La Formula 1

Il marchio di Mateschitz, quindi, si espande e, grazie alla sua riconoscibilità, viene sempre più spesso associato allo sport: non è un caso che Red Bull entri in Formula 1. Red Bull acquista il team Jaguar Racing, in decadenza, facendolo diventare uno dei più vincenti di sempre. Da Gian Carlo Minardi poi rileva la scuderia italiana di Faenza per farne una sorta di palestra per i futuri campioni: da lì sono escono Sebastian Vettel e Max Verstappen.

La Formula 1 dà alla Red Bull la consacrazione definitiva a livello di immagine e di posizionamento di mercato. Vince quattro titoli mondiali di fila, dal 2010 al 2014.

Sebastian Vettel, campione con la Red Bull
Sebastian Vettel, campione con la Red Bull

Arriva poi anche nel calcio, con le sponsorizzazioni dei New York’s Red Bulls, del Red Bull Brasil, del Red Bull Salisburgo e del Red Bull Leipzig.

Contemporaneamente al successo, si sviluppa, naturalmente, l’invidia dei competitor, e con essa fioriscono le leggende metropolitane: per esempio, si dice che la taurina venga direttamente estratta dai testicoli di toro, o che la bevanda provochi gravi danni alla salute. In realtà Mateschitz gioca e si avvantaggia di queste dicerie, e rende sempre più solido il marchio Red Bull: il fatturato del 2010 arriva a tre miliardi di euro, grazie a qualcosa come quattro miliardi di lattine vendute in tutto il mondo.

L’austriaco Dietrich Mateschitz si è spento il 22 ottobre 2022 all’età di 78 anni. Secondo la rivista Forbes, nel 2021 è stato la 56ª persona più ricca al mondo: il suo patrimonio era stimato in 25 miliardi di dollari.

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Storia di Facebook https://cultura.biografieonline.it/facebook-storia/ https://cultura.biografieonline.it/facebook-storia/#comments Thu, 28 Oct 2021 19:11:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4476 Facebook non ha bisogno di presentazioni: è il sito più visitato al mondo (il primato spetta ancora a Google). Nel 2012 era seguito circa un miliardo di utenti che lo utilizzavano almeno una volta al mese. Tra gli utenti attivi di Facebook ben 7,5 milioni non avevano ancora compiuto tredici anni (dati del 2012). La mente geniale che ha ideato questo gigantesco servizio di rete sociale appartiene all’americano Mark Zuckerberg, che lo progetta inizialmente per essere utilizzato dagli studenti dell’Università di Harward.

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook
Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook

Il predecessore del moderno Facebook si chiama “Facemash”. Esso viene lanciato il 28 ottobre 2003, mentre il diciannovenne Zuckerberg frequenta il secondo anno all’università di Harward. Zuckerberg utilizza le foto di riconoscimento degli studenti iscritti nella rete universitaria e le mette nel sito, che in pochi giorni totalizza migliaia di visitatori. Poco tempo dopo i responsabili dell’Università intimano allo studente la chiusura del sito per violazione della privacy e del copyright individuale. Mark rischia per questo l’espulsione, che poi alla fine non arriva.

Nel gennaio 2004 lo studente, aiutato dagli amici Dustin Moskovitz, Eduardo Saverin e Chris Hughes (anche loro iscritti presso la stessa università) crea “Facebook” e lo estende  anche agli studenti di altre due università americane: la Stanford University e Ivy League. Il sito come lo conosciamo noi oggi nasce il 4 febbraio 2004.

Foto di Mark Zuckerberg
Foto di Mark Zuckerberg

Zuckerberg si avvale della collaborazione di Eduardo Saverin (che si occupa degli aspetti aziendali) e di Andrew McCollum, che lo aiuta nella programmazione. Qualche giorno dopo tre studenti accusano Zuckerberg di averli truffati e rubato l’idea che loro hanno per la creazione di un sito concorrente. Comincia così una causa legale.

Nel 2005 il dominio facebook.com viene registrato al costo di 200 mila dollari. Nel 2006 il servizio viene esteso anche alla Microsoft e alla Apple. Dal 2006 può accedere a Facebook chiunque abbia più di tredici anni. La scalata al successo del sito comincia dal 2007, quando Microsoft acquista la quota dell’1,6%, mentre il 2% viene aggiudicato ad alcuni investitori russi. Secondo una stima fatta da Microsoft, Facebook vale 15 miliardi.

Nel novembre 2010 il valore viene stimato in 41 miliardi di dollari. Nel nostro Paese Facebook registra il maggiore incremento del numero di utenti (pari a circa 135%). Durante il 2012 Facebook ha lanciato diversi servizi aggiuntivi, in particolare le applicazioni per dispositivi mobili e “Instagram” per le foto. Il 17 maggio 2012, al momento del collocamento in borsa, il valore totale della compagnia ammonta a 104 miliardi di dollari, il più alto in assoluto per una compagnia presente da così poco tempo sul mercato!

Caratteristiche di Facebook

Il nome “Facebook” (che in italiano si traduce letteralmente con “Faccialibro”) prende spunto dalla tipica abitudine in voga presso le università statunitensi di costituire un elenco di tutti gli studenti iscritti con il nome e la relativa foto che li identifica. Questa usanza serve a facilitare la socializzazione tra gli studenti. Il funzionamento di Facebook è ormai noto a tutti.

Tramite iscrizione (gratuita) al sito, gli utenti registrano i propri dati personali. La data di nascita va inserita obbligatoriamente per l’accesso a quei contenuti che sono permessi in base all’età anagrafica e per garantire una maggiore autenticità (anche se questo non preserva dal rischio di imbattersi in profili “ad hoc” creati apposta per mascherare la propria identità).

Dopo la registrazione, completa di tutti i dati, si può creare un profilo personale. Questo è il primo passo per “esistere” in Facebook e avere la possibilità di aggiungere “amici” nella propria rete, scambiare messaggi, utilizzare la chat per comunicare in maniera istantanea. Facebook è una immensa rete virtuale che avvicina e mette in contatto persone che condividono gli stessi interessi, lo stesso luogo di lavoro, l’università, la scuola. Il fenomeno “Facebook” ha attirato l’attenzione di giornalisti, scrittori e studiosi, che ne hanno indagato le dinamiche sociali.

Uno dei libri più interessanti sull’argomento si intitola “Facebook, la storia”, scritto dal giornalista David Kirkpatrick e pubblicato dalla casa editrice Hoepli. Il lavoro di Kirkpatrick è molto approfondito, basato su circostanze obiettive e realistiche, ricostruendo le varie tappe del colosso mondiale Facebook dalla nascita ai giorni nostri e gli effetti sulla nostra vita quotidiana. A mio parere, questo libro è più obiettivo rispetto alla pellicola cinematografica “The Social Network” (2010, di David Fincher), che racconta la storia di Facebook mettendo in risalto gli aspetti più scandalistici e sensazionali.

Mark Zuckerberg nel 2021
Mark Zuckerberg nel 2021

Il cambio di nome

Il 28 ottobre 2021 Zuckerberg annuncia un cambio epocale: il nuovo nome sarà Meta, sottolineando che la priorità del colosso californiano da lì in avanti sarà il cosiddetto metaverso.

Cos’è il metaverso?

Si tratta di una sorta di realtà virtuale capace di integrare le tecnologie digitali e immersive come i giochi, le videoconferenze, la realtà aumentata, i social media, i sistemi di education e il live streaming.

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Chi ha inventato lo scotch? Richard Drew e l’invenzione del nastro adesivo https://cultura.biografieonline.it/chi-ha-inventato-lo-scotch/ https://cultura.biografieonline.it/chi-ha-inventato-lo-scotch/#respond Thu, 11 Mar 2021 15:47:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15217 Il nastro adesivo, chiamato anche con il nome commerciale scotch, è uno strumento entrato a far parte della nostra vita quotidiana. Consiste in un nastro (di plastica o di carta) a cui è applicata, su di un lato, una sostanza adesiva. Concepito inizialmente per essere utilizzato per sigillare pacchi, il nastro adesivo si rivelò ben presto efficace anche per numerosi altri utilizzi, dal confezionamento di regali a svariati impieghi in ufficio e a casa. Ne esistono vari tipi: colorato, biadesivo, trasparente, dotati del pratico dispenser stendinastro.

Scotch 3M

L’inventore del nastro adesivo

L’inventore dello scotch fu lo statunitense Richard Drew, ricercatore dell’azienda statunitense 3M (Minnesota Mining and Manufacturing Company), fondata nel 1902. Drew inventò il nastro adesivo nel 1925, ottenne il brevetto il 27 maggio 1930 (si chiamava masking tape), e successivamente fu messo sul mercato il 31 gennaio 1930. In Europa giunse sette anni dopo.

Lo scotch e Richard Drew
L’inventore dello scotch: Richard Drew (1899-1980)

Origine del termine scotch

Il nastro adesivo creato da Drew era fabbricato con colla da falegname e glicerina. Sembra però che la 3M, per risparmiare, usasse una limitata quantità di colla, cosicché qualcuno la accusò di essere “scozzese”, in riferimento al fatto che gli scozzesi sono considerati restii nello spendere. Da qui il termine “scotch”, ovvero scozzese.

La nascita del post-it

Nel 1977 nascono invece i primi prototipi del famoso post-it: l’irrinunciabile foglietto di carta colorata, con una striscia di adesivo sul retro, utilissimo per lasciare messaggi e aiutare le persone distratte. Il post-it è stato inventato da un altro ricercatore della 3M, Arthur Fry, che, utilizzando un tipo di adesivo inventato dal suo collega, Spencer Silver, creò il primo “segnalibro adesivo”. Disponibile ora in svariate forme, colori e dimensioni, il post-it fu messo in vendita nel 1980.

Arthur Fry
Arthur Fry, l’inventore del post-it, nato nel 1931

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Samsung, breve storia dell’azienda: dal pesce alla telefonia mobile https://cultura.biografieonline.it/samsung-storia/ https://cultura.biografieonline.it/samsung-storia/#respond Sat, 16 Jan 2021 07:46:13 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32051 Samsung: un colosso hi-tech

Una delle aziende hi-tech più importanti del mondo è quella di Samsung, la cui storia è alquanto ricca di particolari curiosi e interessanti.

A differenza di altri colossi del settore come Apple, Google, IBM e Microsoft, l’azienda sudcoreana Samsung, che attualmente può vantarsi di essere tra i primi produttori di smartphone al mondo, è nata con l’obiettivo di occuparsi di pesce essiccato ed affumicato e spaghetti cinesi, insieme a frutta e verdura secca.

Nello specifico, l’azienda – che fu creata il 1° marzo 1938 – aveva lo scopo di commercializzare prodotti ittici e in particolare i noodle curando la distribuzione in alcuni Paesi del mondo, tra cui Pechino e Manciuria.

Soltanto parecchio tempo dopo Samsung cominciò ad interessarsi del settore dell’elettronica. La tecnologia di consumo diventò parte dell’azienda a partire dalla metà degli anni Sessanta, quando nacquero le prime quattro unità produttive aziendali, dedicate ciascuna a singoli prodotti/servizi del comparto.

Samsung logo - I vecchi loghi Samsung
Dal 1938 a oggi: il logo Samsung è cambiato nel tempo. Il significato della parola ha a che fare con 3 stelle

Gli esordi

Il fondatore dell’azienda che ha costruito questo grande impero dell’elettronica si chiama Lee Byung-chull (Uiryeong, 12 febbraio 1910 – Seoul, 19 novembre 1987). Dopo dieci anni dalla sua creazione, Samsung aveva già acquisito numerosi stabilimenti produttivi. Infatti la sede fu spostata da Daegu a Seoul. A causa dello scoppio della Guerra di Corea l’azienda fu costretta a tornare nel paese originario.

All’inizio degli anni Cinquanta, quando la guerra era ormai terminata, il fondatore Lee diede un grande impulso all’entrata dell’azienda nel campo del tessile, del commercio internazionale e delle assicurazioni. Nel 1954 fu inaugurato “Cheil Industries” (il comparto tessile aziendale). Un anno prima (1953), intanto, la sede aziendale era stata fissata a Tokyo, in Giappone.

Ma è negli anni Sessanta che Samsung cominciò a muovere i passi nel mondo dell’elettronica, raggiungendo in pochissimo tempo risultati inimmaginabili. Fu questo il periodo più importante per l’azienda sudcoreana, che impiantò i primi stabilimenti produttivi. Nel 1969 cominciò a produrre a ritmi vertiginosi i primi televisori in bianco e nero.

Lee Byung Chull
Lee Byung Chull

Gli anni ’70 e ’80

Dal 1970 al 1980 Samsung mantenne inalterato il primato di prima produttrice di apparecchi televisivi a livello mondiale. Nel 1974 l’azienda festeggiò il raggiungimento di un milione di televisori prodotti, e nel 1978 il numero di apparecchi realizzati superò i quattro milioni.

L’elettronica entrò a far parte della realtà aziendale nel 1974, quando vi fu l’acquisto della Hankook Semiconductor. Questo rappresentò l’avvio verso la produzione di componenti elettronici. Poi, a partire dal 1977, fu la volta dei televisori a colori; due anni dopo Samsung cominciò a produrre sul mercato i primi forni a microonde.

Ma l’elettronica non fu l’unico settore in cui Samsung concentrò le sue energie. Dagli anni Settanta in poi videro la luce la Samsung Industrie Pesanti, la Samsung Petrolchimica e la Samsung Costruzioni.

Proprio per questa versatilità, l’azienda è considerata un vero e proprio volano per lo sviluppo economico della Corea del Sud.

Samsung e la telefonia

L’ingresso di Samsung nella telefonia avvenne nel 1980, in seguito all’acquisto della Hanguk Jeonja Tongsin. Da questa base di produzione si è poi sviluppata la divisione mobile, che ha portato l’azienda ai massimi livelli attuali.

Nel 1983 l’azienda sudcoreana cominciò a produrre anche personal computer. Il reparto “Ricerca & Sviluppo” è stato costituito nel 1987, e nel corso del tempo ha rivestito una grande importanza per la crescita aziendale, e del comparto “telefonia” in particolare.

Il 19 Novembre 1987 il “padre” di Samsung, l’uomo che aveva dato vita all’azienda, morì. A seguito di tale avvenimento, le varie attività di Samsung vennero distribuite tra 4 società indipendenti e autonome l’una dall’altra. A Samsung restarono le attività nel settore Ingegneria, Elettronica, Alta Tecnologia e Costruzioni, mentre le altre società si divisero gli altri comparti rimanenti.

Negli anni Novanta Samsung è riuscita ad imporsi sul mercato mondiale hi-tech, anche grazie alla riorganizzazione che fu intrapresa a partire dal 1993. Elettronica, chimica e Ingegneria sono gli unici ambiti produttivi sui quali l’azienda ha concentrato le sue risorse.

I primati dell’azienda

Oltre ad imporsi come prima produttrice mondiale di chip di memoria e seconda per i microchip, l’azienda Samsung si è sempre distinta per gli alti livelli di innovazione dei suoi prodotti tecnologici. I primi cellulari e smartphone furono messi in produzione tra il 1992 e il 1993. Il primato di produzione dei televisori di Samsung è stato raggiunto nel 2005; nel 2012 l’azienda ha superato il colosso finlandese Nokia per la telefonia mobile. Il giro d’affari legato a questo settore muove numeri vertiginosi.

La telefonia mobile è uno dei settori su cui l’azienda punterà anche in futuro, ma a questa si aggiungono anche la biofarmaceutica e l’elettronica. Nel 2019 Samsung ha stretto una collaborazione con il colosso Biogen.

Samsung building - Palazzo a vetri
Samsung building (palazzo a vetri)

La resilienza di Samsung

Una grande azienda sa anche come rialzarsi dopo un’eventuale “caduta”. Qualcuno ricorda sicuramente la spiacevole vicenda legata al Samsung Galaxy Note 7, che fu lanciato sul mercato nel 2015. Doveva essere il prodotto di punta dell’azienda per un rilancio del settore telefonia mobile che aveva subito uno stallo negli anni precedenti. Così però non è stato. Anzi, qualcuno lo ritiene il peggior flop nella storia di Samsung.

Telefoni che esplodono

I clienti che avevano acquistato lo smartphone cominciarono a segnalare problemi legati al surriscaldamento dell’apparecchio che, in alcuni casi, portavano addirittura all’esplosione. Dopo neppure un mese, Samsung ha prima richiamato gli apparecchi nella speranza di poter risolvere la situazione cambiando la batteria, poi ha dovuto sospendere la produzione perché il problema persisteva. E’ probabile sia stato qualche difetto di fabbricazione a provocare lo scoppio. Ovviamente questo episodio ha comportato un notevole danno economico per l’azienda, per la sua immagine, e anche per la credibilità del titolo in Borsa.

Per fortuna l’azienda asiatica non si è scoraggiata, e anzi ha subito proceduto. Nel 2016 ha acquisito Harman Kardon, specializzata nella produzione di dispositivi per le auto connesse e impianti audio.

Nello stesso periodo Samsung ha anche acquisito la start up Viv, che ha realizzato l’assistente personale Bixty, installato su tutti i dispositivi di un certo livello per offrire un servizio aggiuntivo ai clienti.

Leggi anche: Frasi sui telefoni (alcune molto divertenti)

Altri guai

Nonostante la fase di rilancio, le disavventure di Samsung non sono ancora finite. Il presidente della divisione “smartphone” (che è poi di fatto il presidente dell’intera azienda) è stato accusato di falsa testimonianza, corruzione e appropriazione indebita.

L’inchiesta giudiziaria, protrattasi per anni, ha portato all’arresto di Lee Jae-yong. Un altro duro colpo, per Samsung, che però si è subito dedicata con grande fervore alla produzione di smartphone. Dal 2018 ad oggi il mercato della telefonia mobile ha potuto beneficiare di numerosi nuovi modelli Samsung, sempre molto apprezzati dagli utenti di ogni età e dagli appassionati di hi-tech.

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Swatch: orologio di successo, moda e storia di un oggetto di design https://cultura.biografieonline.it/swatch-storia/ https://cultura.biografieonline.it/swatch-storia/#respond Thu, 13 Aug 2020 08:20:26 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29977 L’orologio Swatch fu inventato nel 1983. Fu la risposta di una società svizzera al successo degli orologi giapponesi che avevano conquistato il mercato a basso costo. Il successo fu subito immediato. Il primo anno vennero venduti un milione di pezzi, mentre il secondo anno la Swatch ne piazzò sul mercato quasi dieci milioni! Si creò una vera e propria moda: il quinto anno gli orologi in circolazione ad appassionare giovani e adulti erano cinquanta milioni. Così il successo divenne mondiale e la Svizzera si riprese, almeno in parte, il primato dell’esportazione di orologi.

Alcuni modelli Swatch degli anni '80
Alcuni modelli Swatch degli anni ’80

Swatch: perché l’orologio ebbe un successo così eclatante?

Molte sono le ragioni dell’esplosione della moda degli Swatch. Innanzitutto, il fattore tecnico. L’azienda Swatch, sfruttando la tecnica ad iniezione della plastica e dunque la sua malleabilità, inserì tutti i componenti meccanici e tecnologici all’interno del quadrante plastificato dell’orologio. E lo fece utilizzando meno componenti: passò infatti dai 91 componenti di un classico orologio al quarzo, a 51 pezzi. Ciò lo rese un orologio economico, funzionale e a basso costo.

Proprio il prezzo è stato uno dei protagonisti del suo successo.

Il fatto che lo Swatch non costasse molto, ha permesso ai suoi produttori di accedere a tutti i mercati: alti, bassi, medi, per collezionisti e amatori.

La filosofia fu quella di creare un oggetto di design dallo stile casual, divertente e – come detto – relativamente economico.

Inoltre, ed è una caratteristica fondamentale dell’orologio Swatch, la quantità di serie, collezioni, e pezzi messi in vendita ha sviluppato un rapporto nuovo con l’orologio da polso.

Il rapporto del consumatore con l’orologio

Il consumatore viene stimolato ad acquistare diversi orologi che possono seguire le mode del momento, gli umori, l’agenda degli appuntamenti, le stagioni, il desiderio di accoppiare un orologio specifico con un abito particolare o semplicemente per sfoggiare la propria collezione.

Lo Swatch, orologio di culto e da collezione, divenne così un altro modo per misurare il tempo, grazie ad una forma classica: cassa rotonda con spigoli arrotondati, cinturino colorato, che però presentava proposte, interpretazioni, forme di marketing nuove (anche aggressive), innovative e diversificate. All’interno del quadrante, infatti, venne inserito un foglio di carta ritagliato composto da colori, significati, idee e proposte artistiche innovative che vennero fin da subito molto apprezzate dal pubblico.

Alcuni Swatch esposti in un negozio

Il fatto poi che la Swatch lanciasse ogni sei mesi nuove collezioni creò un rapporto innovativo sia con i collezionisti amanti degli orologi, sia con la gente comune; anche chi era abituato a comprare solo un orologio e a sostituirlo nel caso si rompesse, si è fatto coinvolgere dal marketing aggressivo e spregiudicato della casa di produzione svizzera.

In fondo la Swatch ha creato un oggetto intercambiabile con un prezzo basso influenzando in questo modo il rapporto fra consumatore, organizzazione del tempo e senso estetico dell’oggetto orologio.

E voi ne avevate uno? Scrivetelo nei commenti in fondo.

Video

Alcune curiosità

  • La prima collezione di 12 modelli Swatch fu presentata il 1º marzo 1983 a Zurigo, in Svizzera.
  • Nel 1991 venne raggiunto il record di oltre 100 milioni di orologi venduti.
  • Swatch introdusse l’idea di associare gli orologi ad artisti famosi, come ad esempio Paul Klee, Keith Haring, Jean-Michel Folon, Sam Francis, Pierre Alechinsky, Mimmo Paladino.
  • Nonostante oggi le vendite siano calate, il Gruppo Swatch resta l’azienda per orologi più grande del mondo: negli anni ha acquisito molti marchi di lusso svizzeri tra cui Omega, Longines, Tissot, Pierre Bal-main, Flik Flak.
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Ericofon, il Telefono Cobra: storia dell’oggetto di design di Ericsson https://cultura.biografieonline.it/ericofon-telefono-cobra-storia/ https://cultura.biografieonline.it/ericofon-telefono-cobra-storia/#comments Tue, 04 Aug 2020 14:09:33 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29942 L’Ericofon è un telefono anni ’50 celebre per il suo design futuristico. Prodotto da Ericsson, il Telefono Cobra – chiamato così per la sua forma – venne dotato di una tecnologia che all’epoca era di avanguardia. Scopriamo in questo breve articolo la storia dell’Ericofon. Più in fondo trovate anche un video di approfondimento.

Ericofon Ericsson, telefono Cobra
Ericofon Ericsson

Ericofon: la storia del Telefono Cobra

L’azienda svedese Ericsson fu fondata nel 1876. Il suo scopo principale era la riparazione di apparecchi per le telecomunicazioni. Nel giro di trent’anni divenne però una delle aziende più importanti nella produzione di apparecchi telefonici. Nel 1909 introdusse il telefono a forcella, uno dei progetti più famosi e che hanno contribuito a decretare il successo internazionale dell’azienda.

Un antico telefono a forcella Ericsson realizzato per France Telecom nel 1895

Paradossalmente però la Ericsson è ricordata soprattutto, ma non solo, per un telefono a colonna. Si tratta di un telefono senza cornetta munito di un piedistallo e di una forma ergonomica che ricorda il serpente: l’Ericofon. E infatti l’Ericofon, telefono senza cornetta, è conosciuto anche come telefono cobra, proprio perché la sua forma sinuosa ricorda il rettile che tipicamente si erge in verticale prima di attaccare.

E’ un telefono geniale.

Grazie all’inventiva di Hugo Blomberg, Ralph Lysell e Has Gösta Thames, l’Ericofon venne sviluppato in diversi colori fra il 1940 e il 1954, utilizzando la plastica, la gomma e il nylon. Tecnicamente perfetto, il telefono cobra è maneggevole e privo di qualsiasi orpello esterno.

Il disco per comporre i numeri è nascosto

Altra scelta geniale è stata quella di mettere il disco combinatorio per comporre i numeri alla base, dentro al piedistallo. In tal modo si ispirò un’operazione di scoperta visiva quella di un compratore che volesse capire dov’era l‘interruttore e il disco. Anche l’interruttore risolve una questione tecnica importante perché è posto alla base del telefono e scatta solo se il telefono viene alzato.

Il dettaglio della base, dove si nasconde il disco per comporre i numeri di telefono

Le scelte di rendere essenziali le forme, pratico l’utilizzo e bello l’oggetto hanno decretato il successo di questo oggetto. Negli anni ’60 e ’70 ha rappresentato un’intelligente fusione di design, bellezza e praticità.

Il telefono cobra Ericofon è stato prodotto in diversi colori. Il bianco è stato il colore più comune. Più rari sono stati il rosso, il verde e il giallo, che lo ha rappresentato in molti stili e scelte d’arredo.

Video commento

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Leadership: 10 caratteristiche di un bravo leader https://cultura.biografieonline.it/leadership-10-caratteristiche-leader/ https://cultura.biografieonline.it/leadership-10-caratteristiche-leader/#comments Mon, 03 Aug 2020 14:41:47 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30117 Il pensiero comune è che la leadership sia una qualità innata, quello che è vero è che ognuno può essere un leader e attraverso il proprio atteggiamento guidare una squadra verso un obiettivo. Essere un leader significa essere una guida, dettare l’obiettivo e circondarsi di persone capaci di raggiungere, superando ogni ostacolo, il traguardo prefissato.

Differenze tra un capo e un leader
Leadership: illustrazione ironica che mostra le differenze tra un capo e un leader.

Un bravo leader è capace di sviluppare una visione del futuro, ha una visione chiara del futuro e una grande capacità di stimolare il meglio da ogni persona che prende parte al progetto, sa capire e gestire l’emotività di ogni singolo e del gruppo, sa delineare una direzione.

Per essere un leader non basta dettare regole e dare ordini: un leader coinvolge tutti in ogni momento del processo, fa parte della squadra e gioca un ruolo fondamentale per stimolare e dare l’esempio con il proprio lavoro e atteggiamento.

Un leader è la figura di riferimento all’interno di un’organizzazione in grado di affrontare le sfide di ogni giorno e di prendersi carico delle responsabilità proprie e di quelle della proprio gruppo, sia che si tratti della vita privata o lavorativa, andando ben al di là della sfera delle conoscenze personali.

Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

Frase di Albert Einstein

Come diventare una figura di riferimento così importante per diverse persone?

Per tutto questo le doti innate per essere leader sono sicuramente importanti, ma non sono sufficienti.

Per fare la differenza, che solo chi ha una forte leadership sa fare, è necessario sapere sviluppare caratteristiche specifiche attraverso un’adeguata formazione, applicazione e crescita personale. Strumenti imprescindibili per acquisire quelle abitudini positive e propositive tipiche di un leader!

Tra le storie dei più grandi e celebri leader nel campo del management, riconosciuti anche a livello internazionale, vi sono: Steve Jobs, fondatore di Apple e Bill Gates, fondatore di Microsoft; tra gli italiani ricordiamo Adriano Olivetti e Sergio Marchionne, che è stato un grande manager senza essere imprenditore in prima persona.

Leadership: un leader trascina la sua squadra verso la vetta
Un leader ha doti innate ma è anche capace di sviluppare le su virtù grazie ad una adeguata formazione. Leadership è anche saper guidare una squadra.

Leadership: caratteristiche per essere un leader

Essere un leader non dipende da una carica o da un titolo specifico. Il leader è il soggetto che gli altri vogliono seguire in quanto lo riconoscono spontaneamente come punto di riferimento per alcune sue spiccate qualità.

Vediamo di seguito nel merito le 10 caratteristiche di un bravo leader:

  1. Onestà
  2. Capacità di delegare
  3. La fiducia
  4. Capacità di comunicare
  5. Atteggiamento
  6. Senso dell’umorismo
  7. Creatività
  8. Intuito
  9. Organizzazione
  10. Fare squadra

ONESTÀ

Essere onesti è la base per costruire un rapporto di fiducia con la propria squadra. L’onestà rispecchia l’affidabilità del leader e misura la sua vicinanza facendolo sentire presente e condizionando, a sua volta, gli altri ad essere sempre presenti per lui.

CAPACITÀ DI DELEGARE

Deve stimolare a far sentire ogni componente del gruppo importante affinchè ognuno possa apportare al meglio il proprio contributo e prendersi le proprie responsabilità. Delegare comporta un triplice vantaggio: stimola i componenti del gruppo, alleggerisce il lavoro del leader e va a rafforzare la fiducia nel rapporto.

LA FIDUCIA

Ha piena fiducia in se stesso e nella sua squadra. Lui trasmette agli altri la sua sicurezza e coglie al volo ogni sfida con pieno ottimismo ispirando così fiducia anche in tutti i componenti del suo team: in questo modo fa capire che con l’impegno di tutti ogni ostacolo non sarà più tale.

Un grande leader non permette a niente e a nessuno di scoraggiare né se stesso né la propria squadra!

CAPACITÀ DI COMUNICARE

Si esprime attraverso una comunicazione chiara, sintetica ed incisiva, sapendo mettere a proprio agio tutti i suoi interlocutori. Allo stesso tempo deve anche saper essere un buon ascoltatore: sa che ogni critica può essere costruttiva, per questo motivo è importante anche considerare le idee degli altri, chiedere loro opinioni e valutarle.

ATTEGGIAMENTO

Rimanere motivati in un ambiente negativo è davvero difficilissimo, la vera chiave del successo è un atteggiamento positivo che stimoli se stessi e la propria squadra. In una circostanza particolarmente stressante, mantenere il controllo e preservare un atteggiamento positivo può addirittura aiutare a trasformare una situazione da incubo in un’importante esperienza di apprendimento.

SENSO DELL’UMORISMO

Problematiche varie ed imprevisti sono da sempre all’ordine del giorno, per questo è importante saper sdrammatizzare e distendere le tensioni allontanando lo stress dal team: un ambiente di lavoro sereno è sicuramente più produttivo e una buona dose di umorismo talvolta può rivelarsi un ottimo rimedio!

CREATIVITÀ

In situazioni di difficoltà pensare fuori dagli schemi, tenere la mente aperta ai cambiamenti e cambiare prospettiva spesso è l’atteggiamento vincente. Risulta quindi fondamentale che il leader sappia cogliere questa spinta alla creatività e che sappia trasmetterla a tutta la sua squadra come esempio di risoluzione davanti le difficoltà più imprevedibili.

INTUITO

Sa guardare oltre le circostanze apparenti e sviluppare le potenzialità nascoste delle idee che gli altri scartano: è così che le crisi si trasformano in opportunità, valorizzando e portando al successo ciò che era impensabile o, addirittura, impossibile.

ORGANIZZAZIONE

Deve saper organizzare e gestire tutto ciò che riguarda il suo team: dall’organizzazione del lavoro della squadra e l’affidamento degli incarichi, all’esecuzione dei lavori alla gestione del tempo.

FARE SQUADRA

Ciò che conta per il leader è la coesione della squadra e la realizzazione di ogni individuo. Il suo successo è il successo della squadra, il successo della squadra è il successo del leader!

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Moka Bialetti: storia e curiosità di un celebre prodotto di design https://cultura.biografieonline.it/moka-bialetti-storia/ https://cultura.biografieonline.it/moka-bialetti-storia/#comments Sat, 01 Aug 2020 14:47:41 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29964 La Moka Bialetti è una caffettiera celeberrima. E’ un oggetto di design storico, che ha reso il disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo. E’ presente tutt’oggi nella collezione permanente della Triennale di Milano e anche in quella del MoMA di New York. Prima di raccontare la storia di questa macchina per il caffè, facciamo un passo indietro.

Moka Bialetti caffè
Il caffè mentre esce nel bricco della Moka

Milano e il caffè espresso

Il caffè italiano ha una sua identità precisa e generalmente quando si parla di caffè espresso si pensa all’Italia. Tuttavia il caffè è originario del mondo islamico ed è in quei luoghi esotici sono nate le leggende della sua origine. Fu però in Italia, e più specificatamente a Milano, che nacque l’espresso.

Nel 1905 il caffè espresso veniva realizzato dalle macchine a caldaia Pavoni, le quali producevano, grazie all’ intervento di esperti operatori delle dosi concentrate di caffè che venivano consumate con la proverbiale tazzina.

Questi macchinari, per quanto all’ avanguardia, non potevano essere utilizzati nelle abitazioni domestiche perché erano ingombranti e di non semplice utilizzo.

Moka Bialetti: l’idea

Alfonso Bialetti ebbe l’idea, nel 1933, di realizzare una piccola macchinetta che permettesse ad ogni famiglia italiana – e non solo – di prodursi in casa un espresso buono ed economico. Bialetti apparteneva ad una famiglia che da generazioni lavorava il metallo. Fu in Francia che Alfonso imparò a lavorare l’alluminio, apprendendo la tecnica di fusione a conchiglia.

Imparati i segreti dell’alluminio Bialetti rientrò in Italia e nel 1908 aprì un suo laboratorio.

L’alluminio si trova in grandi quantità sul territorio nazionale e grazie alle posizioni del fascismo per quanto riguardava le esportazioni, l’alluminio fu per molto tempo un materiale che poteva avere a prezzi bassi. Il progetto di Bialetti che riprendeva le forme del déco, fu geniale.

L’imprenditore riuscì a realizzare una macchina ottagonale divisa in tre parti:

  • una caldaia per la raccolta e l’ebollizione dell’acqua;
  • un filtro;
  • un bricco in cui il caffè fluisce dopo essere stato riscaldato.
Le componenti di una Moka Bialetti
Le componenti di una Moka Bialetti

La Moka Bialetti viene tuttora venduta in tutto il mondo.

La sua fortuna è dovuta, oltre che alla genialità di Alfonso Bialetti, anche alla capacità del figlio Renato Bialetti di lavorare sull’esportazione e sulla comunicazione, pubblicità e marketing.

Bialetti: pubblicità d'epoca
Pubblicità d’epoca con l’omino coi baffi

L’omino coi baffi, simbolo storico della moka, fu un’invenzione di Paul Campani che nel 1953 lo disegnò per una campagna pubblicitaria che ha fatto epoca: è uno dei contenuti promozionali più ricordati quando si parla di Carosello. Già nel 1954 la Moka Bialetti veniva venduta in un milione di esemplari.

La storia della Moka Bialetti raccontata in un breve video

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