aziende sportive Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sat, 14 Dec 2024 10:25:17 +0000 it-IT hourly 1 Adidas: storia del marchio e 3 curiosità https://cultura.biografieonline.it/adidas-storia/ https://cultura.biografieonline.it/adidas-storia/#comments Fri, 16 Aug 2024 15:57:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2945 La storia dell’Adidas prende il via nel 1920, a Herzogenaurach, una piccola località non lontana da Norimberga, in Germania. Qui, Adolf Dassler comincia a pensare a realizzare delle scarpe specifiche per fare sport: si tratta di una novità assoluta, che diventa ancora più importante quando Adolf pensa a scarpe specifiche per ogni sport. Dassler, quindi, pianifica la creazione di scarpe pensate per l’atletica: egli, infatti, è a sua volta un atleta, e nel giro di poco tempo dimostra a tutti la qualità delle sue intuizioni.

Logo Adidas
Logo Adidas

Le scarpe alle Olimpiadi

Così, in occasione delle Olimpiadi di Amsterdam in scena nel 1928, gli atleti in gara indossano per la prima volta delle scarpe munite di “spikes”, vale a dire tacchetti, in grado di regalare prestazioni eccezionali grazie a una migliore presa rispetto alle calzature tradizionali.

Jesse Owens
Jesse Owens (1936)

La prima atleta ad aggiudicarsi una medaglia d’oro indossando scarpe nate dall’ingegno di Adolf è Lina Radke, che vince gli ottocento metri stabilendo il nuovo primato mondiale. Dassler, così, riesce a far conoscere in tutto il mondo le sue creazioni, dopo aver aperto, quattro anni prima (nel 1924) insieme al fratello Rudolf Dassler, la “Fabbrica di Scarpe dei fratelli Dassler” (Gebrueder Dassler Schulfabrik), un negozio che vende articoli sportivi.

Dassler ottiene grandi soddisfazioni grazie alle sue idee, e così inizia a pensare anche a scarpe per altri sport: nel 1931, per esempio, è la volta delle scarpe da tennis. Alle Olimpiadi di Berlino del 1936 il campione Jesse Owens indossa scarpe firmate da Dassler, ed è anche grazie a esse che conquista quattro ori a cinque cerchi.

Adidas e Puma

L’anno successivo, la scarpe Dassler possono essere utilizzate in undici sport differenti, per un totale di trenta modelli: la scarpa sportiva moderna è ormai famosa. Le cose, tuttavia, vanno bene dal punto di vista professionale, ma non da quello personale: Adolf, infatti, continua a litigare con suo fratello Rudolf, anche a proposito delle modalità di gestione dell’azienda. I due, così, rompono e si separano: ognuno decide di fondare una propria azienda.

È il 1948: Rudolf fonda una fabbrica chiamata Puma, mentre Adolf dà ufficialmente vita all’Adidas il 18 agosto 1949: il nome Adidas arriva da Adi, il soprannome con cui Adolf viene chiamato dagli amici, e dalle prime tre lettere del suo cognome.

Adolf Dassler mentre sistema i tacchetti di un paio di scarpe da calcio
Adolf Dassler mentre sistema i tacchetti di un paio di scarpe da calcio

Costantemente impegnato nello sviluppo della nuova azienda, Dassler si dedica in particolar modo alle scarpe da calcio, e così nel 1950 dà vita alle Adidas Samba, progettate in maniera particolare per gli allenamenti quotidiani dei giocatori. Ai Campionati del Mondo di Svizzera 1954 i giocatori della Nazionale tedesca calzano scarpe Adidas: a Berna, in occasione della finale, c’è anche Adolf, che alla fine del primo tempo si precipita negli spogliatoi per modificare la forma dei tacchetti e adattarli al terreno bagnato dalla pioggia.

La Germania sconfiggerà l’Ungheria e si laureerà campione del mondo, e Dassler, in virtù dei tacchetti intercambiabili delle sue scarpe, diventerà un eroe al pari dei calciatori.

L’invenzione delle sponsorizzazioni sportive

Adidas inventa, nel contempo, la sponsorizzazione sportiva, e si pubblicizza grazie ai calciatori che equipaggia. Per la fabbrica tedesca viene addirittura inventato il retronimo “All Day I Dream About Sports”, a dimostrazione della sua fama, confermata – per altro – dal fatto che più del 70 % degli atleti che partecipano alle Olimpiadi di Roma vestono Adidas. Vestono, perché nel frattempo si è deciso di puntare anche sull’abbigliamento sportivo: ne sono testimonial, tra gli altri, anche Dick Fosbury, Muhammad Ali, Franz Beckenbauer, il già citato Jesse Owens e Sepp Herberger.

Adidas Strisce

Adidas così inizia, progressivamente, a prendere le caratteristiche che oggi le riconosciamo: per esempio le tre strisce laterali, pensate per favorire la stabilità delle scarpe, e che nel giro di poco tempo divengono un segno riconoscibile del marchio Adidas, al punto da essere riprese anche nei capi di abbigliamento.

Le sponsorizzazioni della casa tedesca vanno oltre lo sport, come dimostrano i vestiti sportivi di Bob Marley: la moda detta legge, e l’idea di sponsorizzare un personaggio famoso (non necessariamente uno sportivo, ma anche un musicista) garantendosi i diritti esclusivi per la sua immagine rappresenta un’intuizione fantastica.

Adidas Bob Marley
Adidas Bob Marley

Il genio di Adolf Dassler

La mano di Adolf, in ogni caso, si rivela indispensabile anche nel momento in cui Adidas diventa una macchina da centinaia di milioni di dollari.

Per esempio, durante le Olimpiadi di Montreal 1976.

Dassler sta guardando in tv le batterie di qualificazione dei quattrocento metri piani: nota nel movimento del cubano Alberto Juantorena qualcosa di strano, uno scivolamento verso l’esterno nelle curve. Adolf chiama i tecnici inviati in Canada per far sì che controllino le scarpe dell’atleta centroamericano: i chiodi regolabili singolarmente, novità messa a punto da Adolf per le Olimpiadi canadesi, sono stati involontariamente manomessi, e la loro altezza è stata aumentata.

Ad accorgersene non è stato Juantorena, ma Dassler, dall’altra parte del mondo, attraverso uno schermo televisivo.

È la conferma del genio.

Una fotografia firmata Adi Dassler
Una fotografia firmata Adi Dassler

Adolf Dassler muore due anni dopo, il 6 settembre 1978, lasciando al mondo un’eredità di circa settecento brevetti.

Adidas, naturalmente, continua la sua cavalcata anche senza il suo fondatore. Oggi l’azienda tedesca è uno dei leader nel settore, e, dopo aver acquistato l’inglese Reebok, è seconda solo al gigante Nike.

Un modello Adidas Samba
Un modello Adidas Samba

I modelli storici di Adidas sono sempre più in voga, grazie alla voglia di vintage dei consumatori, e nel catalogo della casa tedesca resistono modelli come Campus, SuperStar e Samba che hanno fatto la storia per decenni, con fantasie e colori differenti.

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Storia della Maserati https://cultura.biografieonline.it/maserati-storia/ https://cultura.biografieonline.it/maserati-storia/#comments Sat, 19 Oct 2013 10:52:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8009 La gloriosa tradizione italiana (e, in particolare, emiliana) nel settore delle auto di lusso e da competizione conta ormai un secolo di vita. Essa affonda le proprie radici nel lontano 1914: quando Enzo Ferrari ha appena 16 anni e Ferruccio Lamborghini non è ancora nato, Alfieri Maserati, già collaudatore della Isotta Fraschini – altra prestigiosissima casa automobilistica italiana che, però, è rappresentativa di una fase, diremmo, più arcaica – fonda a Bologna la “Società Anonima Officine Alfieri Maserati”.

Il logo della Maserati
Maserati: il famoso logo

Carlo Maserati

Iniziatore della tradizione di famiglia nel mondo dei motori è Carlo Maserati. E’ nato nel 1887, quartogenito dei sette figli di Rodolfo Maserati, macchinista nelle Ferrovie, e Carolina Losi, entrambi di Voghera.

Ideatore di un motore per biciclette, gareggia egli stesso su velocipedi della fabbrica Carcano, dove lavora come tecnico, registrando importanti successi. Passa poi alla Fiat e, nel 1903, alla Isotta Fraschini – come collaudatore ed esperto di meccanica. Chiama con sé, poco dopo, suo fratello Alfieri. La sua carriera agonistica prosegue con la Bianchi, per poi assumere la direzione generale della torinese Junior. Fino ad avviare una propria attività di produzione di parti elettriche per auto. La sua vita, però, si interrompe prematuramente nel 1916, ad appena 29 anni.

Alfieri Maserati

Alfieri, intanto, che nella Isotta Fraschini ha seguito le orme di Carlo, come tecnico e corridore, facendosi apprezzare per le sue doti fino ad assurgere a ruoli dirigenziali, nel 1914 – proprio come il fratello – dà vita, nel capoluogo emiliano, alla sua società, coinvolgendo altresì alcuni degli altri suoi fratelli. Le “Officine Maserati” lavorano inizialmente per le vetture della Isotta Fraschini, a bordo delle quali Alfieri vince diverse corse.

Il prestigio e la notorietà acquisiti destano l’interesse dei fratelli Diatto, anch’essi produttori torinesi di auto sportive di alto segmento. Essi lo chiamano a progettare e pilotare le loro vetture. Anche qui Alfieri si distingue per abilità e competenza. Un incidente di percorso (partecipa ad una gara con un motore non regolamentare), gli costa però cinque anni di squalifica.

La penalizzazione, che porta con sé un pesante fardello di mortificazione e frustrazione, si rivela invece provvidenziale. Gli offre un lungo periodo di riflessione alla fine del quale Alfieri si ritrova con idee molto chiare per il suo futuro. Le “Officine Maserati” produrranno auto proprie sotto il simbolo del Tridente. Il marchio viene scelto pensando alla fontana di piazza Nettuno, a Bologna, raffigurante l’omonimo dio delle acque.

Il simbolo del tridente Maserati
Maserati: il simbolo del tridente

Nasce il mito “Maserati”

La prima auto nasce nel 1925, ed è subito un trionfo. Pilotata dallo stesso Alfieri, la “Tipo 26” si aggiudica la spericolata “Targa Florio”. Due anni dopo la “Tipo 26B” vince il Campionato Internazionale Marche. Nel 1929 viene stabilito il record mondiale di velocità con la “V4”. Il Tridente della Maserati ha ormai conquistato i cuori degli sportivi e degli appassionati di auto in tutto il mondo. La “V4” vince anche il GP di Tripoli, nel 1930.

Oramai lanciata nel blasonato e lussuoso firmamento dell’automobilismo sportivo, Alfieri progetta e realizza altri due bolidi, la “4CTR” e la “8C 2500”, prima del 1932, anno in cui, in seguito ad un tragico incidente stradale, si spegne anch’egli, il 3 di marzo, all’età di 47 anni.

Ma i fratelli Ernesto, Ettore e Bindo, animati dalla stessa carica di determinazione e di entusiasmo, caratteristiche di famiglia, non si lasciano scoraggiare. Dopo un primo momento di ovvio dolore e disorientamento, prendono in mano le redini della casa automobilistica decisi a perpetuarne lo stile, la tecnologia ed il successo.

Nel 1933 arruolano il pilota Tazio Nuvolari, che vince ben tre GP, in Belgio, in Montenero e a Nizza. Seguono ancora due vittorie, nel 1939 e 1940, ad Indianapolis, prima della pausa forzata a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L’Italia dei motori

Gli anni successivi alla guerra vedono l’Italia primeggiare, a livello mondiale, nel campo delle automobili: su strada o su pista, l’industria italiana propone vere perle di eleganza, efficienza, potenza, dalle “Lancia” alle “Alfa Romeo” (la casa vincitrice del primo GP di Formula 1), dalle “Ferrari” (che vincono il secondo GP e si aggiudicano poi una serie innumerevole di vittorie in F1 e in altre competizioni) alle “Lamborghini”, e con nomi altisonanti nel settore del desing: l’argentino De Tomaso, che in Italia avvia e sviluppa la sua brillante carriera; le carrozzerie Pinin Farina e Bertone, la Italdesign di Giorgetto Giugiaro.

In tutto questo la Maserati, che nel 1937 era stata ceduta ad Adolfo Orsi – l’imprenditore bolognese che avrà un ruolo determinante nella decisione di Enzo Ferrari di dedicarsi alla produzione di auto – conserva una posizione di primissimo piano. I vecchi proprietari, che sono rimasti nell’azienda come curatori del settore tecnico, continuano a dare il proprio prezioso contributo.

Grazie anche a piloti formidabili come Fangio, Gonzalez, Marimon, Bonetto, de Graffenried, la Squadra Corse Maserati consegue una lunga serie di successi, fra i quali il Gran Premio di Modena del 1951, il GP d’Italia del 1953, il GP di Argentina del 1954, fino al titolo iridato in F1, nel campionato 1957.

L’addio alle competizioni

Grande deve essere stata la frustrazione per la dirigenza della casa bolognese (da qualche anno trasferitasi a Modena) quando, subito dopo aver conseguito il titolo più ambito, si vede costretta ad annunciare il ritiro dalle competizioni per i costi ormai divenuti insostenibili. Pur continuando a progettare e costruire eccellenti motori per altri marchi – in particolare per la Cooper – la Maserati punta ormai alla produzione di auto sportive di gran lusso e di grande successo.

Gli anni delle trepidazioni

Con i modelli “3500 GT”, “Sebring”, “Mistral” fino alla “Quattroporte”, prima berlina di alta classe, seguita dalla leggendaria “Ghibli”, e grazie allo stile unico, alla efficienza ed alla potenza, Maserati si afferma sul mercato internazionale inserendosi a pieno titolo fra le case di più alto prestigio.

Nonostante ciò, alla fine degli anni ‘60 inizia un periodo turbolento che la vede passare di mano in mano. Nel 1968 la famiglia Orsi cede l’industria alla Citroen. Nel 1975 la proprietà passa alla Benelli fino al 1993, quando viene acquisita da FIAT Auto. Fra il 1997 ed il 1999 passa alla Ferrari per tornare alla FIAT nel 2005.

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Tanto scombussolamento, che farebbe pensare ad una crisi continua ed irreversibile, non influisce invece sulle capacità del Tridente di continuare a dare il meglio di sé: con la Citroen sforna la “Merak”, la “Khamsin”, i prototipi della “Quattroporte II”, carrozzata da Bertone, e la “Merak SS”, tutte auto di eccezionale livello le cui vendite sono frustrate soltanto dalla crisi petrolifera degli anni ’70. Con la Benelli, che ne ha affidato l’amministrazione a De Tomaso, vengono prodotte la “Kyalami” e la “Quattroporte III”, disegnata da Giugiaro, grazie alle quali le vendite riprendono a salire, nonostante la crisi. Segue la Biturbo che riscontra una tale affermazione da indurre la casa a produrne alcune decine di versioni. Anche la “Quattroporte” messa in cantiere da FIAT Auto e disegnata da Marcello Gandini ottiene grande riscontro sul mercato.

Maserati oggi

Gli anni Duemila si aprono all’insegna dell’ottimismo, in un crescendo continuo le cui tappe sono segnate dalla “3200GT”, a firma Giugiaro, e dalla “Quattroporte Evoluzione”, in produzione già dal 1998. Seguono la “Spyder” e la “Coupé”, veri gioielli di ricercatezza e tecnologia. Ma la vera spinta per il rilancio viene dalla nuova versione della “Quattroporte”. Essa si afferma sui mercati internazionali collocandosi fra le berline più premiate ed apprezzate.

Una foto della Maserati Gran Cabrio 2007
Maserati Gran Cabrio

Con il ritorno alla FIAT, nel 2005, la Maserati raggiunge l’apice del successo. Dopo le buone performance di vari nuovi modelli, il varo della “GT” rappresenta, nel 2007, una vera esplosione di consenso ed entusiasmo intorno al simbolo del Tridente, il quale viene ormai affiancato ai più prestigiosi ed esclusivi marchi automobilistici internazionali.

Con il lancio della “Gran Cabrio”, nel 2007, la casa di Modena scrive un’altra memorabile pagina nella storia dell’automobilismo sportivo e di lusso. Conferma ed ulteriormente accresce la propria fama. Ma questi sono anche gli anni del ritorno alle competizioni – pur se non nelle gare di massimo livello. Si conquistano nuovi trofei, tra i quali ben 12 nei Campionati Mondiali FIA GT.

Maserati Coupè
Maserati Coupé

Il Museo delle Maserati

Delle 40 automobili che compongono la collezione di auto storiche della famiglia Panini, a Modena, ben 23 recano il marchio Maserati. In un excursus storico davvero emozionante che, prendendo le mosse dal 1936, con la “Tipo 6 CM”, attraversa i decenni con i modelli di maggior prestigio. Come la “Tipo A6GCS Berlinetta Pinin Farina”, del 1953. La “A6G/54”, costruita nel 1954 e carrozzata da Alemanno. La “3500 GT Carrozzeria Touring”, del 1957. La “420M/58 Eldorado”, costruita in un solo esemplare per la 500 Miglia di Monza del 1958. Dino alla “Khamsin”, a firma Bertone, del 1972. Oltre ad alcuni prototipi rimasti tali perché non ne fu mai avviata la produzione.

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Nike – Breve storia https://cultura.biografieonline.it/storia-della-nike/ https://cultura.biografieonline.it/storia-della-nike/#comments Thu, 05 Jul 2012 12:20:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2952 Nike, la storia dell’azienda

La Nike nasce il 25 gennaio del 1967, nel momento in cui lo studente di economia Phil Knight e l’allenatore della Oregon University Bill Bowerman costituiscono un marchio che importi dal Giappone scarpe sportive: il nome “Nike” viene scelto a richiamare la dea omonima della mitologia greca, simbolo della vittoria.

Il logo NIKE, uno dei più riconoscibili e conosciuti
Il logo NIKE, uno dei più riconoscibili e conosciuti

Le origini dell’azienda, tuttavia, vanno fatte risalire a qualche anno prima, quando Knight apprende da una ricerca di mercato che i prodotti giapponesi hanno delle potenzialità eccezionali sul mercato statunitense, soprattutto per quel che riguarda l’alta tecnologia e le scarpe di atletica. Per questo motivo, nel 1962, insieme con Bowerman egli dà vita alla Brs, Blue Ribbon Sports, costata 500 dollari a entrambi. Attraverso questa società, prende il via la commercializzazione di calzature sportive, che in Giappone sono prodotte da Onitsuka Tiger. Il successo sul mercato statunitense è pressoché immediato, così che Brs decide di dare il via a una linea di produzione propria.

Con la nascita della Nike, la collaborazione con Tiger termina, e i risultati si vedono: nel 1971 i ricavi sono nell’ordine dei due milioni di dollari, a fronte degli 8mila dollari dei primi tempi. Nello stesso anno, per altro, la Nike si dota del suo logo simbolo, vale a dire lo “Swoosh”. Esso viene creato da una studentessa della Portland State University, Carolyn Davidson, che segue il corso di grafica, e che realizza il logo su richiesta esplicita di Knight.

Lo swoosh Nike

Lo “Swoosh” richiama la Nike di Samotracia, della quale rappresenta una stilizzazione. La Davidson accetta di lavorare al progetto a un prezzo di due dollari l’ora, quindi presenta l’idea vincente. Lo “Swoosh”, il cui valore è attualmente inestimabile, viene pagato alla studentessa solo 35 dollari (ma undici anni più tardi la Davidson riceverà da Knight numerose azioni dell’azienda e un anello d’oro in segno di gratitudine).

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia: il simbolo Nike si rifà al movimento curvo della celebre scultura

Gli anni ’70

Negli anni Settanta, intanto, l’azienda si sottopone a un restyling del sistema produttivo, espandendosi a livello internazionale soprattutto in Australia e, in virtù di accordi di licensing, in Corea e a Taiwan. Il 1978 è l’anno della nascita ufficiale di Nike Inc., ma anche del primo contratto di sponsorizzazione siglato con un grande personaggio sportivo, il tennista John McEnroe.

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L’anno successivo, invece, viene messa in commercio Tailwind, vale a dire la prima scarpa da corsa che può contare su Nike-air, il sistema di ammortizzazione brevettato dalla casa americana: una tecnologia che in seguito verrà impiegata per l’intera produzione Nike, migliorata e integrata costantemente, e diventerà il reale punto di forza delle calzature statunitensi.

Nel 1979 Nike copre una fetta eccezionale del mercato statunitense, pari al 50 % nel settore delle scarpe da corsa, e presenta un fatturato di circa 150milioni di dollari. L’azienda, che impiega poco più di 2700 dipendenti, viene quotata in borsa l’anno seguente, con due milioni di azioni ordinarie come offerta al pubblico. Il momento economico è senza dubbio felice, e lo confermano i 270 milioni di dollari di ricavi.

Gli anni ’80

Ormai nel panorama internazionale Nike International Ltd. ricopre un ruolo fondamentale: le esportazioni in più di quaranta Paesi permettono, nel 1984, di sfiorare il miliardo di dollari di fatturato. Alla crescita economica non può che corrispondere, naturalmente, una crescita di prestigio. Merito anche degli atleti sponsorizzati Nike, che ottengono risultati di altissimo livello: da Carl Lewis e Joan Benoit, senza dimenticare Alberto Salazar, vincitore della maratona di New York.

Il 1988 è un anno fondamentale per due motivi: sia perché si supera il miliardo di ricavi (passando dagli 877 milioni di dollari del 1987 ai 1200 milioni dell’anno successivo), sia perché prende il via “Just do it”, la campagna pubblicitaria più importante del marchio americano. Si tratta di un’incitazione semplice ma efficace, che invita le persone a lavorare e faticare per non perdere di vista i propri sogni.

Mentre gli anni Ottanta si concludono con un fatturato superiore ai due miliardi di dollari (merito anche dei 5300 dipendenti sparsi in tutto il mondo), gli anni Novanta si aprono con un’espansione geografica ancora più forte.

Gli anni ’90

L’impegno verso temi ambientali e sociali viene affiancato alla ricerca di nuovi prodotti, come le calzature per il fitness e per l’attività fisica da effettuare negli ambienti chiusi. Nell’ultimo decennio del Novecento, inoltre, lo sponsor Nike campeggia sull’abbigliamento dei campioni più conosciuti: Pete Sampras e Andre Agassi nel tennis, Michael Jordan nella pallacanestro, Michael Johnson e Carl Lewis nell’atletica, la nazionale brasiliana di Ronaldo nel calcio.

Foto di Andre Agassi
Una foto di Andre Agassi negli anni ’90

Diversi programmi improntati alla sensibilizzazione ambientale vengono promossi, anche attraverso il Codice di Condotta istituito nel 1992, che obbliga tutti i licenziatari e partner Nike del mondo a garantire precisi standard di comportamento che assicurino un livello salariare adeguato ai dipendenti. La responsabilità sociale dell’azienda trova conferma anche in PLAY, progetto il cui acronimo significa “Participate in the lives of America’s youth”, che si propone di sostenere attività ricreative e sportive tra le generazioni più giovani.

Anni recenti

Annualmente, Nike regala a organizzazioni no profit il 3% del fatturato mondiale: una beneficenza effettuata tramite denaro o prodotti specifici. Solo nel 2004, la somma complessivamente donata supera i 37 milioni di dollari. Nello stesso anno, per altro, viene lanciato Livestrong, il braccialetto giallo messo in commercio dalla “Lance Armstrong Foundation”, la fondazione dell’ex ciclista Lance Armstrong, finalizzata a finanziare la ricerca contro il cancro. Indossato in un primo momento soprattutto dagli sportivi, al Tour de France e agli Europei di calcio, il braccialetto si trasforma in una moda, esibita da divi dello spettacolo, calciatori e vip.

Nel frattempo, i ricavi economici hanno continuano a crescere: il 2004 si chiude con più di dodici miliardi di utili, e una crescita di più del 12% rispetto all’esercizio dell’anno prima. Nello stesso anno, Philip Knight, fondatore dell’azienda, lascia il proprio posto a William Perez, che diventa direttore esecutivo, Ceo e presidente; Knight conserva solo la carica di presidente del Cda.

Negli ultimi anni, Nike prosegue nel suo doppio progetto commerciale e sociale, mettendo al primo posto valori come l’innovazione, la creatività e l’impegno, in una costante ricerca che si propone di favorire l’ispirazione di ogni atleta nel mondo.

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