Auschwitz Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 26 Jan 2022 16:08:53 +0000 it-IT hourly 1 I sommersi e i salvati: riassunto del saggio di Primo Levi https://cultura.biografieonline.it/sommersi-salvati-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/sommersi-salvati-riassunto/#comments Wed, 12 May 2021 16:08:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29714 Primo Levi è uno degli scrittori più importanti che il nostro Paese ha conosciuto nel corso del Novecento. Il suo nome è legato soprattutto al romanzo “Se questo è un uomo” (pubblicato nel 1947) in cui racconta la sua esperienza come deportato nel campo di lavoro di Monowitz, ad Auschwitz. Ma vi sono anche altre opere scritte da questo autore torinese (che è stato anche un valido giornalista) che meritano attenzione, come il saggio scritto nel 1986, prima di togliersi la vita, intitolato “I sommersi e i salvati”.

I sommersi e i salvati - libro
I sommersi e i salvati

I sommersi e i salvati: riassunto e storia

Nella prefazione dell’opera, Primo Levi ci tiene a puntualizzare che il suo punto di vista non è quello di uno storico; per cui nel saggio vengono riportate per lo più considerazioni, non essendovi alcuna documentazione reale dei fatti accaduti. Nel testo infatti sono presenti riflessioni e opinioni che accomunano i reduci dalla drammatica esperienza dei lager. In particolare, emergono i ricordi, i sentimenti e le emozioni che i sopravvissuti hanno sentito fortemente sulla propria pelle, anche a causa delle violenze subite.

Memoria e Ricordo

L’autore, nel suo saggio I sommersi e i salvati, parla dell’importanza della Memoria e del Ricordo per noi uomini. Purtroppo, però, i ricordi tendono a sbiadire nel corso del tempo, oppure si alterano per svariati motivi. Rievocare il dramma del Lager provoca forte disagio sia a chi lo ha vissuto da vittima che per l’oppressore.

Quest’ultimo, in particolare, cerca di dare (ma invano) una giustificazione agli scellerati gesti compiuti all’interno di quei luoghi maledetti dove milioni di uomini hanno perduto la loro dignità.

“Ho agito perché non potevo sottrarmi al comando, perché ero stato infarcito con slogan e manifestazioni e mi è stata tolta la capacità di discernere, ecc”.

Per non restare schiacciato dal peso di ciò che ha fatto l’oppressore si costruisce una realtà di comodo cercando di convincere sé stesso e poi gli altri che ha agito “in buona fede”.

Le vittime invece solitamente alterano i ricordi di una esperienza così dolorosa per evitare di soffrire ancora. Ma c’è una differenza che Primo Levi mette in evidenza: mentre i politici, i combattenti e coloro che hanno sofferto di meno hanno provato un senso (legittimo) di liberazione una volta usciti dai lager, in tutti gli altri (la maggioranza) prevale un senso di abbattimento e vergogna che dura molti anni.

Alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento non hanno retto al peso dei ricordi e si sono suicidati. Nei lager non avvengono suicidi semplicemente perché si è impegnati a sopravvivere e il senso di colpa viene continuamente soffocato dalle violenze e punizioni inflitte.

Una volta usciti, poi, il senso di colpa di non aver fatto nulla per ribellarsi al sistema che li ha soggiogati, torna a fare capolino. E per alcuni può essere talmente forte da portare al suicidio.

Chi sono i Salvati

I sopravvissuti ad un Lager provano vergogna anche per l’egoismo assoluto che ha contraddistinto il periodo trascorso all’interno di questi terribili luoghi: non si aveva tempo o possibilità di badare agli altri, ma soltanto a sé stessi. Levi dice che “i salvati non erano i migliori”.

Purtroppo a sopravvivere erano spesso gli egoisti, le spie, i loro collaboratori, le persone più malvagie e senza scrupolo.

Chi si è salvato da un lager ed ha un animo sensibile sente su di sé tutte le colpe del mondo, soffre anche per quello che altri hanno commesso al posto suo.

Primo Levi, foto
Foto di Primo Levi

La Violenza gratuita

Primo Levi sottolinea in modo magistrale nel saggio anche un altro aspetto importante: la violenza gratuita e inutile perpetrata alle vittime all’interno dei campi di concentramento. Un tipo di violenza inferta al solo scopo di provocare la sofferenza negli uomini, non “giustificata” da una guerra o da altri scopi pur ignobili.

Nell’ultima parte del saggio l’autore si sofferma a rispondere ad alcune domande che gli hanno posto fino alla fine dei suoi giorni:

  • “perché non siete scappati?”
  • “perché non vi siete ribellati a ciò che vi stavano facendo?”

Primo Levi ha risposto che, per come erano organizzate le cose nel Lager, ogni tentativo di fuga o ribellione sarebbe miseramente fallito, portando con sé soltanto conseguenze ulteriori di violenza e sopraffazione.

Molto interessante è la distinzione che lo scrittore sopravvissuto al campo di concentramento fa dei prigionieri.

Riferendosi a quelli che da vittime si trasformano in collaboratori ed oppressori, lui li definisce essere in una “zona grigia”. C’è anche un caso limite di collaborazione nei Lager, che Levi individua nelle “squadre speciali”. Si tratta di prigionieri a cui veniva affidata la gestione dei forni crematori, in cui di volta in volta le vittime venivano uccise.

L’autore ci tiene poi a citare alcune persone specifiche, che hanno condiviso con lui l’atroce esperienza della prigionia: l’amico Alberto, Chaim Rumkowski (uno dei “dittatori” del ghetto di Lodz), l’intellettuale ebreo Hans Mayer, Mala Zimetbaum (la prigioniera che tenta di fuggire con un prigioniero politico), il compagno Daniele.

Il libro

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Se questo è un uomo, riassunto e commento https://cultura.biografieonline.it/se-questo-e-un-uomo/ https://cultura.biografieonline.it/se-questo-e-un-uomo/#comments Mon, 03 Feb 2014 12:04:05 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9631 Famosissimo romanzo di Primo Levi che lo scrittore ci ha lasciato per raccontarci le sue memorie della prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz. Scritto tra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, il libro “Se questo è un uomo” racconta la tragedia dei lager nazisti vista da vicino dallo stesso autore che ne fu deportato nel 1944 per l’unica colpa di essere di religione ebraica.

Primo Levi, Se questo è un uomo
Nella foto: immagine tratta dalla prima edizione di “Se questo è un uomo” (1947), una copertina del libro e la foto dell’autore, Primo Levi

Levi visse per un anno all’interno del lager più tristemente famoso: i nazisti scelsero di tenerlo in vita in quanto chimico di professione che poteva essere utile per la manodopera.

L’opera testimonia la formidabile volontà di spiegare con l’arma della ragione, l’irrazionalità della barbarie tedesca. Egli sente infatti il bisogno di lasciare una testimonianza al mondo su quello che ha vissuto in quei terribili luoghi di morte.

Il romanzo fa parte infatti del filone neorealista perché descrive con grande vividezza la condizione disperata dei deportati.

Se questo è un uomo: riassunto

La narrazione degli eventi segue l’ordine cronologico per la maggior parte del tempo. Inizia col descrivere il viaggio che i deportati compivano in treni, veri e propri carri bestiame, per arrivare nelle strutture detentive. Molti dei passeggeri morivano durante il viaggio a causa delle condizioni disumane in cui erano trasportati.

Una volta arrivati al campo esisteva una selezione tra coloro che venivano subito uccisi e coloro che erano destinati ai lavori forzati. Primo Levi viene catalogato con il numero e assegnato alle mansioni più dure.

Levi racconta anche dell’infortunio al piede che lo colpisce e lo costringe 20 giorni a letto, che sono per lui un modo per riposarsi dalle angoscianti fatiche. Purtroppo la povertà era dilagante, nessuno possedeva niente e l’autore ci racconta l’ esistenza di una sorta di mercato nero basato sul baratto per potersi procurare almeno quel poco per arrangiarsi a vivere.

Primo Levi
Primo Levi

Figura importante del sesto capitolo è l’amico francese Resnyk, che lo aiuta nei lavori pesanti.  A seguito di un esame di chimica, Levi viene ammesso al laboratorio, questa condizione permette di distinguerlo dai prigionieri di lavori forzati e di vivere in modo un po’ più dignitoso. La parte più emozionante è Storia di dieci giorni, l’epilogo della vicenda in cui Levi illustra l’abbandono del lager da parte dei tedeschi e l’arrivo dell’armata rossa. Egli, malato di scarlattina, viene abbandonato nell’infermeria. Ma questa sarà la sua fortuna in quanto gli altri saranno costretti alla cosiddetta marcia della morte, in cui moriranno a migliaia. Levi si sostiene con gli altri malati e mentre aspettano l’arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio del 1945.

Lo stile del romanzo Se questo è un uomo è molto semplice e rigoroso.

L’esperienza segnerà per sempre lo scrittore, che scelse il suicidio nel 1987.

Il libro

Dello stesso autore, sullo stesso tema, abbiamo riassunto in un altro articolo la sua ultima opera: I sommersi e i salvati. Il libro fu pubblicato nel 1986 prima del suicidio di Primo Levi.

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Auschwitz: la storia https://cultura.biografieonline.it/il-campo-di-concentramento-di-auschwitz/ https://cultura.biografieonline.it/il-campo-di-concentramento-di-auschwitz/#comments Tue, 03 Jul 2012 13:26:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2824 Il campo di concentramento di Auschwitz è stato fondato il 20 maggio del 1940 e ha iniziato la sua attività di morte il 14 giugno del 1940. Auschwitz fu il centro amministrativo dell’attività concentrazionaria e al suo interno furono imprigionati fino ad un massimo di 20.000 persone, compresi i bambini. E’ stato costruito alla periferia della cittadina che porta lo stesso nome. All’interno del campo c’era una camera a gas che veniva utilizzata per uccidere persone inadatte al lavoro o che superavano il limite di contenimento del campo di concentramento.

Auschwitz: "il lavoro rende liberi" (arbeit macht frei)
Auschwitz: “il lavoro rende liberi” (arbeit macht frei)

Il Lager propriamente detto, si componeva da un minimo di 3 ad un massimo di 5 strutture: il campo di sterminio di Birkenau fu uno dei tre campi principali che formavano il complesso vicino ad Auschwitz. Aveva una capacità di contenimento di circa 60.000 persone. Iniziò la sua attività di sterminio l’8 ottobre 1941. C’erano anche una serie di sottocampi che potevano distare anche centinaia di chilometri dal campo principale; uno di questi, dove fu imprigionato Primo Levi, era il campo di Mònowitz. Quest’ultimo era il campo di lavoro più grande ed era arrivato a contenere fino a 12.000 persone e distava 7 chilometri da Auschwitz.

Com’era composto il campo di concentramento di Auschwitz?

Era stato ricavato da vecchie caserme dell’esercito polacco e fu costruito per alloggiare personale amministrativo e militare, nelle strutture migliori, e intellettuali e partigiani nelle baracche. In seguito fu deciso di deportare prigionieri di guerra, soprattutto russi, criminali tedeschi, zingari, omosessuali ed ebrei. Non si è mai superata la cifra di 20.000 detenuti.

Il campo era utilizzato come luogo di smistamento quando arrivavano i convogli stracarichi di prigionieri. Questi treni, che contenevano in situazioni igieniche inimmaginabili, donne, uomini, anziani, malati e bambini giungevano vicino al campo, da lì i prigionieri venivano scaricati su una banchina e portati al controllo medico in cui si decideva se potevano continuare a vivere o invece se dovevano essere uccisi.

Auschwitz, l'arrivo dei treni
Auschwitz, l’arrivo dei treni

In seguito, a partire dal maggio del 1944, la quantità di deportati aumentò esponenzialmente e il percorso dei convogli fu prolungato fino al campo di Birkenau in cui subivano la stessa prassi. Auschwitz non era un campo di lavoro ma solo di contenimento. Lì i prigionieri mangiavano razioni scarsissime, dormivano in baracche sporche e sovraffollate e  quando possibile, in condizioni igieniche precarissime, si lavavano. I prigionieri del campo entravano e uscivano da un cancello tristemente famoso in cui era posta la scritta “il lavoro rende liberi” (arbeit macht frei) e che fu costruita per inculcare, secondo una fredda e spietata regolamentazione teutonica, una serie di regole ferree che se non venivano rispettate si pagavano con la morte.

Auschwitz, una foto recente del cancello di ingresso
Auschwitz, una foto recente del cancello di ingresso

Il lavoro rende liberi significava schiavizzare tutti i prigionieri ad un lavoro forzato che durava quasi 12 ore al giorno e che impegnava tutti in lavori perlopiù manuali. I prigionieri vivevano in baracche di legno che venivano chiamate block e che erano sempre sovraffollate. I letti era dei tavoli di legno posti su tre piani e dotati di un pagliericcio mal conservato sul quale  dormivano più persone costrette ad appoggiarsi le une sulle altre. Questa promiscuità aumentava la trasmissione di malattie e di parassiti come i pidocchi che infestavano tutto il campo. Ogni 15 giorni era concessa una domenica di riposo, durante la quale i prigionieri si occupavano della loro igiene personale e della manutenzione del campo.

L’idea mostruosa che portò alla realizzazione di Auschwitz e dei campi di concentramento che componevano l’universo concentrazionario nazista nacque dalla necessità di avere un luogo in cui contenere tutto ciò che agli occhi dei nazisti appariva come diverso. Tuttavia all’inizio fu immaginato come una prigione in cui rinchiudere coloro che sarebbero stati condannati ai lavori forzati. In seguito, divenne il luogo in cui realizzare la soluzione finale, eufemistica definizione per identificare il progetto ispirato da Hitler di deportare tutti gli ebrei d’Europa in un unico territorio per rinchiuderli e sterminarli attraverso l’utilizzo di camere a gas e del lavoro forzato in condizioni disumane. Tale progetto fu organizzato e discusso durante la Conferenza di Wannsee che si tenne il 20 gennaio 1940.

Auschwitz, una foto del campo di concentramento
Auschwitz, una foto del campo di concentramento

L’idea che rendeva mostruosa l’invenzione del campo di concentramento non riguardava solo la sua organizzazione di sterminio e morte ma anche l’intento metodicamente perseguito di togliere qualsiasi umanità e dignità ai prigionieri, affinché arrivassero a sentirsi come animali spogliati di qualsiasi parvenza di umanità. Per questo motivo dopo essere stati selezionati i prigionieri venivano privati dei loro abiti, rasati e gli veniva tatuato un numero con il quale sarebbero stati identificati per tutto il periodo del loro internamento. Perché il nome era bandito, annullato. Nel campo di concentramento non c’era più individualità né passato.

Auschwitz, detenuti e militari tedeschi
Auschwitz, detenuti e militari tedeschi

Cos’era il Lager?

Il Lager era un luogo di costrizione fisica in cui il desiderio primordiale di libertà veniva annichilito e dove l’uomo nel suo corpo, nella sua anima e nella sua mente veniva sottoposto ad una violenza inaudita affinché dimenticasse ogni desiderio o speranza.

Perché?

Perché solo la violenza come atto di sottomissione può definire coloro che si ritengono superiori o diversi dagli altri. Quello che colpisce nell’odio nazista è che non esisteva una qualsiasi speranza, i prigionieri erano destinati alla morte certa. Se questa non sopraggiungeva attraverso le camere a gas, le sevizie o le fucilazioni avveniva a causa degli stenti e delle malattie. Il loro destino era segnato, quindi non vi era intento riabilitativo ma solo di sfruttamento cieco, fino alla morte.

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La liberazione

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche liberarono i prigionieri di Auschwitz e di tutti i campi ad esso collegati. Moltissimi erano i cadaveri ancora sparsi sui terreni, nei block e nell’infermeria. Furono trovati indumenti, capelli e oggetti appartenuti ai detenuti. Dopo stime, statistiche e dibattiti si arrivò a considerare definitivamente veritiera la cifra di circa 1.500.000 di vittime del complesso detentivo di Auschwitz.

Auschwitz - Lapide
Auschwitz – Solo quando nel mondo a tutti gli uomini sarà riconosciuta la dignità umana, solo allora potrete dimenticarci. [Lapide presente presso il Sacrario ai Caduti di Marzabotto – Bologna]

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