Anni Settanta Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Sat, 12 Feb 2022 19:15:14 +0000 it-IT hourly 1 Pago-Pago, vaso di design https://cultura.biografieonline.it/pago-pago-vaso-di-design/ https://cultura.biografieonline.it/pago-pago-vaso-di-design/#respond Sat, 12 Feb 2022 19:08:52 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38454 Il vaso Pago-Pago fu ideato e disegnato da Enzo Mari alla fine degli anni’60.

Venne prodotto dall’azienda Danese fra il 1969 e il 1994; in seguito venne prodotto da Alessi dal 1997 al 2000.

Il vaso è una delle dimostrazioni più interessanti di praticità ed eleganza.

Pago-Pago vaso
Pago-Pago vaso

Pago Pago (che si pronuncia: Pango Pango) è anche il nome di un villaggio nonché capitale delle isole Samoa Americane.

La praticità

È pratico perché ha due imboccature:

  • una più grande per accogliere un mazzo di fiori, più consistente;
  • una più piccola per poter inserire un mazzetto più contenuto.

Le due imboccature sono unite da un’unica struttura che permette di girare il vaso per la doppia funzionalità, ma anche di produrlo con un solo stampo, formato da due parti.

Il materiale

Il materiale con cui è realizzato è lo stesso dei mattoncini Lego (invenzione di Ole Kirk Kristiansen): si chiama ABS e permette una certa duttilità per la creazione di prodotti con linee particolari.

L’eleganza

L’eleganza, invece, appartiene alla fantasia del suo creatore, Enzo Mari. Ma appartiene anche alla fantasia di coloro che lo acquistano: viene infatti utilizzato in contesti casalinghi, oppure come oggetto estetico da inserire in un arredamento particolare.

Il vaso Pago-Pago è stato prodotto in colori diversi:

  • verde,
  • viola,
  • giallo,
  • bianco,
  • nero.

Anche se non tutti sono d’accordo nel considerarlo un vaso particolarmente bello o elegante, per il mio gusto invece è un oggetto molto particolare, dall’eleganza curiosa; di certo è diventato un oggetto da collezione, perché simbolo del design degli anni ’70.

Video dal sito: www.fulviocaporale.com

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Nascita e storia de “il Giornale” di Indro Montanelli https://cultura.biografieonline.it/il-giornale-di-montanelli/ https://cultura.biografieonline.it/il-giornale-di-montanelli/#respond Sun, 12 Mar 2017 18:11:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21710 Il 25 giugno 1974 nacque a Milano il “il Giornale nuovo”, voce liberale, diretto da Indro Montanelli, in un clima segnato dal terrorismo e dalle stragi degli anni di piombo. Montanelli abbandonò il “Corriere della Sera” dopo la polemica con il direttore Piero Ottone a seguito della svolta a sinistra della linea politica di quest’ultimo. Da qui la decisione del giornalista Montanelli di fondare il nuovo quotidiano il Giornale nuovo con altri tre colleghi: Enzo Bettiza, Gianni Granzotto e lo scrittore Guido Piovene. La scelta di aggiungere “nuovo” alla testata è dettata dalla presenza ai tempi di un altro quotidiano denominato “il Giornale“, che usciva a Varese. Solo nel 1983 la testata venne rinominata “il Giornale” poiché l’altro giornale di Varese cessò la pubblicazione.

il Giornale di Indro Montanelli - storia e nascita - primo numero
25 giugno 1974: il primo numero de “il Giornale nuovo”, fondato da Indro Montanelli

I lettori de “il Giornale nuovo”, secondo Indro Montanelli, dovevano essere gli ex lettori del “Corriere della Sera” e de “La Stampa”, “colpevoli” di stare con Berlinguer e con la sinistra democristiana. Il fatto rivoluzionario di questa pubblicazione risultò essere la struttura cooperativa. Ovvero la squadra di giornalisti, proprietaria della testata. Essi furono pertanto i soli a poterne scegliere la linea politica.

Questa totale autonomia restò anche dopo l’acquisizione, nel 1977, de “il Giornale nuovo” da parte di Silvio Berlusconi, allora costruttore edile. La redazione era composta da 59 giornalisti e il quotidiano usciva sei giorni alla settimana (non era in edicola il lunedì). Il primo numero infatti uscì – come detto – di martedì, il 25 giugno 1974.

Indro Montanelli con Silvio Berlusconi
Indro Montanelli con Silvio Berlusconi

“Al lettore”: l’editoriale del primo numero

Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» […] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli […] Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra […] Vogliamo creare, o ricreare, un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell’Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida.

La struttura de “il Giornale nuovo” dal 1974 al 1980

Nel periodo 1974-1980 a distinguere il giornale dalle altre testate italiane c’è una terza pagina fissa. E’ la pagina dedicata alla cultura come da tradizione giornalistica italiana. L’impaginazione degli articoli in prima pagina è completata senza rimandi a pagine interne. Una pagina intera è dedicata alle lettere al direttore, dal titolo “La parola ai lettori”. E’ una pagina a cui Indro Montanelli risponde con i suoi articoli ogni giorno.

I ricavi degli annunci funebri sono destinati alla beneficenza, agli stessi enti indicati dagli inserzionisti. In fondo alla prima pagina c’è la rubrica “Controcorrente”, impaginata in un riquadrato di 400 battute. In essa Montanelli commenta in modo ironico e pungente un fatto o un evento del giorno precedente.

Nelle pagine interne di cronaca cittadina si trova “Agopuntura”. In quella dedicata alla critica letteraria e artistica, c’è la rubrica “Puntasecca”.

Nasce nel 1975 l’edizione di Genova

Il 28 gennaio 1975 nasce anche l’edizione di Genova. Il 1975 è l’anno in cui si svolgono in vari luoghi d’Italia le elezioni amministrative. La posizione de “il Giornale nuovo” è quella di schierarsi su base nazionale contro il PCI e di favorire la DC. Insomma, il quotidiano rispecchia il pensiero del suo direttore, nonostante in questi anni (anni Settanta) chi non si schiera a sinistra è etichettato come “fascista”. “il Giornale nuovo” si libera da questa etichetta, affermando la libertà di pensiero dell’individuo.

In politica economica segue una linea liberista. In politica interna è laico e anticomunista. In politica estera è filoatlantico e filoisraeliano, ovvero liberalconservatore.

1983: da “il Giornale nuovo” a “il Giornale”

E’ il 1983 quando la testata cambia nome, assumendo quello più noto oggi. Il 1983 è anche l’anno in cui si verifica il distacco tra Indro Montanelli e Enzo Bettiza. Quest’ultimo ha il desiderio di fare un giornale più laico-socialista. Così, al suo posto, entra Galeazzo Piazzi Vergani. Sarà condirettore sino al 1991.

Nel corso degli anni dal 1981 al 1992, gli anni del pentapartito, il quotidiano decide di non sostenere la DC di Ciriaco De MitaBettino Craxi. Indro Montanelli utilizza termini come “padrino” e “guappo” per entrambi. Da qui, si verifica un significativo calo nelle vendite. E’ a questo punto che Silvio Berlusconi diventa l’azionista detentore della maggioranza assoluta delle quote sociali e quindi proprietario.

Indro Montanelli
Indro Montanelli, fondatore de “il Giornale”

1992: lo scandalo di Tangentopoli

Nel corso dello scandalo di Tangentopoli, che si verifica tra il 1992-1993, Montanelli decide di tenere una linea precisa. Ovvero si ritaglia il ruolo di arbitro e di garante delle regole. Una linea appoggiata dal condirettore Federico Orlando, subentrato nel 1991. Lo fa attraverso articoli incalzanti che spesso anticipano le indagini dei magistrati, commenti e campagne mirate.

Tale scelta comporta però la perdita di diversi lettori, che scelgono “L’Indipendente”, quotidiano filoleghista diretto da Vittorio Feltri. Esso invece sostiene il pool di magistrati di Milano e di Palermo.

Foto di Vittorio Feltri
Vittorio Feltri

1993-1994: Indro Montanelli lascia “il Giornale”

Il 12 luglio 1993 Berlusconi invia un fax al quotidiano imponendo di “sparare a zero sul pool”. E’ una decisione alla quale si oppongono sia Montanelli sia Orlando, cestinando il fax inviato alla redazione. E’ nello stesso mese che “Prima Comunicazione” annuncia il cambio di direzione del quotidiano. A “il Giornale”, a Montanelli subentra Vittorio Feltri.

Passano poi poche settimane e l’ex direttore presenta una lettera di dimissioni. Così Indro Montanelli lascia “Il Giornale” il giorno 11 gennaio 1994 per fondare “La Voce”.

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Il giornalismo negli anni ’70: i media nell’Italia in fermento https://cultura.biografieonline.it/giornalismo-anni-70/ https://cultura.biografieonline.it/giornalismo-anni-70/#comments Thu, 12 Jan 2017 11:45:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20755 L’Italia nel biennio 1968-1969 è in fermento, come abbiamo detto in un articolo precedente dal titolo “I fogli della contestazione negli anni 1968 e 1969”. Avvengono diverse dimostrazioni di studenti e operai in varie città contro la stampa borghese e contro la Rai. In primis, il quotidiano preso di mira è il “Corriere della sera”. Siamo all’inizio degli anni Settanta e si apre un decennio drammatico durante il quale mutano gli assetti della stampa. E non solo: anche quelli televisivi. In questo articolo andiamo proprio a riassumere ed analizzare il giornalismo negli anni ’70, periodo di fermento per i media italiani.

Piero Ottone, fu protagonista del giornalismo negli anni '70
Piero Ottone, fu protagonista del giornalismo negli anni ’70

Il giornalismo negli anni ’70

Di fronte al successo di “Panorama” e de “L’Espresso” e alla concorrenza della televisione, i settimanali di attualità tradizionali non raggiungono più tirature eccezionali. In questo contesto si difendono con successo “Oggi” e “Gente”, mentre “Epoca” e “La domenica del Corriere” cominciano ad entrare nella fase calante. Si verifica altresì un fatto nuovo, ovvero la crescita di “Famiglia Cristiana”, il settimanale che viene venduto solo in chiesa.

Negli anni Settanta le maggiori novità maturano nei settori dei quotidiani d’informazione e di opinione e in quello televisivo. Mutamenti che vanno a coincidere con l’aggravarsi della crisi finanziaria dei quotidiani. Tra i giornali in crisi ci sono il “Corriere” e “La Stampa”. Per questo motivo il governo vara un provvedimento legislativo di soccorso che garantisce ai quotidiani una boccata d’ossigeno.

Una nuova guida al Corriere

Si verifica il cambio del direttore al “Corriere”: è il 1972 e ad assumere la guida del quotidiano è Piero Ottone, che sostituisce Giovanni Spadolini. Si notano l’abbandono del fiancheggiamento della Dc e del governo e anche delle ostilità nei confronti del Pci. Ottone apre il giornale al dibattito sui problemi economici e finanziari, pubblica in prima pagina gli articoli di Pier Paolo Pasolini, creatore della metafora del Palazzo.

Il nuovo corso del “Corriere” influenza altri giornali, quali “La Stampa” e “Il Messaggero”. Questo cambiamento procura però lo scontento dei lettori tradizionalisti. E’ così che a Milano un gruppo anticomunista promuove campagne contro il “Corriere”. Anche all’interno della redazione si levano voci critiche contro le scelte del direttore Ottone. Tra questi, il leader degli scontenti, è Indro Montanelli, le cui critiche sono così spinte da provocare il suo licenziamento nel 1973.

La situazione si complica quando due dei tre proprietari decidono di vendere le proprie quote, spaventati dal deficit. E’ questa l’occasione attesa da Eugenio Cefis, presidente della Montedison, che tuttavia non riesce nel suo intento di entrare nelle quote societarie. Allora Cefis adotta strade diverse, procura a Montanelli i soldi per fondare l’anti-corriere, cioè il moderato “Giornale Nuovo”, che esce a Milano nel 1974. Poi compra “Il Messaggero” e, infine, riesce ad entrare nel “Corriere” perché dà a Rizzoli una mano che gli è indispensabile per comprare il gruppo di via Solferino.

La famiglia Rizzoli

Nel 1974 Andrea Rizzoli assume la presidenza del maxi gruppo ma il factotum è suo figlio Angelo. I Rizzoli confermano Piero Ottone alla direzione del “Corriere”. Si presentano come editori “puri”, moderni e aperti, ma nello stesso tempo hanno instaurato buoni rapporti con i partiti che contano, compreso il Pci.

Angelo Rizzoli
Angelo Rizzoli

Gli attacchi alla linea di Ottone si intensificano nel 1975. Così la polemica sulla linea del quotidiano milanese diventa incandescente. “Il Corriere è comunista?” così è intitolata la copertina di “Panorama”. Decisiva, per il catastrofico futuro del gruppo, è la scelta dell’espansione editoriale. In un solo anno “Mattino”, “Gazzetta dello sport”, “L’Alto Adige”, “Piccolo” sono tutti in mano alla Rizzoli. Il risultato è che la Dc è soddisfatta del “Corriere”, mentre i socialisti, guidati da Bettino Craxi, si dimostrano scontenti. Da editore “puro” Rizzoli sta diventando un editore di “servizio”, a confermarlo è il successivo acquisto del “Lavoro”, compiuto per fare piacere a Craxi. L’impero è quindi basato sui deficit e sugli intrecci politici.

Nel 1977 si indaga per sapere chi ha fornito i soldi e vengono avanzate diverse ipotesi. Si fanno i nomi di Roberto Calvi, boss del Banco Ambrosiano e del finanziere Umberto Ortolani. Non si parla invece né di Licio Gelli, capo della Loggia segreta P2, né dello Ior, che invece sono i veri protagonisti dell’affare.

Le dimissioni di Piero Ottone

Nel 1977 Ottone improvvisamente si dimette. Al suo posto viene designato con “parere concorde” (partiti, Gelli e Ortolani), Franco Di Bella. Il nuovo direttore rende il “Corriere” più vivace e lo arricchisce con l’inserto settimanale sull’economia. Tra le novità vi sono l’avvio della corrispondenza da Pechino e le sortite su problemi esistenziali, come, ad esempio, la lettera di un lettore che vuole togliersi la vita perché innamorato di una ragazza.

Nel 1979 esce “L’Occhio” diretto da Maurizio Costanzo. Si tratta di un tabloid popolare, a basso prezzo, che dovrebbe conquistare i non lettori. Registra tuttavia un solo successo iniziale. Altra iniziativa è rappresentata dalla costituzione di una rete televisiva nazionale con un telegiornale diretto da Costanzo e intitolato “Contatto”, ma viene bloccato dalla Magistratura perché va contro le norme in vigore.

Maurizio Costanzo
Foto di Maurizio Costanzo

Forti degli appoggi politici Rizzoli e Bruno Tassan Din tentano di scaricare sull’Erario i pesanti costi delle loro operazioni. Essi premono affinché la legge sull’editoria preveda un cospicuo stanziamento cancella-debiti. L’emendamento è sostenuto da quasi tutti i partiti, Pci compreso, da Rizzoli e altri editori. Gli sono contro i radicali, pochi giornali e il presidente della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) Paolo Murialdi.

Roberto Calvi a questo punto esce allo scoperto finanziando alle casse di via Solferino 150 miliardi. Il 21 maggio 1981 viene arrestato sotto l’accusa di esportazione di capitali.

Il giornalismo e la P2

La stessa sera, il presidente del consiglio, il democristiano Arnaldo Forlani, rende pubblico l’elenco degli iscritti alla P2 trovato nell’archivio di Gelli. Nell’elenco compaiono 28 giornalisti, quattro editori, tra cui Angelo Rizzoli e sette dirigenti editori tutti del maxi gruppo, capitanati da Tassan Din.

Foto di Arnaldo Forlani
Foto di Arnaldo Forlani

Tra i 28 giornalisti, ci sono sette direttori e quattro di questi dirigono testate Rizzoli a cominciare da Di Bella. Lo scandalo è enorme e il “Corriere” subisce un calo di diffusione. Di Bella è costretto a lasciare il giornale. Al suo posto subentra Alberto Cavallari. Nel frattempo Roberto Calvi fugge dall’Italia e muore impiccato a Londra.

Rizzoli vuole vendere e nonostante il gruppo sia disastrato, gli acquirenti non mancano. Tra i partiti allora si scatena una guerra che blocca diverse trattative. Vengono chiusi “L’Occhio”, “Il Corriere d’informazione”, i supplementi settimanali, la rete televisiva. Vengono inoltre ceduti “Il Piccolo”, “L’Alto Adige e “Il Lavoro”. Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din conoscono anche il carcere.

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Woodstock: il Festival del 1969 https://cultura.biografieonline.it/woodstock-1969/ https://cultura.biografieonline.it/woodstock-1969/#comments Fri, 06 Sep 2013 11:13:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7802 Il Festival di Woodstock fu un evento tanto importante, da diventare un aggettivo: utilizzato per rendere l’idea di una grande manifestazione, soprattutto se a carattere musicale e se popolata da un pubblico numeroso, perlopiù giovanile (e, anche, trasgressivo). È Woodstock, il più grande raduno della storia del rock, andato in scena nella piccola cittadina rurale di Bethel, situata nello stato di New York, in una distesa di prato aperto (per la precisione, si tenne nel caseificio di proprietà di Max Yasgur, poco fuori il White Lake).

Festival di Woodstock 1969
Il Festival di Woodstock si tenne dal 15 al 17 agosto del 1969

Il festival ebbe luogo dal 15 al 17 agosto del 1969, con un’appendice finale “debordata” al 18 agosto (per la verità non prevista), e può ben essere considerato il punto culminante, il vero apice, della diffusione della cultura hippy. Un happening mondiale organizzato allo scopo di riunire gli amanti della musica rock e del movimento della controcultura sessantottina, in tre giorni di “Peace And Music”. Vi presero parte alcune delle migliori espressioni musicali del tempo, vere e proprie leggende della musica, ancora oggi idolatrate in tutto il mondo: da Jimi Hendrix a Janis Joplin passando per Santana, David Crosby e Richie Havens.

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Tutto nacque da un annuncio sul giornale

Conosciuto anche come “An Aquarian Exposition”, Woodstock nacque grazie all’intuizione di quattro giovani organizzatori: John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang. Il più vecchio dei quattro, aveva appena ventisette anni.  Il gruppo diede vita ad un evento storico di una portata ben più grande rispetto a quella che, almeno all’inizio dei lavori, avevano intenzione di mettere in piedi.

Ad ogni modo, a dare l’abbrivo al festival fu un semplice annuncio pubblicato sul New York Times, il quale diceva pressapoco così: “Giovani con capitale illimitato sono alla ricerca di interessanti opportunità di investimento e business, legali”. I soldi, in pratica, erano quelli di Roberts, il quale li aveva ereditati dal ramo farmaceutico. Con lui, nella missione, era impiegato il suo migliore amico, Rosenman. Ma a far scoccare la scintilla furono i due nuovi arrivati, Kornfeld e Lang.

Il “Piano Woodstock”

La prima proposta di business era legata all’idea di dare vita ad uno studio di registrazione di grande portata, all’avanguardia, punto di riferimento per i rocker, in una località, New York, già famosa per accogliere alcuni dei musicisti più in voga del momento. Subito dopo però, Kornfeld e Lang pensarono che dare vita ad un concerto rock che potesse ospitare fino a cinquantamila persone, avrebbe fatto da trampolino di lancio sia per un successivo studio di registrazione e sia dal punto di vista finanziario.

Gli inizi non sono entusiasmanti. I quattro individuano un luogo utile per lavorare all’allestimento dell’evento e lo trovano in un parco industriale nella vicina Wallkill, sempre nello stato di New York. Stampano biglietti da 7, 13 e 18 dollari ciascuno, rispettivamente per una, due o tre giornate di concerto. Vengono venduti in alcuni negozi selezionati o, anche, per corrispondenza. Tuttavia, la cittadinanza di Wallkill non sembra vedere di buon occhio la cosa: la gente del luogo, semplice e perlopiù operaia e contadina, non vuole “un mucchio di drogati” nella propria località e così, dopo molte dispute legali, la cittadina riesce a far approvare una legge esattamente il 2 luglio del 1969, nella quale viene vietato il concerto tanto a Walkill che nelle immediate vicinanze.

In pratica, ad un mese e mezzo dal Festival, tutto è in alto mare: senza località, il rischio di far saltare tutto all’aria è concreto. Intanto, a seguito dell’ordinanza cittadina, molti musicisti cominciano a declinare l’invito e anche i rivenditori dei biglietti non hanno più intenzione di sostenere un evento così in bilico.

L’uomo della Provvidenza. Anzi, del caseificio

A tirare in ballo Max Yasgur fu il proprietario del Motel El Monaco, Elliot Tiber, titolare di una tenuta di circa quindici acri. Quest’ultimo infatti, contattato dagli organizzatori, pur avendo accettato di dare asilo agli ospiti, ben presto si rese conto che non avrebbe mai potuto accogliere, con i propri mezzi, l’enorme mole di gente prevista. A metà luglio infatti, con il festival in alto mare e nonostante l’annuncio di spostamento della località, erano già stati venduti oltre centocinquantamila biglietti. Per tale ragione allora, Tiber suggerì di interpellare Max Yasgur, proprietario di un caseificio di 600 acri a ridosso di uno stagno il quale a propria volta, successivamente, sarebbe stato reso famoso proprio dagli hippy intervenuti alla tre giorni di concerto (il bagno completamente svestiti divenne infatti uno dei momenti leggendari di Woodstock).

Woodstock 1969 - una foto della folla
Woodstock 1969 – una foto della folla

La nuova location si prestava bene ma l’intera organizzazione era molto, molto in ritardo: tutti i contratti di locazione (e non solo) dovevano essere ancora redatti, stesso dicasi per quanto riguarda la costruzione e l’allestimento del palco, i padiglioni, un parco giochi per i bambini e molto altro ancora, bagni compresi. Infine, cosa ancora più grave, non si riuscì mai a mettere in piedi le biglietterie e le cancellate di recinzione: cosa che trasformò il festival di Bethel in una enorme kermesse gratuita. Da ogni dove, prima e immediatamente dopo il concerto, fioccarono le accuse di aver dato vita ad un evento disorganizzato e pericoloso.

Ciononostante, fu proprio il titolare del caseificio, Max Yasgur, a dare la definizione più giusta del festival di Woodstock, parlando di come mezzo milione di persone, in una situazione che avrebbe permesso risse e saccheggi, avessero creato realmente una comunità motivata dagli ideali di pace e amore: “Se ci ispirassimo a loro potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America – dichiarò Yasgur – nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico“.

Un festival “free” in tutto e per tutto

Woodstock divenne Woodstock già nei giorni precedenti all’inizio vero e proprio del festival. I quattro organizzatori intesero che non avrebbero mai potuto nulla contro l’enorme quantità di gente in arrivo da ogni parte degli States. Già mercoledì 13 agosto, due giorni prima dell’inizio della rassegna musicale, circa 50.000 persone campeggiavano nell’area adiacente il palco. La zona infatti, non era recintata e non lo fu mai, in realtà. Le stime salirono ben presto a duecentomila persone, ma alla fine ve ne presero parte circa cinquecentomila (anche se stime mai confermate parlano di un milione di partecipanti).

woodstock 1969 - una scena
Woodstock

La dichiarazione ufficiale di una tre giorni di musica gratuita fu proprio ad opera degli organizzatori ed ebbe un effetto devastante sull’intera cittadina di Bethel (e suoi suoi immediati dintorni). Frotte di giovani si misero in marcia, le automobili vennero abbandonate per strada e ben presto si campeggiò un po’ ovunque, a totale danno dell’ordine pubblico. Per favorire gli spostamenti degli artisti dagli alberghi al palcoscenico, vennero noleggiati degli elicotteri, utilizzati come vere e proprie navette.

La musica ha inizio

Nonostante tutti i problemi degli organizzatori (non solo non si alzarono mai i cancelli a recinzione dell’area delimitata al concerto, ma non si riuscì neanche a provvedere per i servizi igienici), il Festival di Woodstock cominciò quasi in orario. Venerdì 15 agosto, intorno alle 17, Richie Havens salì sul palco e cominciò ufficialmente la rassegna più importante della storia della musica rock.

Il grande cantante e chitarrista afroamericano aprì con il brano “High flyin’ bird”, per poi suonare un paio di cover dei Beatles – ufficialmente già sciolti all’epoca e assenti a causa del rifiuto degli organizzatori di voler includere anche la Plastic Ono Band, secondo le pretese di John Lennon – e per intonare, infine, una delle canzoni improvvisate più note di sempre: “Freedom”.

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L’esecuzione durò diversi minuti e divenne una sorta di inno di Woodstock, il quale in quelle ore di venerdì cominciava a diventare anche per i cittadini della contea ciò che sarebbe stato per tutti: un raduno di giovani desiderosi di cambiare il modo di vivere, la cultura dominante, la società circostante, e di farlo a ritmo di musica, senza rinunciare ad esperienze al limite, come l’uso di droghe a scopo totalmente pacifico.

Venerdì folk

La prima giornata venne dedicata ufficialmente al folk: vero nume ispiratore del movimento giovanile di quegli anni. Assente giustificato Bob Dylan (alle prese con problemi di famiglia piuttosto gravi), dopo Havens suonarono Country Joe (che sarebbe ritornato sul palco domenica, con i suoi “The Fish”), gli Sweetwater, Bert Sommer, Tim Hardin, Ravi Shankar, Melanie, The Incredible String Band e i due grandi musicisti folk americani di quel periodo: il leggendario Arlo Guthrie e la madrina Joan Baez. Quest’ultima, al sesto mese di gravidanza durante la sua performance, successivamente avrebbe dichiarato che suo marito, David Harris, proprio mentre lei suonava a Woodstock, veniva arrestato dall’esercito statunitense in quanto obiettore di coscienza.

Il Sabato degli Who (e non solo)

Fu Quill, poco dopo mezzogiorno, ad aprire le danze della seconda giornata, la quale durò praticamente fino alle nove della domenica. Sul palco si alternarono artisti strepitosi come Carlos Santana (leggendaria l’esecuzione di una delle versioni più spettacolari di sempre del celebre brano “Soul Sacrifice”, senza dimenticare “Evil ways” ed altre canzoni altrettanto importanti) Janis Joplin, i Grateful Dead (che presero “la scossa” sul palco) e gli Who. Questi ultimi salirono sul palcoscenico intorno alle quattro del mattino, molto probabilmente perché non riuscirono subito ad accordarsi economicamente con gli organizzatori.

La loro performance fu importante, con la consueta distruzione della chitarra da parte di Pete Townshend e conseguente lancio dello strumento tra il pubblico presente. Suonarono brani storici come “My Generation”, “I’m free” e “I can’t explain”, oltre ad un’altra dozzina altrettanto importanti. Keef Hartley, i Creedence (altra band leggendaria), i Mountain, i Canned Heat e gli psichedelici Jefferson Airplane completarono la giornata di sabato, che di fatto si concluse intorno alle nove del mattino di domenica. Canzoni come “Somebody to love”, “Volunteers” e “White Rabbit”, a forte connotazione politica e anche acida, firmate proprio dai Jefferson, caratterizzarono definitivamente il festival di Woodstock.

La domenica di Hendrix

Durate questa ultima giornata, la gran parte della gente abbandonò l’accampamento. Woodstock era agli sgoccioli e quando l’ultimo artista in scaletta suonò la sua strabiliante musica, esattamente alle ore nove del lunedì successivo, ad ascoltarlo erano “solo” in duecentomila. Peccato, perché l’artista in questione è considerato il chitarrista rock più grande di sempre e la sua performance (durata oltre due ore) fu la più importante dell’intera rassegna e, forse, della sua stessa carriera.

Jimi Hendrix passò alla storia per il brano The Star-Spangled Banner: una reinterpretazione “molto personale” dell’inno degli Stati Uniti, da interpretare come un vero e proprio inno di protesta nei confronti dell’esercito americano, in quel tempo impegnato nella contestatissima guerra nel Vietnam (una delle motivazioni principali dello stesso festival di Woodstock). Hendrix e la sua Fender Stratocaster destrorsa rovesciata passarono letteralmente alla storia: il chitarrista di Seattle simulò le bombe con le sei corde della sua chitarra, facendole vibrare con il suo grosso anello dorato inserito nell’indice della mano sinistra, evocando anche le urla e il suono dei missili aerei, e intersecando tutto all’interno del contestato inno nazionale statunitense.

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Fu un delirio, naturalmente. E ancora oggi, il video della sua esibizione (e le infinite registrazioni “pirata”) rappresentano uno punto di riferimento per i musicisti di tutto il mondo. Fantastiche anche le esecuzioni di canzoni ormai “classiche” della storia del rock: da “Hey Joe” a Purple Haze”, passando per “Foxy Lady”, “Fire” e “Voodoo Chile”.

La domenica “degli altri”

L’ultima giornata non fu solo Hendrix. Sul palco si alternarono artisti importanti come il bluesman bianco Johnny Winter, i Blood Sweet & Tears, The Band, Sha-Na-Na, The Grease Band e Paul Butterfly. Una menzione a parte la merita anche l’allora giovanissimo Joe Cocker, il quale aprì ufficialmente il festival alle due del pomeriggio, oltre alla chitarra impazzita di Alvin Lee, front-man dei leggendari Ten Years After (straordinario il suo “I’m going home” eseguito alla velocità della luce).

Tuttavia, a riscuotere un grande successo fu soprattutto il quartetto vocale e strumentale di David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young. Questi ultimi iniziarono intorno alle tre del mattino e diedero vita a due esibizioni distinte: una vocale ed una (successiva) strumentale. Magnifiche le esecuzioni di brani come “Helplessy hoping”, “Blackbird”, “Marrakesh Express”, “Bluebird” e “Wooden Ships”.

Da segnalare, infine, un’altra nota di colore: alla fine dell’esibizione di Joe Cocker, su Bethel si abbatté un fortissimo temporale che arrestò il concerto per diverse ore, prima della ripresa di Country Joe and The Fish, intorno alle 18. Durante quelle ore di pioggia, le centinaia di migliaia di persone assiepate diedero vita ad una vera e propria danza della pioggia, intonando un coro improvvisato che diceva solamente le seguenti parole “No rain, no rain, no rain”.

Dopo Woodstock? Un paio di film e tanti, tanti debiti

Gli organizzatori di Woodstock si ritrovarono letteralmente travolti dalla rassegna e dal successo incredibile della tre giorni di musica. Più che altro, non ebbero il tempo di rendersi conto di ciò che erano stati in grado di organizzare. Questo perché immediatamente dovettero fare i conti con il loro debito accumulato, il quale ammontava a circa un milione di dollari. Successivamente, dovettero provvedere alle settanta cause giudiziarie presentate contro di loro: altra grana non da poco.

A dare conforto al gruppo però, furono i diritti ricavati dal film originale del Festival di Woodstock, il quale risultò un grande successo e diede la possibilità ai quattro organizzatori di coprire una larga fetta del debito accumulato. Il titolo del film cui si fa riferimento è “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica”, per la regia di Michael Wadleigh, datato 1970. Successivamente, nel 2009, anche il regista Ang Lee provò a raccontare la grande esperienza del 1969, con il suo “Motel Woodstock”, il quale però non riscosse un grande successo né di pubblico e né di critica.

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Le Brigate Rosse e gli anni di piombo https://cultura.biografieonline.it/le-brigate-rosse-e-gli-anni-di-piombo/ https://cultura.biografieonline.it/le-brigate-rosse-e-gli-anni-di-piombo/#comments Mon, 18 Jun 2012 23:09:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2617 L’episodio cardine nella storia delle Brigate Rosse risale al 16 marzo 1978, quando l’onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, venne sequestrato e gli uomini della sua scorta furono uccisi. Aldo Moro, politico pugliese, stava lavorando alla costituzione del Governo stringendo alleanza con il Partito Comunista.

Aldo Moro sequestrato dalle BR (Brigate Rosse)
Aldo Moro sequestrato dalle BR (Brigate Rosse)

L’intero Paese entrò in un vortice di tensione nei giorni che seguirono il sequestro. Nonostante le accurate ricerche, non si riuscì mai a trovare il covo dei brigatisti nel quale Moro era rinchiuso. Intanto il prigioniero, tramite appelli inviati ai giornali, chiedeva al Partito e allo Stato di trattare con i brigatisti per il suo rilascio.

Aldo Moro
Aldo Moro

Lo Stato Italiano però non volle scendere a compromessi, quindi rifiutò categoricamente qualsiasi trattativa (solo il Partito socialista si mostrò disposto a trattare con i brigatisti per salvare lo statista democristiano). Nei suoi scritti dalla prigionia Aldo Moro lanciò pesanti accuse ai dirigenti del Partito, agli ex amici, alla Santa Sede, per aver scelto la strada della fermezza e dell’intransigenza, piuttosto che attivarsi per la sua liberazione. Le BR inviarono un comunicato il 18 aprile, nel quale invitavano gli inquirenti a cercare il corpo senza vita di Aldo Moro nel lago Duchessa, ma le ricerche non portarono alcun risultato.

Il 9 maggio, invece, le BR comunicarono per telefono all’amico di Aldo Moro, il professor Franco Tritto, che il cadavere del politico era rinchiuso nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma. Purtroppo tale avvertimento fu vero. Le immagini del corpo massacrato di Moro entrarono nelle case degli italiani tramite le edizioni straordinarie del Tg, suscitando orrore e sconcerto. Il barbaro assassinio di Aldo Moro dimostrò che la violenza dei brigatisti non conosceva limiti, e che bisognava fare qualcosa per impedire che prendesse il sopravvento.

Le Brigate Rosse: chi sono?

Le BR erano composte da persone per lo più appartenenti alle categorie di studenti ed operai. Pare che a fondare questo “partito armato” sia stato un giovane studente di Sociologia, chiamato Renato Curcio, insieme ad Enrico Franceschini, un ex militante del Partito Comunista.

Renato Curcio
Renato Curcio

Obiettivo principale delle Brigate Rosse era quello di organizzare la Rivoluzione contro il SIM (Stato Imperialistico delle Multinazionali). Per questo le BR trovarono terreno fertile per lo sviluppo della loro ideologia nei movimenti operai (come “Autonomia Operaia”) e in quelli extra parlamentari (come “Lotta continua”).

Le BR rappresentano un gruppo composito, formato da diverse soggettività, che ad un certo punto diventano portavoce di un modo alternativo di vivere rispetto all’ordine borghese precostituito. Comunque il fenomeno “Brigate Rosse”, diffusosi negli anni Settanta, resta ancora un mistero non del tutto chiarito a livello ideologico. Pur essendo una realtà per lo più nata nel nostro Paese, non è esclusa la partecipazione di nazioni straniere nella preparazione ed esecuzione degli atti terroristici. Secondo alcuni studiosi, l’ideologo della “rivoluziona armata” propugnata dalle BR è il professor Toni Negri, che si è anche distinto come uno dei maggiori teorici dei movimenti giovanili.

Il panorama politico-sociale italiano degli anni Settanta era così confuso e variegato che le BR riuscirono a conquistare una fetta minoritaria di consenso sociale, che poi venne meno del tutto con l’assassinio di Aldo Moro. Ancora oggi il “brigatismo rosso” non manca di farsi sentire, anche se il clima politico è ormai cambiato e non gode più del consenso sociale sul quale aveva costruito il suo potere negli anni passati.

Gli anni di Piombo

Gli anni Settanta vengono definiti “anni di piombo” a causa dell’irrequietezza e il clima rivoluzionario che coinvolgevano soprattutto le classi sociali più “deboli”. Le Brigate Rosse approfittarono di tale periodo alquanto instabile per mettere a punto una serie di attacchi di diversa entità nei confronti di personalità che rappresentavano lo Stato e le istituzioni: politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati, imprenditori, poliziotti, docenti. Fu un momento alquanto difficile per l’Italia, in cui già imperversava il terrore per le stragi degli estremisti di Destra che diffusero una vera e propria “strategia della tensione”.

Ad aggravare la situazione nazionale già compromessa si aggiunse anche la dilagante corruzione politica, che solo alcuni esponenti politici ebbero il coraggio di denunciare pubblicamente (come Enrico Berlinguer, che sollevò la “questione morale” nel 1981). In quegli stessi anni turbolenti, caratterizzati da un profondo anelito al cambiamento in ogni settore del Paese, si venne a costituire una sorta di “setta occulta”, la Loggia Massonica P2, costituita da uomini influenti nell’abito della politica e dell’economia, che si unirono per ristabilire l’originario “ordine” attraverso l’uso dell’autorità e degli affari illeciti. A capo di questo gruppo vi era Licio Gelli.

Tra gli eventi criminosi che caratterizzarono il periodo che va dagli anni Sessanta agli inizi degli anni Ottanta ricordiamo la strage di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) e la strage della Stazione centrale di Bologna (2 agosto 1980), nella quale morirono ben ottantacinque persone.

Gli omicidi politici messi in atto dalle BR sono stati parecchi il primo in assoluto fu quello risalente all’8 giugno 1976 quando venne ucciso, insieme alla sua scorta, il Procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Coco. Pare che questa azione criminosa sia stata pianificata dalle BR per dare una forte dimostrazione della loro forza nei confronti della politica.

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