Alessandro Manzoni Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 09 May 2024 17:38:50 +0000 it-IT hourly 1 Storia della colonna infame: riassunto e analisi https://cultura.biografieonline.it/colonna-infame-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/colonna-infame-manzoni/#comments Thu, 09 May 2024 17:11:53 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8121 Storia della colonna infame è il titolo di un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni. Sebbene la prima edizione risalga al 1840, venne scritto in un lungo arco di tempo. Originariamente la storia avrebbe dovuto far parte del V capitolo di Fermo e Lucia (il titolo originariamente previsto per i Promessi Sposi).

Alessandro Manzoni: Storia della colonna infame
Storia della colonna infame

Riassunto

Parte I

Il 21 giugno del 1630 è un venerdì tetro. La città di Milano è divorata dalla peste, moltissime sono le vittime che la malattia ha mietuto. Quel giorno, di mattina, una donna, Caterina Rosa, vede dalle finestre della sua casa in via Vetra, un uomo avvicinarsi alle porte e ai muri delle case poste di fronte alla sua finestra.

La donna è convinta di vederlo ungere i muri con un unguento scuro. Lo accusa quindi di spargere la peste per diffonderla e uccidere altre persone. Una vicina di Caterina Rosa, Ottavia Bono, successivamente conferma alle autorità di aver visto anche lei un uomo ungere i muri della strada dove vive.

La polizia, dopo aver trovato i muri sporchi di nero – in realtà si tratta di inchiostro – crede alle testimonianze delle due donne e arresta un sospetto. È Guglielmo Piazza. Le sue mani sono  sporche di nero, che viene scambiato per unguento pestilenziale. Il Piazza, commissario di sanità, viene quindi arrestato e sottoposto ad interrogatorio. La casa, perquisita, non produce alcuna prova del crimine. Guglielmo Piazza viene interrogato lungamente e anche torturato. Resiste ma poi sotto la pressione degli inquisitori che gli promettono l’impunità e la libertà, confessa di aver ricevuto l’unguento pestilenziale da Giangiacomo Mora. Mora è un barbiere di umili origini, che vende, fra le altre cose, balsami che servono teoricamente per curare alcune malattie.

Parte II

Il Mora viene subito arrestato e portato in galera. Perquisita la casa davanti agli occhi sbigottiti della moglie e dei quattro figli, gli inquirenti trovano e sequestrano strani liquami. Durante il processo il Mora si difenderà dicendo che non sono preparati pestilenziali bensì che si tratta di ranno – un miscuglio di cenere e acqua bollente usato per lavare i panni. Ma i giudici e gli esperti nominati dal tribunale, dopo molte incertezze e molti dubbi, dichiarano l’unguento una pozione pestilenziale atta a prolungare e diffondere la peste.

A questo punto non c’è più scampo né per il Mora né per il Piazza. Entrambi, perseguitati dagli inquirenti e sfiniti da continue torture morali e fisiche, cedono alle promesse dei torturatori. Questi assicurano la libertà qualora denuncino altri complici.

Denunciano allora Baruello, un tale da entrambi conosciuto, due arrotini e due membri della famiglia Migliavacca. Il processo sembra quindi assumere una dimensione più consistente con coinvolgimenti insospettabili come quello del figlio del comandante della guarnigione spagnola a Milano.

La tortura e le macchinazioni sono costruite dagli inquirenti affinché il processo assuma una dimensione sempre più ampia. Esse divengono una sorta di simulacro della doppia verità, in cui l’estorsione di una confessione sempre più allucinante conduce ad un fiume di bugie quasi inarrestabile. I due imputati oramai distrutti dagli interrogatori portano all’arresto delle cinque persone che hanno accusato. Ma le promesse di libertà e perdono, fatte ai due imputati dagli inquirenti, non vengono avvallate dai giudici. Essi sentenziano il 27 luglio dello stesso anno la condanna a morte dei due principali imputati.

Finale

Entrambi, dopo indicibili torture, vengono giustiziati il 2 agosto del 1630. Con loro vengono uccisi gli altri cinque imputati. Solo il figlio del comandante spagnolo viene ritenuto innocente. Dopo l’esecuzione della sentenza e sempre per ordine del tribunale viene rasa al suolo la casa del Mora. Egli è ritenuto il più colpevole degli imputati e sopra alle ceneri della casa viene eretta a futura memoria una colonna con un’iscrizione latina, che dovrà ricordare, a tutti coloro che la guardano, l’infamia dei propagatori di peste. La colonna è stata rimossa nel 1778.

Al Castello Sforzesco di Milano fu posta una lapide presso la Colonna Infame.
Foto della lapide che fu posta presso la Colonna Infame. (Milano, Castello Sforzesco)

Analisi e commento

Alessandro Manzoni racconta una storia di ingiustizia terribile e paradossale ma vera. Il suo non è un saggio storico, né un breve romanzo storiografico, bensì una lucida analisi di ciò che la legge può permettere agli uomini di cattiva volontà. La sua analisi dell’animo umano e della perversa ricerca del colpevole a tutti i costi svelano una storia a due facce, permettendo al lettore di scoprire le molteplici facce della verità.

Storia della colonna infame fu pubblicata in appendice ai Promessi sposi, ma la storia era già stata raccontata nel 1777 da Pietro Verri, che la riportò nelle sue Osservazioni sulla tortura. Quando Verri scrisse la storia dell’ingiusta condanna di Mora e Piazza e degli altri cinque imputati, la colonna infame era ancora in piedi a triste ricordo di quel processo; fu abbattuta un anno dopo la pubblicazione del saggio.

Il passato non deve essere mai dimenticato, diceva Leonardo Sciascia, ma deve essere vissuto continuamente nel presente affinché non ritorni.

In molti paesi la tortura esiste ancora.

Storia della colonna infame - Manzoni - riassunto e analisi
Storia della colonna infame – Manzoni – riassunto e analisi

Storia della colonna infame per punti

Opera e Contesto

  • Storia della Colonna Infame è un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni e pubblicato per la prima volta nel 1840.
  • L’opera ripercorre il processo e la condanna a morte di alcuni innocenti accusati di essere gli untori, responsabili della diffusione della peste a Milano nel 1630.
  • Manzoni, oltre a ricostruire i fatti accaduti, conduce una profonda riflessione sulle cause e le conseguenze dell’ingiustizia, mettendo in luce i meccanismi che portarono al tragico errore giudiziario.

Temi principali

  • Giustizia e ingiustizia: Manzoni critica duramente il sistema giudiziario dell’epoca, corrotto e incline all’abuso di potere, che condannò ingiustamente persone innocenti.
  • Verità e menzogna: L’autore sottolinea l’importanza di ricercare la verità e di non cedere alle facili spiegazioni o alle menzogne, anche quando queste sembrano offrire un apparente conforto.
  • Potere e sopruso: Manzoni denuncia l’oppressione del potere nei confronti dei più deboli e indifesi, come gli untori, vittime di una società accecata dalla paura e dalla superstizione.
  • Razionalità e fanatismo: L’opera contrappone la luce della ragione all’oscurità del fanatismo e della superstizione, che portarono alla persecuzione degli untori.
  • Perdono e riscatto: Manzoni invita al perdono e al riscatto, non solo per le vittime dell’ingiustizia, ma anche per i loro carnefici, accecati dall’ignoranza e dall’odio.

Stile e linguaggio

  • Manzoni utilizza uno stile sobrio e rigoroso, basato su un’attenta analisi delle fonti storiche.
  • La sua scrittura è chiara e accessibile, ma non per questo priva di profondità e rigore.
  • L’autore ricorre spesso all’ironia e alla satira per denunciare le ingiustizie e le assurdità del processo agli untori.

Significato e attualità

  • Storia della Colonna Infame è un’opera che conserva una grande attualità, invitandoci a riflettere sui pericoli dell’ingiustizia, del fanatismo e della superstizione.
  • Manzoni ci ricorda che la ricerca della verità e la difesa dei diritti degli oppressi sono sempre doveri imprescindibili.
  • Il saggio è un monito contro l’indifferenza e la passività di fronte alle ingiustizie, e un invito a battersi per la costruzione di una società più giusta e solidale.

Conclusione

Storia della Colonna Infame è un’opera fondamentale per comprendere la storia e la cultura italiana. È un testo che ci invita a riflettere su temi universali come la giustizia, la verità, il potere e la responsabilità individuale, e che conserva una grande attualità anche nel mondo di oggi.

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L’innominato: riassunto, descrizione e analisi del personaggio https://cultura.biografieonline.it/innominato-promessi-sposi/ https://cultura.biografieonline.it/innominato-promessi-sposi/#comments Thu, 05 Jan 2023 14:20:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8157 Circondato da un alone di mistero sulla sua identità, l’Innominato è un personaggio centrale in tutta la vicenda raccontata da Alessandro Manzoni nel romanzo “I promessi sposi”. È una delle figure più interessanti create dallo scrittore per rendere la storia più accattivante e ricca di colpi di scena. L’Innominato vive nel suo castello nei pressi di Lecco, messo al bando dallo stato e dedito ad attività illecite.

L'Innominato
Illustrazione: l’Innominato. È uno dei personaggi più significativi dei Promessi sposi, di Alessandro Manzoni

Ogni volta che in qualche parte si vedessero comparire figure di bravi sconosciute e più brutte dell’ordinario, a ogni fatto enorme di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar l’autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione de’ nostri autori, saremo costretti a chiamare l’innominato. (Dal Capitolo XIX)

L’Innominato e don Rodrigo

È a lui che don Rodrigo si rivolge per chiedere aiuto nel rapimento di Lucia, in quanto nutre per questo uomo potente e malvagio grande rispetto e devozione.

Dal punto di vista fisico, il Manzoni descrive l’Innominato come un uomo di mezz’età, sulla sessantina, di carnagione scura, con pochi capelli bianchi ancora sulla testa. Ciò che colpisce della descrizione dell’Innominato è il “lampeggiar sinistro ma vivo degli occhi” che denota la sua grande forza sia nel corpo che nello spirito, forse pari o maggiore a quella di una persona giovane.

Il profilo psicologico

Dal punto di vista psicologico, l’Innominato appare subito avvolto nel mistero, un personaggio malvagio e influente, che si circonda di uomini di fiducia che lo aiutano a realizzare i suoi atti illeciti. Pur incarnando l’eroe negativo, in realtà l’Innominato a metà dell’opera si converte: il rapimento di Lucia, su richiesta di don Rodrigo, è l’ultimo atto malvagio che lui compie prima di decidere di cambiare vita.

L’incontro con Lucia gli suscita sentimenti di pietà, e si rende conto di aver inseguito nella sua vita soltanto il male, senza mai fermarsi a provare pietà per le persone che lo circondano.

Il Manzoni è molto bravo nel descrivere “la notte dell’Innominato”, i tormenti interiori che l’uomo prova e che lo portano a pensare all’esistenza di Dio e del perdono divino.

Sarà poi il colloquio con il Cardinale Federigo Borromeo a suscitare in lui la ferma volontà di cambiare vita ed utilizzare il suo potere e le ricchezze accumulate per aiutare le persone povere e bisognose.

La conversione

Il cambiamento dell’Innominato lo rende un personaggio in divenire: appena il lettore si arrende e lo considera un nemico, un essere spregevole, ecco che il barlume della conversione lo trasforma. Attraverso il personaggio dell’Innominato il Manzoni riesce a trasmettere un messaggio ai lettori:

il confine tra il bene e il male non è mai così netto come sembra.

L'Innominato si pente davanti al Cardinale Borromeo
L’Innominato si pente davanti al Cardinale Borromeo

Il dramma dell’Innominato, che si svolge nell’intimo dell’uomo, è raccontato in modo dettagliato.

Il lettore riesce quasi a identificarsi con tale stato d’animo.

L’ispirazione di Manzoni

Pur non facendo esplicitamente il nome, pare che Alessandro Manzoni abbia preso spunto per la creazione del personaggio dell’Innominato da un uomo realmente esistito, Francesco Bernardino Visconti, un bandito che visse in maniera turbolenta spargendo sangue ovunque e che poi si convertì proprio grazie all’intervento del cardinal Federigo Borromeo.

Il personaggio dell’Innominato era già presente nella prima stesura dell’opera manzoniana, intitolata “Fermo e Lucia”, dove si macchia di un delitto sul sagrato di una chiesa. Il macabro episodio, però, non viene riportato nella stesura definitiva.

Nel capitolo XXIV è molto toccante l’incontro con Lucia, alla quale l’Innominato chiede perdono per il male commesso.

Analisi del personaggio

L’innominato si configura come aiutante dell’antagonista, perché organizza su commissione di don Rodrigo il rapimento di Lucia da Monza. Ma in seguito, grazie anche alla virtù salvifica di questa, si converte al cospetto del cardinale Federigo Borromeo e cambia vita. Si dedica così all’espiazione dei propri peccati per mezzo delle buone azioni. La prima delle quali è donare alla giovane cento scudi, con i quali al termine della vicenda Renzo potrà finalmente rilevare insieme a Bortolo un’attività di filatura.

L’innominato, storicamente, è Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Ghiara d’Adda presso Treviglio, contro il quale il governatore di Milano emise diverse gride tra il 1603 e il 1614. Egli fu poi convertito da Federigo.

L’identità

Manzoni tuttavia preferisce non specificare la sua identità, nonostante citi una serie di passi da opere che parlano di lui, soprattutto dalla vita del cardinale Federigo Borromeo di Francesco Rivola e dalla Storia Patria di Giuseppe Ripamonti, una delle sue fonti più importanti.

Addirittura, la definizione di questo personaggio, al cui passato viene dedicata una breve digressione nel capitolo 19, si fa più vaga nel passaggio dal “Fermo e Lucia” all’edizione successiva: se prima si chiamava il Conte del Sagrato, con riferimento a un omicidio da lui perpetrato, appunto, in un luogo sacro come il sagrato di una chiesa, nella stesura definitiva egli è semplicemente l’innominato, proprio perché le cose o le persone di cui si sa meno sono quelle che fanno più paura.

Il confronto con gli altri personaggi

E l’innominato è, effettivamente, un uomo spaventoso, grande nel male come sarà poi nel bene, che per certi tratti, sia nella descrizione fisica che nel carattere, ricorda Fra Cristoforo.

È quanto più lontano possibile, invece, dalla figura di don Rodrigo, del quale dovrebbe essere «collega», tanto che quest’ultimo esita a lungo prima di chiedere il suo aiuto, per paura di trovarsi invischiato in qualcosa di sgradevole.

L’uno infatti, dice Manzoni, è un «tiranno straordinario», che vuole primeggiare per il gusto di farlo e non ha timore di nulla; l’altro invece fa parte della schiera di quei «tiranni ordinari» il cui scopo nell’esercitare il potere è semplicemente poter darsi alla bella vita senza nessun intoppo.

Anche la descrizione della sua dimora, il «castellaccio» dell’innominato (capitolo 19), isolato e minaccioso, si può contrapporre a quella del palazzotto di don Rodrigo (cap. V), e sottolinea la distanza che corre tra i due personaggi.

La crisi interiore

Egli dunque, impegnatosi a rapire Lucia con l’aiuto di Egidio, suo complice, pensa di farla condurre direttamente a casa di don Rodrigo, ma un «no imperioso» gli risuona dentro convincendolo a tenerla una notte presso di sé: è questa la chiamata della Provvidenza, alla quale però l’innominato è pronto a rispondere positivamente perché già da tempo si arrovella sul senso della propria vita di fronte alla morte ormai prossima.

Una visita a Lucia lo conduce a una crisi dalla quale pensa di uscire suicidandosi, ma il pensiero delle parole della giovane

«Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!»

lo risolleva e lo fa sperare in una rinascita che, simbolicamente, arriva all’alba con il suono delle campane a festa per la visita del cardinale.

Una nuova vita

Tra le braccia di Federigo Borromeo, che lascia tutti i suoi ospiti ecclesiastici – tra i quali don Abbondio – per accogliere «la pecorella smarrita» nonostante il cappellano crocifero lo inviti alla prudenza, l’innominato si scioglie in un pianto liberatorio che segna l’inizio della sua nuova vita: una vita che, seppure cambiata nel segno, dal male al bene, non cambia nell’intensità, come si vede dal discorso tenuto ai suoi bravi di ritorno al castello (capitolo 24).

A misura che queste parole uscivan dal suo labbro, il volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si compose a una commozione più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall’infanzia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l’ultima e più chiara risposta.

Stese le braccia al collo dell’innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell’impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull’omero di lui il suo volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano affettuosamente quelle membra, premevano quella casacca, avvezza a portar l’armi della violenza e del tradimento. L’innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: «Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!».

L’innominato si dedicherà alle opere di misericordia, liberando per prima cosa Lucia e riunendola a sua madre; poi sarà anche pronto ad accogliere i fuggitivi durante la calata dei lanzichenecchi (capitolo 29).

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Fra Cristoforo: carattere, storia e breve analisi del personaggio https://cultura.biografieonline.it/fra-cristoforo-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/fra-cristoforo-riassunto/#comments Thu, 05 Jan 2023 09:54:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40931 Fra Cristoforo è uno dei personaggi importanti de I promessi sposi, di Alessandro Manzoni. In questo articolo riassumiamo brevemente le caratteristiche con un’analisi del personaggio.

Fra Cristoforo
Ritratto di fra Cristoforo, personificazione della bontà, della saggezza e della Provvidenza Divina

Fra Cristoforo: chi è

È un frate cappuccino che, all’inizio della storia, vive presso il convento di Pescarenico. È il confessore di Lucia Mondella, è al contempo il suo riferimento morale.

Dal punto di vista narrativo è il principale aiutante dei protagonisti Renzo e Lucia.

È figlio di un commerciante. Prima di ricevere la vocazione e diventare frate cappuccino, si chiamava Lodovico. Manzoni non ci fornisce alcun cognome.

Grazie alla fortuna paterna Lodovico cerca di introdursi negli ambienti della nobiltà ma viene rifiutato, perché inferiore per nascita. Si immedesima così nel ruolo di paladino dei più poveri.

Nella storia che ci racconta Manzoni, Lodovico si scontra – per cause banali – con un nobile: i due si affrontano in un duello e Lodovico uccide il suo avversario.

Il nobile arrogante con cui ha duellato, negli ultimi istanti di vita si pente amaramente e perdona Lodovico tramite il cappuccino accorso ad assisterlo.

Nello stesso scontro rimane ucciso il fedele servitore di Lodovico, di nome Cristoforo.

Lodovico si rifugia nel convento di Cappuccini della sua città.

Le due tragiche morti danno il via a un processo di conversione che porta il nostro personaggio a un cambiamento di vita per il quale era già predisposto. Diventato religioso assumerà il nome di Padre Cristoforo in memoria del suo servitore.

Le similitudini di carattere tra padre Cristoforo e Renzo

Alcuni tratti del carattere del frate lo avvicinano al giovane Renzo Tramaglino, soprattutto:

  • l’impulsività;
  • l’indignazione di fronte all’ingiustizia.

Fra Cristoforo però riesce a controllare queste sue caratteristiche grazie a una pratica di umiltà acquisita negli anni. Sono pochi i momenti in cui troviamo Cristoforo esplodere. Lo fa in un’invettiva di fronte al provocatorio atteggiamento di don Rodrigo, e poi alla fine, contro lo stesso Renzo, ammonendolo di dover praticare il perdono proprio verso don Rodrigo, malato di peste e prossimo alla morte.

Per sottolineare questa ambivalenza tra Cristoforo e Renzo, Manzoni delinea la personalità di padre Cristoforo attraverso una serie di antitesi che ne mettono in risalto la ferrea autodisciplina. Questa è proprio la qualità che Renzo dovrà guadagnarsi durante il lungo percorso di formazione che lo porterà fisicamente da Milano a Bergamo, e – in ultima analisi – spiritualmente a essere un uomo nuovo.

L’ispirazione di Manzoni

Padre Cristoforo è un personaggio di fantasia, anche se i critici pensano che Manzoni si sia ispirato, nel tratteggiarlo, a un certo fra Cristoforo Picenardi da Cremona. Egli si distinse nell’assistenza ai malati durante la peste del 1630.

In ogni caso, l’autore dedica ampio spazio a ricostruire le tappe della vita del sant’uomo.

Nessun si pensi che quel Cristoforo fosse un frate di dozzina, una cosa da strapazzo. Era anzi uomo di molta autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno; ma tale era la condizione de’ cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servir gl’infimi, ed esser servito da’ potenti, entrar ne’ palazzi e ne’ tuguri, con lo stesso contegno d’umiltà e di sicurezza, esser talvolta, nella stessa casa, un soggetto di passatempo, e un personaggio senza il quale non si decideva nulla, chieder l’elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un cappuccino.

I promessi sposi, Capitolo 3

Breve analisi del personaggio

La gioventù di Cristoforo è scapestrata: dopo l’uccisione del nobile, segue la vocazione e la scelta di espiare il peccato attraverso il servizio ai deboli, ai poveri e agli oppressi. Ciò lo spinge a sacrificare la vita con gioia nell’opera di conforto e cura degli appestati al lazzeretto (o lazzaretto: l’ospedale per l’isolamento degli ammalati incurabili o affetti da peste).

A Manzoni sta particolarmente a cuore la figura del frate cappuccino, perché rappresenta quella parte di Chiesa che, in una società corrotta e mondana come quella del Seicento, interpreta correttamente il messaggio evangelico e porta aiuto e sostegno a quanti ne hanno bisogno. Ciò anche a costo di sfidare l’autorità secolare e la sua prepotenza.

Il personaggio di Padre Cristoforo è inoltre costruito in contrapposizione con quello di don Abbondio, che si è rifugiato nell’abito talare solo per proprio tornaconto. La coppia di religiosi Fra Cristoforo/don Abbondio si affianca così a quella costituita dalla monaca di Monza (Gertrude) e dal cardinale Federigo Borromeo, ai livelli più alti della gerarchia ecclesiastica.

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La madre di Cecilia (Promessi Sposi): riassunto, analisi e commento https://cultura.biografieonline.it/madre-di-cecilia-promessi-sposi/ https://cultura.biografieonline.it/madre-di-cecilia-promessi-sposi/#comments Tue, 31 May 2022 09:54:27 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39918 Promessi Sposi: capitolo 34

L’episodio della madre di Cecilia è uno dei più commoventi dell’intero romanzo dei Promessi Sposi, di Alessandro Manzoni. Protagonista è una madre che ha appena perso sua figlia a causa dell’epidemia di peste. L’accaduto viene narrato nel capitolo 34. Renzo Tramaglino si trova a Milano, città tragicamente colpita dalla pestilenza: rimane assorto a contemplare il momento in cui una madre accompagna con molta dignità il corpo di sua figlia durante l’ultimo saluto.

La madre di Cecilia - Promessi Sposi
La madre di Cecilia (Promessi Sposi), opera di Giorgio Scarpati

Il contesto

La città di Milano, già colpita dalla carestia e dalla miseria, viene sconvolta anche dal flagello della peste: l’epidemia viene portata dall’esercito dei Lanzichenecchi che stanno attraversando il territorio lombardo. Anche Don Rodrigo si ammala e viene portato al lazzaretto (luogo in cui venivano rinchiusi i malati di peste), insieme a moltissime altre persone.

Renzo invece, ammalatosi e guarito, ritorna al proprio paese con lo scopo di conoscere il nome della famiglia che ospita Lucia a Milano.

Ottenute queste informazioni, riparte subito per la città: qui si trova difronte ad uno scenario quasi catastrofico. Milano è infatti al collasso: la gente è spaventata; ci sono uomini che sono stati incaricati dalle autorità di prelevare i cadaveri e gettarli nelle fosse comuni (i monatti) e si comportavano da padroni facendo ruberie.

Renzo si ferma commosso quando assiste alla scena della breve ma intensa cerimonia funebre della madre di Cecilia.

La madre di Cecilia: l’episodio

La madre esce di casa e si avvia verso la fila dei carri dei monatti. Ha vestito a festa la bambina, che può avere all’incirca nove anni, con un vestito bianchissimo e i capelli divisi sulla fronte.

Viene portata in braccio dalla madre come se fosse ancora viva, con la testa appoggiata sul petto e un braccio che penzola in maniera pesante, segno della mancanza di vita. Perfino il monatto che raccoglie il corpo ha un momento di esitazione: assume per un attimo un atteggiamento meno bestiale di fronte alla morte della piccola, ma soprattutto davanti al dolore pacato della madre.

Ella offre dei soldi al monatto facendosi promettere che il corpo di Cecilia non venga toccato e lo depone personalmente sul carro.

Il monatto sposta allora gli altri cadaveri in segno di rispetto difronte a questa scena.

La mamma dà un ultimo bacio in fronte alla piccola, la pone sul carro mettendole sopra un panno bianco e pronuncia le sue ultime parole:

«Addio Cecilia! Riposa in pace, sappi che stasera ti raggiungeremo anche noi».

È consapevole che morirà presto anche lei, assieme all’altra figlia.

Si rivolge poi al monatto dicendogli di passare verso sera a prendere anche il suo corpo e quello della sua altra figlia.

Analisi e commento

Manzoni, attraverso la madre di Cecilia, crea una figura esemplare, un vero simbolo della virtù cristiana, della rassegnazione.

Cerca di restituire dignità alla morte.

La donna prova un dolore pacato, profondo, che viene espresso nei gesti che compie in maniera solenne con tanta dignità: perfino il monatto, di solito attento solo al vile denaro, ne resta colpito e la rispetta.

L’addio a Cecilia rappresenta un momento familiare grazie al quale l’autore vuole dimostrare che la fede e la speranza cristiana permettono di accettare con serenità il dolore, perfino quello così profondo della morte di un figlio.

Parallelamente si vive la diversa fine di Don Rodrigo: egli teme la morte come significato di perdita delle proprie ricchezze; la madre di Cecilia ha invece fede e sa che troverà la serenità eterna.

L’episodio è ispirato a un fatto reale: esso è descritto dal cardinal Federigo Borromeo nel De pestilentia (VIII, De miserandis casibus), uno scritto sulla peste del 1630. Manzoni aggiunge due dettagli:

  • il nome di Cecilia alla bambina morta;
  • il particolare struggente di una seconda figlia della donna.

L’episodio è commovente e rappresenta l’unico momento lirico del capitolo XXXIV, dominato da immagini forti e descrizioni molto crude. Tra queste c’è anche l’episodio finale, del mancato linciaggio del giovane scambiato per un untore e della sua fuga rocambolesca sul carro dei monatti.

L’episodio della madre di Cecilia ha ispirato molti artisti del Novecento: tra i più celebri ricordiamo Renato Guttuso che realizzò una litografia, oppure Giorgio Scarpati che realizzò diversi quadri ispirati agli episodi salienti del romanzo storico di Alessandro Manzoni.

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Renzo a Milano: Promessi Sposi (capitoli XI-XVII), riassunto https://cultura.biografieonline.it/renzo-a-milano-promessi-sposi/ https://cultura.biografieonline.it/renzo-a-milano-promessi-sposi/#comments Thu, 26 May 2022 13:06:23 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40001 Nei capitoli XI-XVII sono contenuti alcuni degli avvenimenti in cui è coinvolto il protagonista maschile de I Promessi Sposi. Renzo Tramaglino è un ragazzo vivace, pieno di amore per la giustizia e la verità. È coraggioso e con un’indole buona, ma ha un temperamento piuttosto impetuoso. Egli è costretto a fuggire dal suo paesello natio e a scontrarsi con una realtà più grande di lui: deve affrontare la guerra, la carestia, l’epidemia di peste, commettendo anche alcuni errori. Riesce tuttavia a rimediare ad essi. In questo articolo riassumiamo le avventure di Renzo a Milano.

Rivolta del pane - Promessi sposi - Renzo a Milano
Rivolta del pane – Promessi sposi – Renzo a Milano

La rivolta del pane

Mentre Lucia si trova presso il convento della monaca di Monza, Renzo arriva a Milano presso porta Venezia. È la sera del 10 novembre 1628. Qui, a causa della carestia, è appena scoppiata una sommossa.

L’11 novembre 1628, il giorno di San Martino, la folla è furiosa per il rincaro del pane e ritiene responsabili i fornai. Quindi passa dalle minacce all’azione.

Il popolo prende prima d’assalto i garzoni dei fornai, poi direttamente i forni. La gente è ormai fuori controllo: spinge, lancia pietre e si riversa nelle botteghe.

Renzo arriva proprio in quel momento alla Corsia dei Servi, il luogo centrale del tumulto.

I tumulti di San Martino sono riassunti nel capitolo XII dei Promessi Sposi.

Assalto al forno delle grucce: spiegazione

Renzo arriva in via Corsia de’ Servi, oggi Corso Vittorio Emanuele, dove c’era un forno con lo stesso nome (Manzoni lo chiama forno delle grucce, che stanno ad indicare le pale per muovere i panetti nel forno).

Qualcuno però, mentre la gente si accalca gridando al fornaio di aprire, chiama il responsabile dell’ordine pubblico insieme agli alabardieri (soldati armati di alabarda). Essi accorrono sul posto e cercano di ricacciare indietro le persone, per evitare che entrino per razziare tutto.

Entrano poi nel forno, chiudendo la porta alle loro spalle, mentre padroni e garzoni di bottega iniziano a tirare pietre alla folla sottostante.

Qualcuno purtroppo viene colpito, anche in maniera fatale. Allora la folla inizia a riversarsi all’interno prendendo tutto ciò che può, fin dentro ai magazzini.

Il forno viene messo completamente sotto sopra.

Renzo intanto comprende che il responsabile di tutto ciò è il vicario e si fa trascinare insieme alla folla fino a piazza Duomo, poi fino a casa del vicario stesso.

Altri avvenimenti – prosieguo

Renzo Tramaglino si trova coinvolto anche nell’assalto alla casa del vicario, suo malgrado. Inizia a comprendere che i rivoltosi hanno addirittura l’intenzione di ucciderlo. Per fortuna la situazione si placa all’arrivo di Ferrer, il gran cancelliere, che viene acclamato dalla folla.

In realtà egli farà credere di portare il vicario in prigione ma lo lascerà libero, ingannando i rivoltosi.

Il nostro protagonista, in tutto questo gran tumulto, viene accusato di essere uno dei capi della rivolta e viene arrestato.

Dopo molte peripezie riesce ad uscire da Milano senza essere riconosciuto; arriva a Gorgonzola, dove riprende la fuga attraverso i boschi.

Solo il ricordo dei luoghi del suo paese natio lo conforta; trascorre una notte in una capanna abbandonata ripensando a padre Cristoforo, ad Agnese ma soprattutto alla sua amata Lucia. Ammette i suoi errori e le sue leggerezze.

La mattina seguente decide di dirigersi al paese del cugino Bortolo (vicino a Bergamo – allora parte della Repubblica di Venezia), che lo accoglie. Questi gli trova lavoro in una filanda.

Le avventure di Renzo a Milano: commento

Renzo non è un rivoluzionario, piuttosto si comporta in modo sbruffone e poco furbo.

Si rende conto del pericolo che ha corso e per questo riflette e medita molto sui propri errori, tenendo a mente gli insegnamenti che gli ha dato fra Cristoforo.

Dopo questa esperienza nella città di Milano, riuscirà a diventare più riflessivo e a perdonare in punto di morte perfino Don Rodrigo, che è stato la causa di tutte le sue disavventure. Egli dimostra carità cristiana e, soprattutto, fiducia nella Provvidenza, vera protagonista del romanzo dei Promessi Sposi.

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Finale dei Promessi Sposi: riassunto del capitolo 38 https://cultura.biografieonline.it/finale-promessi-sposi-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/finale-promessi-sposi-riassunto/#respond Sun, 15 May 2022 16:07:41 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39951 In questo articolo parliamo del finale dei Promessi Sposi. Il romanzo storico di Alessandro Manzoni termina con il capitolo XXXVIII. E’ ambientato nell’autunno 1631.

In questi attimi finali della narrazione vengono descritti gli avvenimenti che poi porteranno finalmente ad un lieto fine: i due protagonisti, Renzo e Lucia, finalmente convolano a nozze e iniziano la loro nuova vita insieme.

Finale dei Promessi Sposi
Finale dei Promessi Sposi: Renzo, Lucia e Agnese

Gli antefatti

Mentre Renzo ritorna al paese, Lucia rimane a Milano. Qui trascorre la quarantena che viene prescritta a tutti i malati di peste durante la guarigione. Viene a sapere delle vicende della monaca di Monza, della sua condanna e del successivo pentimento. Viene inoltre a sapere della morte di fra Cristoforo.

I luoghi descritti sono:

  • Milano;
  • il paesello natio dei promessi sposi;
  • la zona di Bergamo.

Ormai siamo giunti alla fine: finalmente Don Abbondio celebra il matrimonio tra i due giovani, che vanno a vivere insieme ad Agnese, madre di Lucia, nel bergamasco.

Certamente non mancano le difficoltà di adattamento in un nuovo paese con nuove abitudini, soprattutto per Renzo che ha acquistato una filanda in società con Bortolo.

La vita dei due sposi però procede con serenità: essi avranno dei figli e resteranno sempre fedeli a Dio.

Spiegazione del capitolo XXXVIII

Prima del primo anniversario di matrimonio, i due sposi hanno avuto una bella bambina, Maria. Il nome è scelto da Renzo per adempiere alla promessa fatta.

Col tempo arriveranno molti altri figli, sia maschi che femmine, tutti cresciuti anche grazie alla presenza della nonna Agnese che li accompagnava sempre in giro.

Sono tutti ben educati e Renzo ha voluto che tutti imparassero a leggere e a scrivere, per non essere imbrogliati nella vita.

Cosa ha imparato Renzo alla fine dei Promessi Sposi

Il padre racconta loro tutte le sue avventure e gli insegnamenti che ha imparato da esse:

  • non ficcarsi nelle rivolte,
  • non unirsi a persone con la testa calda,
  • stare lontano dai guai.

Egli, insomma, trae sempre un insegnamento da ciò che ha vissuto.

Lucia invece racconta loro che erano stati i guai a cercare lei.

I due spesso dibattevano su questa questione ed erano arrivati ad una conclusione: molto spesso i guai arrivano perché li abbiamo causati, ma purtroppo anche se ti comporti in maniera corretta essi arrivano lo stesso. E per affrontarli è importante avere fiducia in Dio.

Questa conclusione viene descritta dall’autore Alessandro Manzoni proprio perché sembra rappresentare perfettamente il «sugo di tutta la storia». E’ l’insegnamento che bisogna trarre dall’intera vicenda narrata.

Finale dei Promessi Sposi: commento e analisi

Non si può parlare di un vero e proprio idillio finale per questo romanzo storico; piuttosto bisogna utilizzare il termine lieto fine.

Renzo e Lucia hanno finalmente raggiunto una certa tranquillità e sicurezza economica ma hanno vissuto anche molte problematiche per arrivare al raggiungimento dei loro obiettivi. Ecco perché non si tratta di un idillio, cioè felicità senza alcun tipo di contrasti; perché gli sposi hanno attraversato molti contrattempi e difficoltà.

Su tutte c’è il fatto di essersi dovuti trasferire lontano dal loro paesello per ricominciare una nuova vita, in un luogo che non conoscono.

Sulla loro pelle e con grandi dolori hanno imparato che purtroppo la vita è piena di ostacoli e imprevisti, non sempre meritati.

Ciò che l’uomo può fare però è attraversare quella sofferenza e avvicinarsi maggiormente a Dio.

Manzoni non ha una concezione pessimistica. Vuole mostrare semplicemente che su tutti gli uomini regna la Divina provvidenza; è un Dio che consola i buoni e li premia, ma castiga i malvagi.

Il dolore è sempre inspiegabile ma per gli uomini c’è la fede. E la fede è l’unica vera salvezza.

Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni

La frase finale dei Promessi Sposi

Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.

La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

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Addio ai monti (Promessi sposi): spiegazione, analisi e riassunto https://cultura.biografieonline.it/addio-ai-monti-spiegazione-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/addio-ai-monti-spiegazione-analisi/#comments Thu, 05 May 2022 14:52:29 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39795 L’Addio ai monti è il nome con cui si è soliti indicare un momento dei più famosi dell’intero romanzo dei Promessi Sposi, capolavoro di Alessandro Manzoni. Questo brano è considerato dalla critica una vera e propria poesia in forma di prosa. Il testo si trova nel capitolo VIII. Le parole sono pronunciate da Lucia, mentre lascia il suo paese a bordo di una barca, nella notte.

Addio ai monti Renzo e Lucia Promessi sposi illustrazione
Il momento dell’Addio ai monti: Renzo, Lucia e Agnese si allontanano da Lecco in barca (illustrazione) • Lucia tiene la testa appoggiata alla mano, ed il braccio appoggiato alla barca

Contesto

Il momento dell’addio ai monti segna l’inizio di un lungo periodo di lontananza per i due promessi sposi, Renzo e Lucia. I ragazzi sono costretti a separarsi perché Don Rodrigo ha ordinato il rapimento di Lucia, pur di raggiungere il suo scopo.

Pochi giorni prima il frate cappuccino Fra Cristoforo si era recato a casa di Lucia e Agnese. Questi, ascoltando la storia, riesce a placare la rabbia di Renzo. Decide quindi di andare a parlare con Don Rodrigo in prima persona per convincerlo a rinunciare alle sue pretese su Lucia.

Purtroppo però questo colloquio si conclude con la cacciata di padre Cristoforo. Nel frattempo Agnese, la madre di Lucia, organizza un imbroglio ai danni di Don Abbondio; con uno stratagemma tenta di far celebrare le nozze tra i due giovani, ma il piano e la strategia falliscono miseramente.

A questo punto Fra Cristoforo viene a sapere dell’intenzione di Don Rodrigo di rapire Lucia e consiglia alla ragazza di lasciare il paese. E’ lui stesso a preparare la fuga dei giovani; manda Renzo verso Milano, e Lucia (assieme alla madre) verso a, dove incontrerà Gertrude, la Monaca di Monza.

Addio ai monti: spiegazione

Inizia così un passo famosissimo, in cui Manzoni rappresenta alla perfezione, con parole poetiche, il pensiero di Lucia che abbandona la sua terra.

Lucia, la madre Agnese e Renzo si allontanano dal loro paese lacustre su una barca; attraversano il lago di Como durante la notte. Manzoni trascrive il pensiero di Lucia, che inizia con queste famose parole:

“Addio, monti sorgenti dalle acque”

La ragazza si rivolge alle montagne, che sono per lei un paesaggio sicuro e conosciuto fin dall’infanzia; è un luogo ricco di torrenti, case, paesini, pascoli lungo i pendii. Lei e la sua famiglia non partono volontariamente come coloro che vanno in città in cerca di fortuna, con la speranza di tornare un giorno ricchi nel loro paesino.

Le città vengono descritte dalla ragazza come “tumultuose” con “case aggiunte a case” quasi a togliere il respiro.

Poi pronuncia delle parole di grande impatto emotivo. Viene spinta lontano da una forza avversa, lascia quei monti, le sue abitudini per recarsi da sconosciuti senza sapere quando farà ritorno.

Si rivolge poi alla sua casa, dicendole addio; proprio lì dove aveva imparato a riconoscere i passi di Renzo che stava arrivando per stare con lei.

Lucia dice poi addio alla stessa casa di Renzo, dove sarebbe dovuta andare a vivere con lui, una volta sposati.

Infine si rivolge alla chiesa, dove si doveva svolgere il matrimonio: conclude però con una affermazione da cattolica credente; ossia che Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne un’altra più grande.

Analisi e commento

Nel brano dell’Addio ai monti, il paesaggio è l’elemento più importante: rappresenta i sentimenti dei protagonisti. Viene descritto da Lucia in maniera malinconica e poetica. Viene pronunciata più volte la parola “addio”. Ella non sa quando potrà fare ritorno.

L’ambientazione è notturna ed è come sospesa.

Questo è un momento lirico in cui il personaggio di Lucia esprime tutti i suoi sentimenti con tono idilliaco.

E’ molto forte il paragone della storia contemporanea relativo ai migranti; anche Lucia lascia la sua terra per cercare fortuna altrove, con un futuro incerto, spinta dalla paura e da una minaccia contro la quale è impotente.

Non manca però il riferimento alla Provvidenza, che è il filo rosso conduttore di tutta l’opera: nonostante la ragazza stia vivendo un momento difficile, ha fiducia in Dio: ha speranza.

Testo completo

Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso.

Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa.

Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore.

Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

Il brano è preceduto da un ulteriore momento molto poetico, spesso poco ricordato. Con poche parole Manzoni dipinge un quadro delicatissimo in cui poi, successivamente, incornicia le parole di Lucia.

Di seguito il testo.

Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l’ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo il cielo.

S’udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglìo più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di que’ due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano.

L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s’andava allontanando dal lido. I passeggieri silenziosi, con la testa voltata indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grand’ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, meditando un delitto.

Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l’occhio giù giù per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all’estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile, scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com’era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente.

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Personaggi femminili de I promessi sposi: descrizione, analisi e riassunto https://cultura.biografieonline.it/promessi-sposi-personaggi-femminili/ https://cultura.biografieonline.it/promessi-sposi-personaggi-femminili/#comments Wed, 20 Apr 2022 17:47:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39728 Il romanzo storico “I promessi sposi” è considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura italiana, oltre che uno dei più conosciuti. In questo articolo analizziamo i principali personaggi femminili de I promessi sposi. Il romanzo fu scritto da Alessandro Manzoni in due anni, dal 1821 al 1823; poi subì delle revisioni nel corso del tempo (1840) soprattutto da un punto di vista linguistico.

Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni

L’opera, infatti, è tappa fondamentale per la nascita della lingua italiana: l’autore eliminò le forme dialettali e scelse il fiorentino parlato dalle persone colte.

La trama è un misto di invenzione e realtà: la narrazione parte dall’amore pieno di ostacoli di Renzo e Lucia per poi intrecciarsi con fatti storici realmente accaduti. E’ ambientato nella Lombardia del Seicento.

Passiamo ora all’analisi delle più importanti figure femminili che si incontrano all’interno del romanzo.

Lucia Mondella

È la protagonista femminile dell’opera. Lucia è una donna giovane, bella e umile. Lavora come operaia in una filanda di seta insieme al suo promesso sposo, Renzo Tramaglino. È orfana di padre e vive con sua madre Agnese.

Renzo e Lucia: illustrazione
Renzo e Lucia: illustrazione

L’unico desiderio di Lucia Mondella è quello di formare una famiglia con Renzo. Ma la sua realizzazione incontra una serie di ostacoli.

Viene descritta come una ragazza molto riservata e molto devota: è una fervente cattolica.

Manzoni vede in lei la classica ragazza che incarna la morale cattolica, bilanciando anche il carattere molto irruente di Renzo. All’apparenza Lucia sembra molto fragile. Tra i personaggi femminili de I promessi sposi è quella che più subisce un’evoluzione. Nel corso del romanzo i lettori imparano a conoscerla come donna tenace, che affronta anche ostacoli più grandi di lei.

Tra gli episodi più belli che la riguardano vi sono:

  • l’Addio ai monti; così viene chiamato il momento in cui Lucia congeda la sua terra per scappare da Don Rodrigo;
  • l’incontro con la Monaca di Monza (Gertrude) – donna molto diversa da lei di cui parleremo tra poco;
  • l’incontro con l’Innominato: qui Lucia trova il coraggio di chiedere spiegazioni e riesce ad essere liberata.

La protagonista è descritta dal Manzoni come una donna dotata di tante qualità morali; è proprio grazie alla sua fede che riesce a raggiungere il suo scopo, ossia un matrimonio felice.

Agnese

È la madre di Lucia. Agnese Mondella (il cognome è quello del marito) viene descritta come una donna molto pratica e molto impulsiva. Sono caratteristiche diverse rispetto a quelle della figlia, molto più religiosa e mite.

E’ Agnese ad escogitare lo stratagemma del matrimonio a sorpresa, che purtroppo però non va a buon fine.

Lucia, Agnese e Renzo (I promessi sposi)
Lucia, Agnese e Renzo

Segue la figlia accompagnandola in tutte le sue peripezie mentre è in fuga da Don Rodrigo, fino a Monza dove insieme incontrano Gertrude.

È disposta a tutto pur di rendere felice Lucia e di proteggerla.

Perpetua

È la serva di Don Abbondio, molto affezionata a lui e che gli è sempre fedele. È una donna pettegola: ama ascoltare le chiacchiere di paese.

Non si è mai sposata, a detta sua perché ha rifiutato tutti i pretendenti.

È proprio Agnese a rivelare a Renzo che la colpa del rinvio del matrimonio non è di Don Abbondio, bensì di qualche prepotente.

Gertrude, la Monaca di Monza

È una figura che rappresenta l’esatto opposto di Lucia. Gertrude, Monaca di Monza, racconta alla ragazza tutta la sua storia: fin dall’infanzia era stata destinata dalla famiglia ad entrare in convento, dove viene condotta molto giovane e costretta a diventare suora.

Gertrude, monaca di Monza
Gertrude, monaca di Monza

Ella però non riesce mai a trovare consolazione nella fede, è molto infelice a causa della sua condizione e alterna momenti di ribellione a momenti di passività.

Un giorno incontra Egidio, un giovane con il quale inizia una torbida storia. È un personaggio molto ambiguo, aiuta Fra Cristoforo a nascondere Lucia, ma poi la tradisce e la consegna all’Innominato.

Alessandro Manzoni fa emergere tutta l’infelicità di questo personaggio femminile. Riesce con le sue descrizioni a far trapelare le sue sofferenze.

Il personaggio di Gertrude si ispira a Marianna de Leyva, poi divenuta Suor Virginia Maria, di cui l’autore aveva letto la vita in una cronaca seicentesca.

La madre di Cecilia

È un personaggio minore, che compare solo nel capitolo XXXIV. La madre di Cecilia viene ritratta mentre accompagna sul carro dei Monatti il corpicino di sua figlia, morta di peste. Il momento è doloroso ma la donna ha l’espressione serena, perché sa che il giorno seguente anche lei e l’altra figlia sarebbero morte e l’avrebbero raggiunta.

Questa madre ha vestito con cura la bambina, come per andare ad una festa e le dice addio in modo sereno; ella ha fede e riesce ad accettare il dolore.

Manzoni, attraverso la figura di questo personaggio femminile crea una madre esemplare, simbolo delle virtù cristiane; l’intento è quello di dare dignità anche alla morte.

La madre di Cecilia - Promessi Sposi
La madre di Cecilia, opera di Giorgio Scarpati

Considerazioni finali

È chiaro che le donne rappresentate dal Manzoni sono tutte molto diverse da loro; alcune hanno una spiccata religiosità, altre meno. Alcune che credono in un riscatto, altre sono rassegnate e in preda al loro destino.

I personaggi femminili de “I promessi sposi” hanno però un comune denominatore: queste donne sono tutte protagoniste; non vengono trascurate dall’autore. Anzi, assumono un ruolo di primo piano, a partire dalla figura della protagonista Lucia.

La donna, secondo la filosofia manzoniana, quando è dotata anche di fede cristiana, allora sarà in grado di ottenere tutto ciò che desidera.

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Il cinque maggio: testo della poesia e commento https://cultura.biografieonline.it/5-maggio-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/5-maggio-manzoni/#comments Tue, 08 Mar 2022 21:01:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8287 Si intitola Il Cinque Maggio ed è un’ode che celebra la data in cui morì Napoleone Bonaparte, sull’isola di Sant’Elena, in esilio (nell’oceano Atlantico meridionale, vicino all’Angola). Questa celebre poesia fu scritta da Alessandro Manzoni nello stesso anno in cui l’imperatore francese morì: il 1821.

Napoleone Bonaparte (15 agosto 1769 - 5 maggio 1821) e Alessandro Manzoni (07 marzo 1785 - 22 maggio 1873)
Napoleone Bonaparte e Alessandro Manzoni: quest’ultimo scrisse l’ode “Il cinque maggio” in occasione della morte dell’imperatore francese

La struttura della lirica

La struttura di questa opera, paragonata all’ode civile Marzo 1821, è più complessa. L’ode qui analizzata fu composta di getto da Manzoni, dopo che a Milano giunse il 16 luglio la notizia della morte di Napoleone. Essa ebbe un enorme successo in Italia e all’estero, e fu subito tradotta in tedesco da Goethe e da altri in altre lingue. E’ tuttora ritenuta, nonostante la forma grezza e qualche disarmonia, la più bella poesia scritta in onore di Napoleone, fra le tante che furono scritte anche da altri celebri poeti (come Silvio Pellico, Lord Byron, Lamartine, Béranger).

Manzoni e Napoleone

Il Manzoni, che non ha mai esaltato né vituperato Napoleone quando era vivo, ora che è morto, si fa interprete della generale commozione, e ne ripercorre le fasi frenetiche dell’ascesa, della grandezza e della sconfitta. Nella solitudine di Sant’Elena, il ricordo della passata grandezza e l’umiliazione della prigionia lo avrebbero fatto piombare nella disperazione, se Napoleone non avesse trovato rifugio e conforto nella fede in Dio. Alla luce della fede a Napoleone si schiarì l’oscuro destino della sua vita, che è poi quello di ogni uomo sulla terra. Ogni uomo infatti, sia quello di eccezione, in cui sembra che Dio abbia impresso un segno più grande del suo spirito creatore, sia quello umile e modesto, vive assolvendo il compito che Dio gli assegna.

Napoleone fu sotto tanti aspetti uno strumento della Provvidenza nell’evoluzione della storia europea del suo tempo, che sotto il suo impulso si scrollò di dosso le vecchie strutture feudali e si avviò alla vita moderna. Ma egli, per orgoglio ed egoismo, spesso trascese il fine assegnatogli e pagò con la sconfitta e l’esilio i suoi errori.

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La fede ritrovata non solo gli fece comprendere le contraddizioni della sua vita, ma gli diede conforto e sostegno e “l’avviò, per i floridi sentieri della speranza”, al premio della beatitudine eterna. L’ispirazione dell’ode pertanto non è soltanto epico-drammatica, come riteneva la critica romantica, che si compiaceva del rilievo dato alle forti personalità, ma è anche, anzi è soprattutto religiosa, analoga a quella del coro in cui è rappresentata la morte di Ermengarda, nell’Adelchi.

Napoleone ed Ermengarda soggiacciono allo stesso destino di dolore, riconoscono umilmente l’azione purificatrice e plasmatrice della «provvida sventura», sono entrambi spiriti eletti, toccati dalla Grazia, e trovano, oltre la morte, il premio che supera tutti i desideri umani, l’appagamento dell’ansia d’infinito, che ci travaglia in terra.

Ecco il testo completo dell’ode Il Cinque Maggio :

Il cinque maggio: testo completo

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;

e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

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Marzo 1821: analisi dell’ode di Alessandro Manzoni https://cultura.biografieonline.it/marzo-1821-manzoni/ https://cultura.biografieonline.it/marzo-1821-manzoni/#comments Tue, 08 Mar 2022 20:20:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8133 Le canzoni civili o odi civili di Alessandro Manzoni, ispirate alla storia contemporanea, sono “Marzo 1821” e “Il Cinque Maggio”. L’ode “Marzo 1821” che andremo qui ad analizzare fu scritta quando si diffuse la notizia, risultata poi infondata, del passaggio del Ticino da parte dei patrioti piemontesi, durante i moti del 1821, per strappare con la guerra la Lombardia all’Austria.

Marzo 1821 (di Alessandro Manzoni)
Odi civili: Marzo 1821 (di Alessandro Manzoni)

Il Manzoni la pubblicò nel 1848, durante le Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo), dedicandola significativamente «alla illustre memoria di Teodoro Koerner -poeta e soldato – della indipendenza germanica – morto sul campo di Lipsia il giorno 18 ottobre 1813 – Nome caro a tutti i popoli – che combattono per difendere – o per riconquistare una patria». Con questa dedica il Manzoni voleva affermare e dire agli Austriaci che, come era stata giusta e santa la guerra dei Tedeschi contro i Francesi, altrettanto giusta e santa era la guerra degli Italiani contro l’Austria. Nella pubblicistica risorgimentale Tedeschi ed Austriaci erano spesso confusi insieme.

Il motivo ispiratore dell’ode Marzo 1821 è senz’altro patriottico ed oratorio. Con questa ode civile il Manzoni voleva incitare gli Italiani a combattere per l’indipendenza e l’unità della patria, ma il sentimento patriottico del poeta aveva un saldo fondamento religioso e si conformava allo spirito del suo cattolicesimo liberale. Manzoni riteneva che Dio, nei suoi disegni imperscrutabili, ha assegnato ad ogni popolo una patria e una missione da svolgere nella storia. Avviene tuttavia che un popolo, indebolito dalla corruzione dei costumi e da discordie interne, perda la libertà e cada sotto la dominazione di un altro popolo, più giovane e gagliardo, prescelto da Dio come strumento della sua punizione.

Tuttavia, trascorso un lungo periodo di espiazione, durante il quale prova tutte le amarezze della schiavitù, il popolo oppresso, purificatosi delle sue colpe, sente il bisogno di riscattarsi e trova in Dio stesso la forza e il sostegno per rivendicare la libertà. Il Manzoni sente che è questa la condizione dell’Italia del suo tempo che, dopo secoli di divisione e di oppressione, ha espiato le sue colpe e nella lotta per il riscatto è meritevole dell’aiuto di Dio.

L’idea che Dio, quando il popolo si desta dal torpore della schiavitù, si pone alla sua testa e gli dà le sue folgori per scrollarsi di dosso l’oppressione, è il motivo ispiratore della parte centrale dell’ode, là dove il poeta ricorda che il Dio che ascoltò le preghiere dei Tedeschi oppressi, in guerra contro i Francesi oppressori, non può essere sordo alle preghiere degli Italiani: è lo stesso Dio che salvò Israele dall’inseguimento del malvagio Faraone ed armò la mano di Giaele per uccidere un oppressore del suo popolo, è il Dio padre di tutte le genti, che non disse giammai al Tedesco di andare a raccogliere i frutti dei campi che non ha mai arato, di spiegare le unghie per ghermire e straziare l’Italia.

In questa fase del pensiero manzoniano la guerra è giustificata come atto di politicità pura, cioè come strumento di giustizia e di libertà, immune da interesse di parte, di arroganza, di potenza e di oppressione.

Questo spiega il tono tirtaico della penultima strofa dell’ode, là dove il poeta, rivolgendosi ai combattenti, auspica che sui loro volti baleni finalmente il furore contro gli oppressori, finora tenuto segreto nelle congiure, e li invoglia a combattere e a vincere per l’Italia, perché il suo destino dipende dal loro eroismo guerriero.

Nei Promessi Sposi invece il Manzoni considera la guerra e ogni altra forma di violenza come una follia fratricida, che disonora la nostra umanità e grida vendetta davanti a Dio. Per questo Fra Cristoforo rimprovera sempre severamente Renzo, tutte le volte che, trascinato dall’impeto giovanile, accenna a voler farsi giustizia da sé. Egli sa, per esperienza diretta, che la vendetta di un sopruso subito “è un terribile guadagno” (Promessi Sposi, cap. V) e che “una vita piena di meriti non basta a coprire una violenza”.

Ma ancor prima dei Promessi Sposi il poeta condanna la guerra e la violenza nella chiusa della Battaglia di Maclodio (coro del Conte di Carmagnola), dove l’autore dice che siamo tutti fratelli, figli tutti d’un solo riscatto, legati tutti ad un patto d’amore e di solidarietà, e invoca il castigo di Dio su chi viola questo patto e affligge un’anima immortale.

La condanna della violenza e della guerra fatta ripetutamente dal Manzoni, suscitò, durante il Risorgimento, la reazione dei politici estremisti, che lo accusarono di insegnare agli Italiani la rassegnazione alla tirannide e all’oppressione. Ma il Manzoni non insegnava la rassegnazione passiva, che porta all’ignavia e alla viltà, ma, semmai, la rassegnazione attiva, che attinge le sue forze della fede nella Provvidenza e nella giustizia immanente nelle cose, che prima o poi finisce col trionfare. Del resto nel nostro tempo presso i popoli di più matura coscienza democratica i movimenti di non violenza sono quelli, che hanno realizzato le più importanti conquiste politiche e sociali, non escluso il crollo di dittature, come quelle dell’Est, che sembravano irreversibili.

Testo completo dell’ode

Marzo 1821

Alla illustre memoria di Teodoro Koerner poeta e soldato della indipendenza germanica
morto sul campo di Lipsia il giorno XVIII d’Ottobre MDCCCXIII
nome caro a tutti i popoli che combattono per difendere o per conquistare una patria

Soffermati sull’arida sponda
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!

L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte;
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol.

Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell’Orba selvosa
Scerner l’onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell’Oglio le miste correnti,
Chi ritorgliergli i mille torrenti
Che la foce dell’Adda versò,

Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor;
Una gente che libera tutta
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.

Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto
Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo:
L’altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato un segreto d’altrui;
La sua parte servire e tacer.

O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de’ barbari piè?

O stranieri! sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V’accompagna a l’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera e pèra
Della spada l’iniqua ragion.

Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de’ vostri oppressori,
Se la faccia d’estranei signori
Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?

Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l’ugne; l’Italia ti do.

Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
Dove ancor dell’umano lignaggio
Ogni speme deserta non è:
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un’alta sventura,
Non c’è cor che non batta per te.

Quante volte sull’alpe spïasti
L’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno ai tuoi santi colori,
Forti, armati dei propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.

Oggi, o forti, sui volti baleni
Il furor delle menti segrete:
Per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito dei popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l’orrida verga starà.

Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d’altrui,
Come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: «io non c’era»;
Che la santa vittrice bandiera
Salutata quel dì non avrà.

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