affreschi Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Thu, 29 Dec 2022 15:58:32 +0000 it-IT hourly 1 Priapo, il mito. Riassunto, storia e affreschi simbolici https://cultura.biografieonline.it/priapo-mito-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/priapo-mito-riassunto/#comments Tue, 28 Jul 2020 09:58:39 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29748 Quando il mito si fa eros

Quello di Priapo è un mito che affonda le sue radici nel mondo greco e che poi prosegue in quello romano. Priapo è il dio dell’istinto, della forza sessuale maschile e della fertilità. Tale associazione caratteriale giunge, nel mito, da una notoria caratteristica fisica di Priapo ovvero la lunghezza importante del suo pene.

Priapo, Mito: Affresco di Pompei, casa dei Vettii
Priapo: affresco presso la casa dei Vettii, Pompei

Priapo: le origini del mito

Si racconta, nel mito greco come poi in quello approdato nella cultura romana, che Priapo fosse figlio di Afrodite e Dioniso. Seppur le caratteristiche dell’una, dea della bellezza, e dell’altro, dio dell’estasi e dell’ebbrezza, si sposino bene a tale figlio, alcune opere minori danno Priapo come figlio di Afrodite e Ermes, messaggero degli dei, o Adone, incarnazione archetipica della bellezza giovanile maschile, o ancora Zeus, padre di tutti gli dei.

In ogni caso, la storia vuole che Era, moglie di Zeus, gelosa per il rapporto adulterino del marito con Afrodite, scagliò su Priapo la sua ira rendendolo grottesco nel corpo e, in particolare, ingrandendo fuori misura i suoi genitali.

Un dio mai salito all’Olimpo

Il culto di Priapo ha un certo legame con il suo essere più terreno che divino. Oltretutto il mito narra che mai ascese o fu accolto nell’Olimpo. Fu infatti cacciato dal monte degli dei per avere abusato di Estia, figlia di Crono e Rea.

In questa cacciata prende un ruolo anche l’asino – spesso poi iconograficamente associato a questo mito, anche per le dimensioni dei genitali – che, seppur simbolo della lussuria, gli raglia contro perché se ne vada. Da allora il sacrificio a Priapo consta di un asino l’anno.

Il culto: fertilità della terra da secoli

La figura di Priapo viene richiamata nel tempo come portatore di forza e fertilità soprattutto in connessione alla terra, all’agricoltura e quindi alla ricchezza da essa derivata per le società primordiali. Si riscontrano eventi legati al culto di Priapo già con Alessandro Magno. Saranno i Romani, però, che in linea con i riti dionisiaci segneranno l’inizio di una lunga tradizione.

Le falloforie, la festa di Priapo

Il culto di Priapo fu nella cultura greca e romana al centro di un festeggiamento specifico, accoppiato al culto di Dionisio. Le celebrazioni si risolvevano in processioni solenni con lunghi cortei. In questi, l’uno dietro l’altro, si avvicendavano, rispettivamente, adulti, fanciulli, corteo rituale (detto komos), attori di commedie e attori di tragedie.

Una nota merita il komos o corteo rituale. In questa compagine sfilavano le persone, sui carri o a piedi, che si davano ai festeggiamenti fra ebbrezza, canti, suoni, baldoria e manifestazioni giocose con esplicite allusioni sessuali.

Atto finale delle falloforie era il lancio di un liquido misto di acqua, miele e succo d’uva sulla terra, una sorta di eiaculazione propiziatoria che avrebbe assicurato fertilità e abbondanza. Tali pratiche pare siano avvenute anche in Italia, al tempo dei romani, e in particolari nella zona di Foggia e Taranto, in Puglia.

Cippi fallici, l’eredità (perduta) di Priapo alla cultura contadina

Come detto il richiamo alla fertilità, alla capacità indefessa di seminare, lega la figura di Priapo alla terra e alla produzione agricola. Nel mondo agricolo, infatti, dove ancora le tradizioni sono rimaste vivide, sono in uso i cippi fallici. Si tratta di tocchi di legno a forma, più o meno abbozzata, di pene messi a delimitare i terreni o le coltivazioni e, ovviamente, propiziatori rispetto al raccolto.

Tali abitudini, nate nel mondo classico, sono andate perse nel tempo anche perché furono aspramente ostacolate e demonizzate durante il medioevo. Durante questo periodo storico, infatti, la società fu attraversata da una forte ondata moralizzatrice ad opera delle religioni (cristianesimo, ebraismo, induismo, buddismo) che vollero diffondere il monachesimo.

Priapo: Affresco Pompei trovato nel 2008
Affresco pompeiano scoperto nel 2008 raffigurante Priapo

Priapo oggi a Pompei: due affreschi

La vera eredità di Priapo oggi sopravvive nella magica Pompei con due affreschi che lo ritraggono. In entrambi il dio è raffigurato nell’atto di pesare il proprio membro con una bilancia a due piatti, per alimenti, del tempo. Il primo ritrovamento è datato 1894. L’affresco fu rinvenuto nella Casa dei Vettii, una casa signorile su via del Vesuvio. Il soggetto nel pezzo fece scandalo al punto che restò a lungo visibile solo agli uomini.

Più recentemente, nell’agosto del 2018, un nuovo capitolo di lavori di scavo sul tesoro storico inestimabile che è Pompei ha portato alla luce un secondo affresco di Priapo: la figura è presente ancora nell’atto di misurare il peso del suo pene. Si trova in bella mostra sull’ingresso di una casa di lusso. E’ un tassello che si aggiunge a quella Pompei erotica ormai conclamata da studiosi e addetti ai lavori.

Libri su Priapo

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Trionfo di Galatea, opera di Raffaello https://cultura.biografieonline.it/trionfo-di-galatea-raffaello/ https://cultura.biografieonline.it/trionfo-di-galatea-raffaello/#respond Mon, 25 Sep 2017 10:18:40 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23362 Raffaello Sanzio è l’autore di uno splendido affresco che si trova nella Villa Farnesina di Roma: ecco un’analisi dettagliata dell’opera.

Raffaello Sanzio è diventato famoso grazie alle sue opere e agli affreschi di notevole spessore artistico. Con la sua bravura ha contribuito a “scrivere” la storia dell’arte italiana rinascimentale. Tra gli affreschi di Raffaello che si rifanno alla cultura latina vi è il Trionfo di Galatea. Esso ha come protagonista un personaggio della mitologia greca. Su commissione del facoltoso banchiere Agostino Chigi, l’architetto Baldassarre Peruzzi realizzò tra il 1509 e il 1512 una splendida villa a Roma, conosciuta come “Villa Farnesina”. Per abbellire l’edificio con decorazioni e affreschi il padrone di casa chiamò diversi artisti, tra cui lo stesso Raffaello, a cui chiese in particolare di lavorare ad un’opera che appunto rappresentasse la ninfa Galatea.

Trionfo di Galatea - affresco - Raffaello Sanzio
Trionfo di Galatea, affresco di Raffaello Sanzio (1509 – 1512 circa). Villa Farnesina, Roma.

Analisi dell’affresco

Inizialmente il progetto commissionato a Raffaello Sanzio prevedeva la decorazione di una stanza intera e delle relative pareti, ma l’opera non è stata mai ultimata. Vi è traccia solo dell’affresco raffigurante il momento culminante della storia della ninfa Galatea. L’affresco, realizzato nell’arco temporale di tre anni (1509-1512) è l’esatta rappresentazione di un episodio che appartiene all’antica cultura latina, che però risulta ancora oggi di difficile attribuzione.

Tra gli ipotetici inventori della storia della ninfa Galatea vi sono Ovidio, Apuleio, Poliziano e Teocrito. L’opera realizzata da Raffaello che rende ancora più splendida la Villa Farnesina in cui è collocata, riprende l’episodio “clou” della storia della ninfa Galatea, ed è ambientata nel mare. La ninfa sta cavalcando un carretto con la strana forma di un pesce che è contemporaneamente trainato da due bellissimi delfini. Sotto di lei vi è il giovane Palemone.

Palemone - Trionfo di Galatea - Raffaello - dettaglio
Il dettaglio del giovane Palemone

Se si osserva con attenzione l’affresco, ciò che colpisce l’occhio è il caos. Ci sono infatti diversi personaggi che si avvicendano. Ad esempio alcuni putti stanno per colpire la ninfa con le loro frecce d’amore. Un altro intercetta il suo sguardo. Poi ci sono alcune Nereidi che vengono rapite dai Tritoni (la scena del rapimento è raffigurata sulla parte sinistra).

Un altro putto è nascosto dietro le nuvole ed anche lui è pronto a colpire con la sua faretra. Alcuni esperti di arte hanno attribuito a questo personaggio un valore filosofico, cioè quello della castità tipica dell’amore platonico. I personaggi sembrano avvolti in un ritmo vorticoso e danzante.

La ninfa Galatea in dettaglio
La ninfa Galatea in dettaglio

Chi è la ninfa Galatea

Nella lingua greca la parola “Galatea” significa “colei che ha la pelle bianco latte”. Questa ninfa è una delle cinquanta Nereidi, figure mitologiche che proteggevano i marinai dalla furia del mare. Secondo la leggenda, pare che Galatea fosse innamorata di un giovane molto bello, di nome Aci. Ma della splendida ninfa era innamorato anche il ciclope Polifemo che, per attirarla a sé, cercò di irretirla con il suono del flauto (che simboleggia la lussuria).

Poiché non riuscì a far innamorare di sé la ninfa, per la rabbia furiosa nei confronti della coppia innamorata, Polifemo scagliò verso di loro un grande masso che uccise il povero Aci. Per mantenere in vita il suo grande amore, Galatea trasformò il sangue di Aci in una sorgente: il giovane diventò così un dio fluviale.

Trionfo di Galatea: dettagli e particolari

La scena ha un tipico stile classicheggiante, in quanto riprende l’atmosfera delle opere classiche romane, in perfetta armonia con lo stile architettonico della Villa Farnesina. Le proporzioni dell’affresco sono attentamente studiate e riprodotte in linea con i tipici lavori dell’arte romana.

Anche i colori sono stati scelti con molta cura. Tra le tonalità dell’affresco che spiccano per la loro luminosità vi è il rosso del vestito della ninfa, che si distacca dai colori scelti per raffigurare gli altri personaggi che compaiono nell’ambiente marittimo. Il cromatismo riscontrato in tale affresco è tipico dell’arte romana rinascimentale.

Secondo alcuni esperti di arte, la posizione della ninfa Galatea nell’opera di Raffaello Sanzio è la stessa che assume Santa Caterina d’Alessandria nell’opera a lei dedicata dall’autore e collocabile intorno al 1508. Con molta probabilità l’affresco del Trionfo di Galatea era stato giù ultimato nel 1511, poiché già in quell’anno se ne decantava la bellezza. In molti chiesero all’artista chi fosse la modella che usò per il suo affresco, ma Raffaello rispose che il volto di Galatea era stato creato dalla sua fantasia e immaginazione artistica.

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Incontro di Leone Magno con Attila: affresco di Raffaello https://cultura.biografieonline.it/incontro-leone-magno-attila-affresco-raffaello/ https://cultura.biografieonline.it/incontro-leone-magno-attila-affresco-raffaello/#comments Tue, 22 Aug 2017 15:51:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23150 “Incontro di Leone Magno con Attila” è un affresco realizzato da Raffaello Sanzio. Si tratta di un’opera di 750 centimetri di base, che risale al 1514. L’opera è custodita nella stanza di Eliodoro dei Palazzi Vaticani, nella Città del Vaticano. L’affresco fu ultimato durante il pontificato di papa Leone X.

Incontro di Leone Magno con Attila
Incontro di Leone Magno con Attila (Raffaello, 1514)

La storia

La scena dell’Incontro di Leone Magno con Attila narra un fatto leggendario. Esso avvenne nei pressi del Mincio nel 452. Attila incontrò Papa Leone I e quest’ultimo avrebbe distolto il re degli Unni dall’invadere l’Italia.

Incontro di Leone Magno con Attila. Breve descrizione

Raffaello ritrae l’episodio collocandolo nei pressi di Roma, come si evince dallo sfondo. Nello sfondo appaiono il Colosseo, un acquedotto, una basilica e un obelisco. Dal cielo appaiono i santi Pietro e Paolo armati di spada. Attila e il suo esercito appaiono atterriti. La propaganda cristiana ne aveva fatto un episodio miracoloso, con l’apparizione celeste di un vecchio in abiti sacerdotali che avrebbe terrorizzato gli assalitori. Raffaello tuttavia ha scelto di sostituire la figura con quella dei due santi, protettori della città eterna.

Sulla sinistra invece è rappresentato Papa Leone I, seduto su un cavallo bianco, con la mano in alto che li benedice. I suoi lineamenti appaiono come quelli di Leone X.

In tempi recenti (2017), alcuni scavi effettuati presso la Villa romana di Poggio Gramignano, farebbero pensare che l’intento dell’incontro di Papa Leone Magno, fosse quello di avvisare Attila e gli Unni del sopraggiungere della malaria.

Raffaello, per eseguire l’opera, dovette distruggere una serie di Condottieri del Bramantino. Non sappiamo se questo affresco venne dipinto prima o dopo la Liberazione di san Pietro e quindi se sia il terzo o l’ultimo degli affreschi compiuti nella stanza dove risiede. Di certo fu eseguito dopo la morte di Papa Giulio II.

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Pagamento del tributo, affresco di Masaccio https://cultura.biografieonline.it/pagamento-del-tributo-masaccio/ https://cultura.biografieonline.it/pagamento-del-tributo-masaccio/#respond Mon, 19 Sep 2016 09:44:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19904 Di nuovo ingegno e spirito sperimentatore fu uno dei maestri dei primi anni del Quattrocento: Tommaso di Giovanni di Simone Guido di Castel San Giovanni. Masaccio, l’autore degli affreschi nella cappella Brancaccio (o Brancacci) a Firenze e databili l’anno 1426/27, furono i testimoni di una maturità artistica improvvisa e sorprendente. Essa nacque dalle nuove possibilità compositive, insite nell’uso di figure a tutto tondo. Figure non più alloggiate su uno stretto margine in primo piano con lo sfondo oro o su una superficie “risolta in senso coloristico’” (Görlich), ma sapientemente coordinate con il paesaggio, profondo e molto realistico. Di questi affreschi fa parte il “Pagamento del tributo“.

Pagamento del Tributo - Masaccio - Affresco
Pagamento del Tributo • Affresco realizzato da Masaccio nel 1426 circa, presso la Chiesa di Santa Maria del Carmine, a Firenze • Dimensioni: 255 x 598 cm

Lo scrigno

Un tesoro d’affresco, vivido e ancor brillante d’orgoglioso spirito rinascimentale, l’opera di Masaccio Pagamento del tributo, ottenne il proprio impiego come capolavoro universale nella scenografia meravigliosa e commovente della Cappella Brancacci, nella Chiesa di Santa Maria di Carmine a Firenze. E’ un luogo santo di tradizioni e visite spettacolari giacché scuola d’immensa grandezza. Un esempio mirabile di maestria, d’ingegno alla quale, a quanto riporta il Vasari, trovarono conforto nell’ispirazione personaggi del calibro di Michelangelo.

Pagamento del tributo: note tecniche e descrittive

Tra i tesori rinascimentali, la cupola della sacra cattedrale dell’acume umano trovò, come un bagliore divino nel firmamento, il proprio rinomato riconoscimento tra i grandi maestri del primo Quattrocento fiorentino.

La sacralità di un’arte risplendente di antichi geni e grandi capolavori compose lo spartito della propria venerabilità, quella dei santi, degli apostoli e delle religiose simbologie in una doppia matrice. Quella della grandezza intrinseca di un’arte di per sé consacrata alla magnificenza priva d’abbandono, dunque d’oblio, e quella della destinazione imperitura ed eternamente santificata dei luoghi di culto.

Divino ingegno umano, divino il suo esercitare. La mano che lega il talento alla fede, la pratica pittorica allo sbocciare di un capolavoro sul sottile strato imbiancato di una parete fredda, quasi intollerante e atea prima che sia fatalmente raggiunta dal pennello.

Commento

Affascinante. Un fiore incontrollato di petali di fisionomie e calde cromie tra la porosità della pietra, tra il tocco della creazione mediante il crine dello strumento e la sua incombente genesi.

La creazione che si trasmette da Dio agli uomini, dagli uomini all’impasto di pigmenti e oli, di forme e martiri.

Esistere e completare l’opera di Dio arricchendo e compiendo l’eterno mistero della creazione mediante la creazione di altre eterne meraviglie, guidate da Dio e dunque parte del suo immenso disegno. Furono in molti gli apostoli, dodici per la Bibbia, ma innumerevoli per la storia universale dell’arte.

Masaccio, le cui «[…] cose fatte inanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali. », compì il prodigio che porta il nome di crescita, cambiamento, mutamento azionato dall’imminenza di una modernità sovrastante ogni attimo e che in ogni misura nutre la propria esistenza dalla fonte di un ‘‘pensiero interrotto’’. Pensiero che cedette, in altre parole, alla tentazione di un sentiero totalmente inesplorato. Quello slegato dalle celestiali forme del weicher Stil, tipiche del periodo tardo gotico.

La Pesca di Pietro
La Pesca di Pietro: dettaglio della scena presente sulla sinistra dell’affresco

La realizzazione

Il Pagamento del tributo fu realizzato in trentadue giornate. L’affresco mostra vividamente una scena della storia di San Pietro.

Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.
(dal Vangelo secondo Matteo)

Un classico della tradizione iconografia pittorica, l’affresco, tende d’ambizione mostrandosi nuovo, inconsueto, del tutto aperto alla nuova compagine rinascimentale.
Campiture nette, plasticità data dall’accostamento di luce e colore sono le principali particolarità dell’opera iniziatica intrapresa dal giovane Masaccio.

Il volto di Gesù nel dettaglio
Il volto di Gesù nel dettaglio

Fisionomie scultoree, sintetiche prive dell’attaccamento rassicurante delle forme di un disegno preparatorio nitido e ricco di dettagli accurati. Come fu per Masolino e Filippino Lippi.
La costruzione scenica appare totalmente innovativa nel suo realismo. Nell’architettura delle mura della città di Cafarnao sulla destra, cave e piene di loggette e tettoie (in alto a destra).

Pagamento del Tributo - Masaccio - dettaglio - Gesù e gli apostoli
Il dettaglio dell’opera con Gesù e gli apostoli

Un punto di fuga che trova il proprio fuoco dietro la testa del Redentore, il fulcro della scena, nel pieno di un’atmosfera unificata nella luce e nel colore e che in tal modo provoca l’inclinazione delle ombre.

Le figure

Le figure nel Pagamento del tributo si esprimono secondo la grammatica di un linguaggio nascente, quello connaturante una tematica nuova. Ritraggono episodi sentiti come reali, concreti, vicini al presente e del tutto svincolati dai significati riposti e simbolici. Sono agenti mediante una drammaticità puramente e unicamente accessibile.

Il pagamento del tributo
Il pagamento del tributo

Nuova risulta essere la figura del giovane guardiano, ritratto di spalle, che esige il tributo prima dell’entrata nella città.

Sullo sfondo scuro delle montagne i nimbi, dischi rispondenti alla prospettiva, sospesi sulle teste e sincronizzati con i movimenti dei loro possessori.

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Le Stanze Vaticane (opera di Raffaello) https://cultura.biografieonline.it/stanze-vaticane-raffaello/ https://cultura.biografieonline.it/stanze-vaticane-raffaello/#respond Tue, 15 Apr 2014 20:57:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10511 Alla fine del 1508 Raffaello si trasferisce a Roma. Qui riceve l’incarico da parte di Giulio II di decorare le stanze Vaticane. Raffaello Sanzio ha appena venticinque anni: Giulio II ha intuito che il giovane pittore, più di ogni altro, ha la straordinaria facoltà di visualizzare le sue idee, trasformando in pittura la sua concezione, affrontando temi teorici di estrema difficoltà, riuscendo a passare dall’astrazione dell’idea alla concretezza della visione. Raffaello non è né un teologo né un filosofo: i contenuti esposti sulle pareti sono stati voluti dal Papa con un programma steso nei dettagli dai letterati della curia. È un artista: ha dato corpo a quei contenuti attraverso il linguaggio pittorico. Ma non è un semplice traduttore. È il grande interprete delle idee della chiesa romana nei primi due decenni del secolo.

Stanza della Segnatura (Stanze Vaticane, Raffaello)
Le stanze Vaticane: la Stanza della Segnatura

La stanza della Segnatura

Nella prima stanza, detta della Segnatura, il tema trattato è un autentico speculum doctrinale, una summa della teoria dell’uomo che, superato ogni timore medievale attraverso la ragione, resosi conto, con lo studio, della continuità storica fra antichità classica e cristianesimo, si pone al centro della realtà, dominandola con la calma che gli proviene dalla sicurezza della conoscenza, per la scintilla che è in lui, l’intelletto, che gli permette di comprendere il divino, operando la sintesi armonica delle tre facoltà dell’anima, il Vero, il Bene, il Bello. Il Vero si raggiunge attraverso la fede, il Bene attraverso la giustizia e il Bello attraverso l’arte. I soggetti affrescati da Raffaello illustrano questi contenuti.

A parte i diversi tondi e riquadri della volta, le allegorie dipinte sulle pareti sono: La disputa del Sacramento, la scuola d’Atene, le Virtù, il Parnaso. Le quattro pareti sono lunettate. Questa forma ad arco, obbligata dall’architettura, è il punto di partenza per Raffaello, il quale imposta le scene principali sulla linea curva, verticale e orizzontale, in relazione allo spettatore, che ne viene avvolto, trovandosi al centro di uno spazio maestoso e dilatato, secondo la concezione cinquecentesca.

La Disputa del Sacramento, opera di Raffaello
La Disputa del Sacramento (Raffaello Sanzio, 1509 • Affresco, base metri 7,70. Roma, Palazzo Vaticano, Stanza della Segnatura)

La Disputa del Sacramento

La prima scena dipinta nella Stanza della Segnatura, è il trionfo della chiesa: la rivelazione del Vero supremo, Dio, incarnatosi nel Figlio per riscattare l’uomo, il quale perciò può giungere a lui, tramite la chiesa, in virtù del sacrificio di Gesù, sacrificio che si rinnova ogni giorno con il miracolo dell’eucarestia. Nella parte inferiore, sopra un altare al centro della scena, è l’ostia consacrata, riferimento sicuro per l’uomo e perciò non soltanto messa in evidenza perché campeggiante isolata contro il cielo, ma punto di convergenza delle linee prospettiche, indicate dalle strisce della pavimentazione in primo piano e vertice di un triangolo ideale che ha per base il bordo dell’affresco. All’ostia, circolare come l’ostensorio in cui è posta, si coordinano, in asse verticale, cerchi successivamente più ampi dal basso verso l’alto: il cerchio dove c’è lo Spirito Santo; quello in cui, fra la Vergine e il Battista, siede Gesù, le braccia alzate come un orante antico, le palme rivolte in avanti mostrando le stimmate; quello, infine, entro il quale, circondato da una calda luce solare, compare il Padre benedicente.

La scuola di Atene - Raffaello
La scuola di Atene (1509-1510) : affresco di Raffaello Sanzio; Stanza della Segnatura.

La scuola di Atene

Sulla parete di fronte è dipinta la “Scuola di Atene”. La scena si svolge all’interno di un’architettura che possiamo immaginare a croce greca, inscritta in un deambulatorio quadrato, con cupola centrale, come la pianta di San Pietro che Bramante ha iniziato da poco a costruire.

Al centro, in alto, evidenziati dalla luminosità del cielo, dall’incorniciatura dell’ultimo arco che riecheggia quello che li sovrasta, dalla convergenza dei personaggi disposti reverenzialmente ad ali al loro passaggio, avanzano Platone e Aristotele, i due poli fondamentali del pensiero rinascimentale, l’uno additando verso l’alto, al mondo delle idee, l’altro verso terra, al mondo dell’esperienza.

Attorno e sotto di loro, raggruppati o solitari, ci sono i massimi filosofi, chi come Socrate, discutendo animatamente per obbligare gli altri a ragionare, chi scrivendo, chi compiendo dimostrazioni geometriche o matematiche, chi ascoltando, chi meditando.

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La Battaglia di Cascina (Michelangelo) https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-cascina-michelangelo/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-cascina-michelangelo/#respond Wed, 18 Dec 2013 22:06:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9040 Nell’agosto 1504 Michelangelo Buonarroti riceve dal gonfaloniere della repubblica, Pier Sederini, l’incarico di affrescare, nella Sala del Gran Consiglio in Palazzo Vecchio, la Battaglia di Cascina. Dopo i primi saggi giovanili, è la prima volta che l’artista affronta l’impegno di una grande pittura murale.

Battaglia di Cascina

La battaglia era avvenuta nel 1364 contro i pisani. Il 29 luglio dello stesso anno, oppressi dal caldo estivo, i soldati fiorentini, spogliatesi delle armi e delle vesti, si erano tuffati nelle acque dell’Arno.

Battaglia di Cascina - Michelangelo
Michelangelo Buonarroti: la Battaglia di Cascina (1505-1506 circa)

Michelangelo si limita a disegnare l’episodio in cui i soldati fiorentini si rivestono frettolosamente, senza mai iniziarne la realizzazione pittorica sulla parete.

Il cartone andò perduto. Michelangelo aveva rappresentato l’ansia dei soldati nella fretta di rivestirsi, mentre qualcuno sta ancora arrampicandosi sulle sponde del fiume.

Curiosità

L’opera fu oggetto di ammirazione e studio fin dalla sua genesi. Il cartone venne trasferito nel 1508 nella sala in cui era destinato e poi verso il 1512 in Santa Maria Novella, infine, entro il 1515, in palazzo Medici.

Qui, verso il 1550, a causa della sua popolarità e dei numerosi trasferimenti, risultava già diviso in pezzi, finiti poi presso vari proprietari; infine tali pezzi vennero distrutti in periodi imprecisati.

Vasari ricorda l’ammirazione ossessiva che dell’opera ebbe il giovane Baccio Bandinelli; questi, desideroso di di emulare il vigore e la forza dinamica dell’originale, per studiare l’opera si procurò una chiave di palazzo Medici che visitò giorno e notte: dopo avere sottratto dei pezzi, arrivò a stracciarli per la rabbia dei suoi insuccessi.

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Il cenacolo (o Ultima Cena): opera di Leonardo https://cultura.biografieonline.it/cenacolo-leonardo/ https://cultura.biografieonline.it/cenacolo-leonardo/#comments Fri, 29 Nov 2013 13:59:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8825 Durante il periodo del suo soggiorno milanese, Leonardo da Vinci fra il 1495 e il 1497 dipinge una delle sue opere più celebri: “L’Ultima Cena” (o Cenacolo). Il momento rappresentato è quello che segue l’annuncio di Cristo agli apostoli: “uno di voi mi tradirà“. Gli apostoli si chiedono chi sarà il traditore. La disposizione trasversale della tavola e dei commensali deriva da noti precedenti fiorentini, ma l’interpretazione del fatto è tuttavia diversa: non si tratta della meditazione sulle parole del maestro, ma dell’agitazione, dello sconcerto, della discussione.

Leonardo da Vinci, cenacolo (Ultima cena)
Il Cenacolo leonardesco: tempera forte su marmo; 4,20 x 9,10 metri. Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie.

Ognuno degli apostoli reagisce in modo diverso: ne nasce una straordinaria mobilità psicologica. Leonardo riesce con la sua pittura anche a rendere visibili i sentimenti dei personaggi, ciò evitando ripetizioni: ogni uomo, e qui sviluppa un’idea del rinascimento, è una persona diversa da ogni altra.

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Analisi

Nel momento rappresentato nel Cenacolo di Leonardo, i dodici apostoli si dividono in quattro gruppi di tre ciascuno: fra essi c’è Giuda (il quarto da sinistra), con un gomito appoggiato sul tavolo, rivolto verso Cristo, ed è rappresentato in ombra, turbato perché colpevole (ancora non è sotto accusa). I quattro gruppi formano approssimativamente delle piramidi concatenate fra loro; e piramidale è anche, al centro, Gesù, rappresentato con le braccia allargate in segno di dedizione, isolato rispetto agli apostoli. Il significato espresso è quello dell’uomo che è solo nel momento in cui affronta il sacrificio supremo.

Leonardo ha la consapevolezza di chi sa che Gesù sarà abbandonato da tutti, ma contemporaneamente ne rappresenta la serenità di chi ha accettato con coscienza una missione che sta per volgere al termine. C’è dunque uno stacco non indifferente tra la appassionata concitazione degli altri e la blasonata calma di lui.

La sala è dipinta con prospettiva lineare; non vi è  uno spazio interno, di conseguenza la possibilità di usare la prospettiva aerea, così Leonardo definisce nell’Ultima Cena la profondità per mezzo della convergenza delle linee verso il punto di fuga: delineate dai lati della tavola, dai ricami della tovaglia, dai riquadri a cassettoni del soffitto e, in particolare, dal bordo superiore degli arazzi appesi alle pareti. Tuttavia, oltre alle finestre aperte, nella luce rosata del tramonto, torna la distesa profonda degli spazi.

L’illuminazione dei commensali è orientata in maniera normale da sinistra, dal fondo, invece, proviene un “controluce”, che contribuisce a dare morbidezza alla testa di Gesù e, come sostituendo l’antica aureola, gli conferisce la sua divinità.

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