Commenti a: La costellazione di Orione, il guerriero che illumina l’inverno https://cultura.biografieonline.it/la-costellazione-di-orione/ Canale del sito Biografieonline.it Tue, 01 Oct 2024 12:36:54 +0000 hourly 1 Di: Giovanni Battista Belzoni e la scoperta dell'ingresso della piramide di Chefren in Egitto https://cultura.biografieonline.it/la-costellazione-di-orione/#comment-18998 Tue, 01 Oct 2024 12:36:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=239#comment-18998 […] Secondo questa ipotesi, teorizzata da Robert Bauval, ingegnere nato in Egitto ed appassionato di egittologia, la disposizione delle tre piramidi della piana di Giza è l’esatta raffigurazione al suolo delle tre stelle corrispondenti alla cintura di Orione, nella omonima costellazione. […]

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Di: Il mito di Orione https://cultura.biografieonline.it/la-costellazione-di-orione/#comment-13911 Sun, 05 Dec 2021 18:21:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=239#comment-13911 […] Proviamo a far prendere forma al poderoso guerriero di cui abbiamo parlato nell’articolo La costellazione di Orione. […]

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Di: Le costellazioni zodiacali https://cultura.biografieonline.it/la-costellazione-di-orione/#comment-9121 Thu, 20 Apr 2017 15:22:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=239#comment-9121 […] La costellazione di Orione, il guerriero che illumina l’inverno […]

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Di: LA COSTELLAZIONE DI ORIONE : TRA MITO E SCIENZA | Misteri e Controinformazione - Newsbella https://cultura.biografieonline.it/la-costellazione-di-orione/#comment-7806 Fri, 08 Jan 2016 11:41:07 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=239#comment-7806 […] 8 gennaio 2016 admin Di Annalisa Ronchi La tendenza insita nell’uomo di razionalizzare e dare un senso a tutto ciò che lo circonda, spinse i nostri antenati a “collegare” in costellazioni le migliaia di luci che rischiarano il paesaggio celeste notturno. Spesso non c’è nessuna rassomiglianza tra le costellazioni e le figure di cui portano il nome ma queste sagome sono simboliche allegorie, sono le personificazioni di dei, di animali sacri, di racconti ed in ultima analisi, dei sogni degli uomini. Una delle più grandi e splendenti costellazioni del cielo è la costellazione di Orione, la cui parte ben visibile è costituita da un grande quadrilatero che comprende due stelle di prima grandezza, Betelgeuse (una supergigante rossa con un diametro che varia tra le 300 e le 400 volte il diametro del Sole ed una distanza da noi di 310 anni luce) e Rigel (una supergigante bianco-azzurra distante da noi 910 anni luce e con una luminosità pari a 57.000 volte quella del Sole), e da tre stelle allineate, da sinistra, Alnitak, Alnilam e Mintaka, rispettivamente z(zeta), e (epsilon), d (delta) Orionis. È utile ricordare che l’unità di misura astronomica “anno luce” è la distanza percorsa da un raggio di luce in un anno. La luce si muove con un velocità di 299.792, 458 chilometri al secondo, per cui un anno luce equivale a 9, 461 milioni di milioni di chilometri. Tutte le figure che rappresentano la costellazione di Orione, presentano un uomo che ha sul braccio sinistro un vello di copertura, o uno scudo, formato dall’arco delle stelle contrassegnate con la lettera p (pi greco), poste tra il quadrilatero e la stella Aldebaran del Toro, mentre con la mano destra brandisce una clava, formata dal gruppo di stelle che si inserisce a nord, tra i Gemelli e il Toro e che termina con le c (chi) 1 e 2. Anche altri popoli videro la forma di un gigante, gli arabi lo chiamarono infatti AL-GIAUZA e da loro provengono, dopo un lungo percorso, i nomi di diverse stelle. BETELGEUSE, a (alfa) Orionis per esempio, era (tradotto dall’Almagesto) Menkib-al-giauza, cioè la spalla del guerriero, poiché essa era posta su una spalla. Nei trattati latini invece fu introdotta con il nome di Mancamalganze o Malgeuze. Però gli arabi la chiamarono anche Yadal-giauza, cioè la mano del gigante, ed una traduzione del 1200 sbagliò l’iniziale interpretando la “Y” come “B”, così divenne Bedalgeuze. Scaligero la cambiò in Betelgeuse. In India questa stella marcava la 6ª stazione lunare, Andra, l’umido, in relazione al fatto che il suo sorgere era l’inizio della stagione delle piogge. La d (delta) Orionis è MINTAKA, la cintura, z (zeta) Orionis è ALNITAK, che avrebbe lo stesso significato; b (beta) Orionis è RIGEL, da Rijil al jauzeh, la gamba o il piede. In Norvegia rappresentava l’alluce del gigante Orwandil, mentre l’altro, che si era congelato, fu staccato dal dio Thor e gettato fra le stelle a nord, dove divenne la stellina Alcor, compagna di Mizar nella coda dell’Orsa maggiore. La i (iota) Orionis è chiamata Nair-al Saif, la brillante della spada. Di tutt’altra origine è BELLATRIX, g (gamma) Orionis, che significa la guerriera o forse l’amazzone, mentre ALNILAM, e (epsilon) Orionis, dovrebbe significare la cintura di perle. Lo splendido gruppo di stelle che costituisce la Costellazione di Orione è situata accanto alla Via Lattea, si estende da tutti e due i lati dell’equatore celeste e per questo è visibile in ogni parte del globo ed è così simile ad una figura umana che in ogni tempo e da ogni popolo è stato sempre identificato con una divinità, un eroe o un guerriero. Dal 425 avanti Cristo (a.C.), i Greci hanno scelto di identificarvici Orione, l’uomo più grande e bello del mondo, figlio di Euriale, la figlia di Minosse, re di Creta e di Poseidone, il dio del mare, dal quale ottenne il dono di poter camminare sulle acque, e raffigurato in cielo mentre, armato con una clava e rivestito con una pelle di leone, affronta un toro, rappresentato nella confinante costellazione, sebbene di questo combattimento non si fa parola nella loro mitologia. La nascita di questo asterismo è infatti molto più antica, risale ai Sumeri che l’associavano al grande eroe Gilgamesh, e chiamavano la costellazione URU.AN.NA (luce del cielo) e quella del toro GUD. AN.NA (toro del cielo). Sappiamo con certezza che Gilgamesh fu un giovane re di Uruk, appartenente alla prima dinastia (circa 2600 a.C.). La sua opera più famosa fu la costruzione delle mura di Uruk, come è menzionato nel poema “l’Epopea di Gilgamesh” e confermato da un successivo re della città, Anam, il quale, parlando della ricostruzione delle mura, le definisce “un’antica opera di Gilgamesh”. Il poema, formato da 12 tavolette di argilla trovate durante il secolo scorso a Ninive, tra le rovine del tempio di Nabu e della biblioteca di Assurbanipal, si apre con una breve dichiarazione sulle imprese e sulle fortune dell’eroe, un prologo che presenta Gilgamesh come un grande saggio e sapiente, come colui che fece un lungo viaggio alla ricerca dell’immortalità e che, esausto e rassegnato, tornò a casa e scrisse su una tavoletta tutto ciò che aveva fatto e sofferto. A questa presentazione fa seguito la storia vera e propria. Nella Tavoletta V, Gilgamesh ed il suo amico Enkidu uccidono un terribile gigante, Humbaba, quindi tornati a Uruk si lavano e indossano abiti puliti e una fusciacca. La bellezza di Gilgamesh colpisce la dea Ishtar, l’impetuosa e aggressiva dea babilonese della fecondità e dell’amore, nonché protettrice delle meretrici e dei luoghi dove si beveva birra: “… E la principessa Ishtar sollevò gli occhi alla bellezza di Gilgamesh Vieni da me, Gilgamesh, e sii il mio amante! Concedimi il dono del tuo seme! Sarai mio marito, ed io sarò tua moglie Preparerò per te un cocchio di lapislazzuli e oro Con ruote d’oro e corna di pietra “elmesu” Avrai come muli da tiro demoni “umu”! Entra nella nostra casa dal profumo di pino! Quando entrerai nella nostra casa La soglia meravigliosamente lavorata ti bacerà i piedi!…” Ma Gilgamesh non è tentato dalla dea ed elenca, con disarmante franchezza, le sventure che hanno colpito i suoi precedenti amanti, trattati dalla dea con estrema crudeltà, uccisi o torturati oppure trasformati in rane o in lupi. “… E da me cosa vuoi? Mi amerai e poi mi tratterai come loro!…” Ishtar, non abituata a sentir parlare con tanta sincerità, salì nell’alto dei cieli e chiese al padre Anu (il dio del cielo) il Toro del Cielo per distruggere Gilgamesh. Anu tentò di placarla, ma Ishtar si infuriò tanto da minacciare di rompere i cancelli dell’oltretomba e di lasciare liberi i morti. “Mi dirigerò nelle regioni infernali, solleverò i morti che divoreranno i vivi, e i morti supereranno in numero i vivi!” Le sue terribili minacce ebbero effetto sul padre, ed essa rientrò a Uruk tenendo in mano le redini del Toro del Cielo. Questo Toro era, per i popoli mesopotamici, il Toro del Paradiso. Davanti al fiume, il Toro sbuffò e nella terra si aprì un crepaccio in cui precipitarono centinaia di giovani guerrieri di Uruk. Sbuffò di nuovo e si aprì un altro crepaccio in cui caddero altri guerrieri. Quando sbuffò per la terza volta, un ulteriore crepaccio si aprì ed anche Enkidu vi cadde dentro. Prontamente balzò fuori, afferrò la coda del Toro per distrarlo, permettendo a Gilgamesh di affondare la sua spada nell’enorme collo del Toro. Quindi Enkidu squartò il toro e ne gettò i pezzi in cielo, contro Ishtar. Tale smembramento forse spiega come tutte le mappe stellari, anche le più antiche, rappresentano la costellazione del Toro solo con la parte anteriore dell’animale. Taurus è una delle più antiche costellazioni il cui muso è formato dall’ammasso stellare a forma di V noto come le Iadi, le quali segnavano, con il loro sorgere, l’inizio della stagione piovosa, da cui il nome che significa le piovose. Sono un brillante ammasso formato da circa 200 stelle vecchie ed evolute e distanti 150 anni luce. L’occhio del Toro è indicato dalla gigante rossa Aldebaran, distante da noi 68 anni luce e con un diametro 46 volte maggiore di quello del Sole. Aldebaran deriva dall’arabo Al Dabaran, che significa l’inseguitrice, infatti la stella “segue” il gruppo delle Iadi. Le punte delle lunghe corna sono rappresentate da b (beta) e z (zeta) Tauri. Vicino a z (zeta) nel 1054 si è verificata l’esplosione di una supernova la cui luminosità, secondo gli annali cinesi, fu visibile per alcune settimane anche di giorno, contrastando quindi anche la luminosità del Sole. Da quella esplosione ha avuto origine la nebulosa del granchio, M 1. Da un punto vicino ad e (epsilon) irradiano ogni anno le meteore Tauridi, raggiungendo un massimo di 12 meteore all’ora il 3 novembre. Inizialmente collegata con l’antica leggenda di Ares o Marte, la costellazione fu denominata, come già detto, Orione dai Greci, le cui radici del nome sono spiegate da Pindaro con Oarion, che significa guerriero. Il semidio è citato da Omero come un bellissimo cacciatore che osò offendere Artemide, la dea della caccia, affermando di esserle di molto superiore e di essere in grado di uccidere con facilità ogni genere di animale della terra. La dea, indignata, generò uno scorpione che lo punse a morte. In un’altra storia, che ci perviene da Arato, Orione avrebbe tentato di rapire Artemide, la quale causò una spaccatura del terreno dalla quale uscì lo scorpione. Ovidio invece ci dice che Orione venne ucciso nel tentativo di salvare Latona dallo scorpione… Comunque sia, il risultato è sempre stato lo stesso! La costellazione dello Scorpione è situata in una zona molto ricca della Via Lattea ed è una delle poche che effettivamente assomiglia alla figura che si suppone rappresenti. Il cuore è costituito da Antares, una supergigante rossa 300 volte più grande del Sole e distante 330 anni luce. Il nome significa rivale di Marte per il suo colore rosso vivo. Sia Orione che lo Scorpione furono poi portati in cielo ma collocati in zone opposte affinché il pungiglione dell’animale non potesse più insidiare il grande cacciatore. Infatti, quando le stelle dello Scorpione sorgono a est, Orione, sconfitto, tramonta ad ovest. La morte di Orione lasciò soli e disperati i suoi fedeli cani, Sirio e Procione, che ulularono per giorni e giorni fino a che Zeus non li trasformò in due costellazioni, rispettivamente il Cane maggiore e il Cane minore. Canis major contiene molte stelle brillanti che lo rendono una delle costellazioni più facilmente visibili: la sua stella più brillante, Sirio, dal greco sfavillante, una stella bianca distante 8, 7 anni luce è la più luminosa dell’intero cielo. Gli antichi Egizi basavano il loro calendario sul suo moto annuale intorno al cielo. Nel Cane maggiore si trova anche M 41 (NGC 2287), un grande ammasso stellare di circa 50 stelle distanti 2500 anni luce e che, in condizioni favorevoli, è visibile anche ad occhio nudo, tanto che era già noto ai greci. Canis minor, a parte Procione, una stella bianco-gialla distante 11, 3 anni luce, contiene pochi oggetti interessanti. In cielo Orione è rappresentato come inseguitore e persecutore delle Pleiadi, le sette ninfe figlie di Atlante e di Pleione, e per questo viene associato ad un altro mito: una notte, ubriaco, sull’isola di Chio, cercò di usare violenza a Merope, una di loro. Le sette sorelle furono mutate in colombe per poi volare in cielo, formando l’ammasso che porta il loro nome. Le leggende degli aborigeni australiani sono sorprendentemente simili. La maggior parte identifica le Pleiadi con un gruppo di giovani donne che fuggivano dagli indesiderati approcci di un cacciatore, il quale, in alcune versioni, fu castrato come punizione e avvertimento. Curiosamente, in Grecia, con il nome di Pleiadi erano chiamate anche le profetesse presenti a Dodona, dove esisteva una quercia consacrata a Zeus, della quale interpretavano il fruscio prodotto dal movimento del fogliame. M 45, meglio noto come Pleiades (le Pleiadi), è l’ammasso stellare più brillante e famoso di tutto il cielo, citato in ogni tempo, da Omero a D’Annunzio. Il nome è di origine greca e deriva da plein, cioè navigare, oppure da pleios cioè molti. Ad occhio nudo si possono vedere circa sette stelle, le quali sono Alcyone, e (eta), la più brillante, quindi troviamo Celaeno, Electra, Taygeta, Maia, Asterope, Merope, Atlas, Pleione, una stella con inviluppo esteso che emette anelli di gas a intervalli regolari, la cui luminosità fluttua imprevedibilmente. In realtà, dell’ammasso distante da noi 415 anni luce, fanno parte circa 250 stelle, comprese molte giganti blu, immerse in una debole luminosità, residuo della nube da cui si sono formate “soltanto” 50 milioni di anni fa. Il gesto di Orione suscitò l’ira di Enopione, o Oenopion, re di Chio, che lo fece accecare e bandire dall’isola. Costretto così ad allontanarsi, si diresse verso l’isola di Lemno, dove Efesto, impietosito dalla sua cecità, lo affidò alla guida di Cedalione, il quale lo condusse verso est e dove, arrampicatosi su un monte dell’isola di Lemno, si volse verso il sole nascente: la dea dell’alba Eos gli restituì la vista. Per gli indigeni Hawaiani, le Pleiadi erano collegate con il dio Lono, il dio dell’agricoltura, della fertilità e della pace. Il periodo dell’anno a lui dedicato era il mahahiki, che durava circa quattro mesi ed era annunciato dal sorgere annuale delle Pleiadi al tramonto. In questo periodo Lono ritornava e portava con sé le piogge fertilizzanti dell’inverno, mentre tutte le normali attività umane erano sospese per potersi dedicare a sport, giochi, canti e danze hula. Alcune di queste ultime, simbolizzando una copulazione cosmica, avevano lo scopo di eccitare il dio affinché fertilizzasse la terra. Anche se in modo diverso, anche per gli indiani Pawnee questi gruppi di stelle sono collegate tra loro: la costellazione di Orione rappresenta il grande capo Lunga Fascia, il quale dopo aver consultato il proprio popolo presso le due stelle più brillanti dei Gemelli (Castore e Polluce), lo condusse di vittoria in vittoria lungo la Via Lattea. Ora il suo corpo riposa nelle Pleiadi ed il suo cuore nel Presepe, M 44, il grande ammasso aperto formato da circa 75 stelle distanti da noi 520 anni luce, che si trova nella costellazione del Cancro. Il Cancro è la meno luminosa delle 12 costellazioni dello zodiaco, ma contiene molti oggetti interessanti, primo fra tutti il già citato ammasso del Presepe o Alveare, M 44, ma anche M 67, un’altro ammasso stellare più piccolo ma più denso del precedente formato da circa 60 stelle distanti da noi 2700 anni luce. Sia Orione che le Pleiadi sono due delle configurazioni più antiche, forse create insieme, anche perché furono utili agli agricoltori e ai naviganti. Orione venne chiamato da Virgilio, Plinio e Orazio il tempestoso ovvero l’annunciatore di pericoli in mare, forse perché appare durante l’inverno. La costellazione di Orione fu oggetto di molte attenzioni anche da parte degli Egizi, per i quali questo gruppo di stelle rappresentava Osiride, la principale divinità maschile che aveva dato origine alla civiltà nella terra del Nilo, mentre Iside era ritratta dalla brillante Sirio. Anche il dio solare Horus è immortalato in Orione, posto sulla barca sacra (la costellazione della Lepre), circondato da stelle e seguito da Sirio in forma di vacca, anch’essa su una barca. Secondo recenti studi, le piramidi della IV dinastia della piana di Giza, hanno, rispetto al fiume Nilo, la medesima posizione delle stelle della costellazione rispetto alla Via Lattea. Inoltre un condotto d’aria della Grande Piramide sembra essere allineato con le stelle della cintura di Orione. Alcune popolazioni hanno considerato una costellazione a sé, ciò che noi definiamo “la cintura di Orione”, come gli indiani Chinook che vedevano nelle tre stelle allineate una canoa o i popoli precolombiani che vi scorgevano una coppia di Mamalhuaztli, i bastoncini utilizzati per accendere il fuoco, o come la più antica popolazione del Nordeuropa, il popolo dei Lapponi, per i quali le tre stelle sono tre cacciatori (i figli di Galla) che inseguono una grande renna, rappresentata dall’insieme di molte costellazioni: Cassiopea, Perseo e Auriga. Sempre a cacciatori pensavano gli Inuit (gli eschimesi) che vedevano in queste tre stelle tre Siktut, i cacciatori di foche, che, dispersi durante una caccia furono trasferiti insieme nel cielo. Mentre alcune tribù aborigene dell’Australia chiamano la cintura “i giovanotti danzanti”, intenti a ballare la danza Corroboree per attirare l’attenzione delle ragazze, rappresentate dalle Pleiadi. In India è narrata una storia più completa: la costellazione di Orione è il Signore delle Creature, il dio Praiapati, nella sua metamorfosi come cervo Mriga che insegue, insanamente innamorato, la propria figlia, la bellissima Roe Rohini (la stella Aldebaran) salvata dal cacciatore celeste Lubdhka (la stella Sirio) che scaglia con il suo arco, una freccia che uccide Mriga. La freccia è ancora piantata nel corpo del cervo ed è rappresentata dalle tre stelle della cintura. La costellazione di Orione è uno scrigno colmo di oggetti interessanti, tra questi la famosissima M 42, la grande Nebulosa di Orione che costituisce la parte centrale della spada del gigante, la quale si snoda verticalmente a partire dalla cintura. Si tratta di una gigantesca nebulosa ad emissione, costituito di gas e polveri visibile ad occhio nudo per la sua estensione ed è illuminata dal sistema di stelle denominato il Trapezio e la sua luce è dovuta principalmente proprio alla fluorescenza prodotta dalla radiazione ultravioletta emessa da queste stelle. Le sue dimensioni reali appaiono essere più di ventimila volte le dimensioni del Sistema Solare. Vicino è presente la nebulosa Fiamma (NGC 2024), un’area splendente di gas che circonda la stella z (zeta) Orionis. A sud c’è una striscia di nebulosità su cui si staglia la famosa nebulosa Testa di Cavallo (B33), una nube oscura di polveri dalla caratteristica forma di “cavallo degli scacchi”. Osservando il cielo, riapriamo ogni volta un libro di figure scritto dalla fantasia di uomini vissuti migliaia di anni fa, libro completato dagli astronomi moderni che all’elenco di dei e di eroi, hanno aggiunto soggetti ugualmente affascinanti, cui hanno dato i nomi di: giganti rosse, nane bianche, pulsar, quasar, buchi neri. Ora sta in noi uscire all’aperto per osservare con i nostri occhi le meraviglie che vi sono descritte. FONTE: planet.racine.ra.it antikitera.net FOTO:https://cultura.biografieonline.it […]

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