Giovanni Di Maggio, Autore presso Cultura https://cultura.biografieonline.it/author/giovanni-di-maggio/ Canale del sito Biografieonline.it Wed, 25 Oct 2023 08:11:36 +0000 it-IT hourly 1 Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: riassunto https://cultura.biografieonline.it/ragazzi-zoo-berlino-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/ragazzi-zoo-berlino-riassunto/#respond Fri, 15 Apr 2016 17:38:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17895 Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (Wir Kinder vom Bahnof Zoo), è un libro autobiografico pubblicato da Christiane Vera Felscherinow, meglio conosciuta come Christiane F., un’ex tossicodipendente che nel corso del 1978, per circa due mesi, quando era sia imputata che testimone ad un processo per detenzione e spaccio di droga, raccontò la sua storia a due giornalisti del settimanale “Stern“, Kai Hermann e Horst Rieck.

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – copertina italiana del libro

La denuncia, in realtà, era a carico di Heinz W., un rappresentante di commercio maturo, che era solito frequentare delle giovanissime prostitute, tra cui Christiane e la sua inseparabile amica quattordicenne Babette Doge.

Pubblicato inizialmente a puntate sul settimanale tedesco “Stern“, il libro sulle vicende di Christiane F. suscitò non poco scalpore, soprattutto per la giovanissima età dei protagonisti, tossicodipendenti gestiti da adulti, affetti da evidenti disturbi psichici, pronti a tutto, anche a vendere il proprio corpo, pur di procurarsi la propria dose quotidiana. Il titolo originale del libro, infatti, fa riferimento a bambini piuttosto che a ragazzi.

Il libro

Per vedere il libro pubblicato nella sua versione integrale, bisogna però aspettare il 1979 quando la Flescherinow, per via delle sue vicende, diviene famosa in tutto il mondo, riuscendo anche a far volgere lo sguardo dell’opinione pubblica sulle problematiche della droga e della prostituzione nel mondo giovanile.
In Italia, la pubblicazione di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” avviene nel 1981, quando la casa editrice Rizzoli decide di far tradure il romanzo autobiografico di Christiane F. dalla giornalista Roberta Tatafiore.

Gli errori dell’edizione italiana

La versione italiana presenta però degli errori nell’indicazione di alcuni luoghi di Berlino, e una scelta stilistica assai diversa rispetto all’opera originale, che conteneva anche delle foto crude delle vicende dei suoi protagonisti.
Riuscitissimo è invece l’accostamento tra la locazione, la stazione vicino il giardino zoologico di Berlino, e la metafora del serraglio, luogo di aggregamento dei giovani sventurati protagonisti del libro, fatto nel titolo.

Un successo mondiale

Il libro viene presto tradotto in molte lingue e diviene, nel giro di pochissimo tempo, un vero e proprio successo mondiale, in quanto simbolo di una generazione che, più di tutte, è vittima e schiava dell’eroina. Nel 1981 dal libro della Felscherinow viene anche tratto un film che, pur non seguendo fedelmente la trama del libro, riscuote un enorme successo in tutto il mondo, sia di critica che di pubblico.

Christiane F. (Christiane Vera Felscherinow)
Una foto di Christiane F. (Christiane Vera Felscherinow), autrice del romanzo autobiografico “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: trama del libro

Il racconto di Christiane F. descrive descrive con particolare enfasi le tappe principali della sua vita: dal trasloco da Amburgo al sobborgo berlinese di Gropiusstadt alla sua infanzia difficile, dalla violenza del padre alla separazione dei genitori, per finire con l’iniziazione all’eroina in un oratorio protestante prima, e nella discoteca berlinese Sound dopo.

Christiane trascorre un’infanzia difficilissima. Costretta per anni a subire le violenze da parte del padre, un po’ alla volta si avvicina ad un mondo diverso dal suo e per questo affascinante: quello della droga.

Le tristi vicende della protagonista iniziano alla tenera età di dieci anni, quando la madre, trovata la forza di separarsi dal padre, si trasferisce insieme al compagno Klaus in un piccolo sobborgo di Berlino. Qui, la piccola Christiane inizia a frequentare un circolo ricreativo gestito dalla Parrocchia, chiamato “Hauss der mitte“, dove per la prima volta comincia a far uso di stupefacenti. Nello stesso periodo comincia a frequentare la scuola a Berlino dove conosce una ragazza, Kessi, che diventerà la sua migliore amica, insieme alla quale comincia il suo calvario nel tunnel della droga.

Le cose stavano così che l’uno vedeva nell’altro la merda che lui stesso era. Uno vedeva il proprio squallore e rimproverava all’altro lo stesso squallore per dimostrare a se stesso di non essere tanto squallido come l’altro.

A soli dodici anni comincia a fumare hascisc, bere alcolici e a far uso di acidi e pasticche insieme ai suoi nuovi amici, tra i quali spicca la figura del suo primo amore Detlef.
Ed è proprio per via di queste nuove frequentazioni che le semplici pasticche cominciano a non bastarle più e che la giovanissima Christiane inizia a spingersi sempre più oltre, alla ricerca di qualcosa di più forte ed inebriante.

Ecco quindi che decide di cominciare a far uso anche di eroina, dapprima sniffandola e poi iniettandola direttamente nel suo corpo per endovena. L’alto costo di questa sostanza la costringe però a prostituirsi e quindi a frequentare assiduamente la metropolitana della zona più malfamata di Berlino: il Banhof Zoo. In questo luogo tetro riesce ogni giorno a procurarsi il denaro sufficiente per due o tre dosi di eroina.

Finale

Tutto ciò dura finché un giorno la giovanissima protagonista, chiusa nel bagno di casa per iniettarsi la dose quotidiana di eroina, viene scoperta dalla madre che, in preda al rimorso per averla sempre trascurata, decide di aiutare la figlia ad uscire dal tunnel della droga.

Christiane tenta quindi la via della disintossicazione, ma a Berlino l’impresa si rivela ancora più ardua di quanto potesse pensare. Per questo motivo, la madre decide di mandare la figlia a vivere a casa di una zia che vive lontano dalla capitale tedesca. Qui la piccola Christiane ha modo di cominciare una nuova vita circondata dall’affetto dei propri familiari e da quello di amici sinceri, ma soprattutto dall’oscuro mondo della droga.

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Fontana (opera di Duchamp) https://cultura.biografieonline.it/fontana-duchamp/ https://cultura.biografieonline.it/fontana-duchamp/#comments Sat, 27 Feb 2016 17:23:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16909 Fontana è un’opera realizzata nel 1917 da Marcel Duchamp. Si tratta di una realizzazione di tipo ready-made, ovvero pronta all’uso, che non venne mai esposta al pubblico e che dopo qualche tempo venne anche perduta. Nella fattispecie, si tratta di un comunissimo orinatoio, realizzato da Duchamp, firmato “R. Mutt” e chiamato Fontana, e ancora oggi viene considerato da alcuni storici dell’arte di fama mondiale, come una delle maggiori opere realizzate nel corso del XX secolo.

Fontana (Fountain) – L'orinatoio - opera di Marcel Duchamp, firmata come R. Mutt (1917)
Fontana (Fountain) – Opera di Marcel Duchamp, firmata come R. Mutt – L’originale del 1917 andò persa. Duchamp realizzò in seguito altre copie.

A partire dal 1946, ovvero dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quest’opera è stata replicata più volte, anche se l’originale mantiene sempre il suo unico, inimitabile, tratto distintivo.

Fontana: l’invenzione dell’opera

Intorno al 1915, un paio di anni prima di concepire Fontana, Marcel Duchamp arriva negli Stati Uniti dove entra a far parte, anche se in maniera tardiva, del Dada, un  movimento che sin dai suoi albori si presenta al grande pubblico come anti-razionale e anti-artistico.

In seguito a questa sua decisione, si dice, dopo aver acquistato un comunissimo orinatoio modello Bedfordshire a New York, comincia a delinearsi, nella testa di Duchamp, l’idea di Fontana. Pare infatti che dopo aver fatto ritorno nel suo studio, l’artista decise di ruotare di novanta gradi l’oggetto appena acquistato e di apporvi la firma “R. Mutt 1917“.

Secondo un’altra versione, invece, l’opera “Fontana” sarebbe frutto di una collaborazione. In una lettera del 1917, indirizzata alla sorella Suzanne, Duchamp avrebbe confessato di aver concepito un’opera ready-made grazie ad una sua amica, che gli aveva inviato un orinatoio con sopra apposta la firma dello pseudonimo “R. Mutt“.

Chi sia questa amica non è dato saperlo con certezza. Il dubbio, invece, è che si tratti dell’artista Elsa von Freytag-Loringhoven oppure di Luoise Norton che qualche tempo dopo scrisse un articolo dedicato all’opera sulla rivista dada “The Blind Man“.

La mancata esposizione

Pare inoltre che in quel periodo Duchamp fosse membro del consiglio della “Society of Indipendent Artists” e che dopo un lungo dibattito con gli altri associati sull’artisticità di “Fontana“, si decise di non mostrare l’opera al grande pubblico durante quella che sarebbe dovuta essere la sua prima esposizione. E fu proprio in seguito a tale decisione che, in segno di protesta, l’artista decise di dimettersi dalla commissione.

La prima apparizione di “Fontana” avvenne invece attraverso l’articolo pubblicato da Luoise Norton sul secondo e ultimo numero di “The Blind Man“, corredato di una foto di Alfred Stieglitz intitolata, in segno di protesta, “The exhibit refused by the indipendents“.

In questo articolo, che si rivelò molto importante per la carriera a venire di Duchamp, si leggeva:

“Se Mr. Mutt abbia fatto o no la fontana con le sue mani non ha importanza. Egli l’ha SCELTA. Ha preso un comune oggetto di vita, l’ha collocato in modo tale che un significato pratico scomparisse sotto il nuovo titolo e punto di vista; egli ha creato una nuova idea per l’oggetto. Le uniche opere d’arte che l’America ha dato sono le sue tubazioni e i suoi ponti”.

Su di sé  e la sua opera, invece, Duchamp diceva:

Ho avuto l’intento di spostare l’attenzione e l’interpretazione artistiche dall’aspetto fisico a quello intellettuale.

Questa però fu l’unica presentazione di “Fontana” che non è mai stata esposta in pubblico.

Lo smarrimento di Fontana e le repliche

Poco tempo dopo questa presentazione, l’opera venne perduta. Secondo Calvin Tomkins, l’orinatorio fu gettato nella spazzatura da Stieglitz, ma questa fu una sorte che capitò a molte delle prime opere ready-made di Duchamp.

Nel corso degli anni vennero però realizzate diverse repliche dell’opera. La prima venne autorizzata dallo stesso artista nel 1950 per una mostra che si tenne a New York. Altre due copie vennero invece realizzate nel 1953 e nel 1963. L’annoo seguente, invece, lo stesso Duchamp ne commissionò altre otto.

Tutte queste copie di Fontana vennero distribuite in diversi musei del mondo come per esempio: L’Indiana University Art Museum, il San Francisco Museum of Modern Art, il Philadelphia Museum of Art, la National Gallery of Canada, il Centre Georges Pompidou, la Tate Modern e la Scottish National Gallery of Modern Art. Le ultime otto repliche vennero realizzate utilizzando una ceramica dipinta e lucidata, così che potesse somigliare il più possibile all’opera originale. La firma apposta era invece in vernice nera.

Nel 2006 una replica di Fontana venne danneggiata nel corso di una mostra organizzata al Centre Pompidou da un artista di nome Pierre Pinocelli. Il suo intento era quello di rendere omaggio a Duchamp ma, visto che nessuno lo credette, venne ugualmente tratto in arresto.

Dopo questo danneggiamento, in diverse occasioni, numerosi artisti urinarono nella Fontana di Duchamp in segno di omaggio. Tra questi spiccano personalità come quella di Kendell Geers, Brian Eno e il duo composto da Yuan Cai e Jian Jun XI.

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Oblomov (romanzo di Goncarov) https://cultura.biografieonline.it/oblomov-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/oblomov-riassunto/#comments Tue, 27 Oct 2015 10:41:07 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15468 “Oblomov” è un romanzo del 1859, scritto dall’autore russo Ivan Aleksandrovic Goncarov. Esso racconta le vicende di Il’ja ll’ic Oblòmov, un proprietario terriero (la sua tenuta, abitata da circa 350 mila persone, è chiamata Oblòmovka), che vive la sua vita all’insegna dell’ozio e della più totale forma di inattività, sia fisica che mentale.

Oblomov
Oblomov (immagine tratta da un’edizione inglese del romanzo di Goncarov)

La giornata tipica di Oblòmov si svolge tra un letto ed un divano, in compagnia di poche persone, tra le quali, senza alcun dubbio, spicca la figura di Zachar, suo pigro ma fedele servitore, senza l’ausilio del quale non riesce nemmeno ad allacciarsi le scarpe.

Prima di questo libro, lo scrittore russo aveva realizzato un’altra opera, “Il burrone” che, visti gli argomenti trattati, ovvero la descrizione di una vita patriarcale di una nonna tirannica, descritta in termini critici attraverso l’uso di un particolarissimo tema in voga in quegli anni, il nichilismo, aveva già reso noto il nome di Aleksandrovic Goncarov tra i maggiori scrittori di tutta la Russia e non solo.

La triste e oziosa vita di Oblòmov

Il protagonista del romanzo vive in una trascuratissima e disordinatissima casa di San Pietroburgo. E’ un ex impiegato che, dopo aver commesso un errore sul posto di lavoro, ha deciso di rassegnare le dimissioni ancor prima di conoscere quali sarebbero potute essere le conseguenze, solo per la paura della possibile reazione del suo capoufficio. Una scelta non proprio sensata, ma che gli permette comunque di riuscire a sopravvivere grazie alla rendita che gli è garantita dalla sua ricca tenuta di Oblòmovka (rendita che, fra le altre cose, non gli frutta quanto dovrebbe, in quanto il suo disinteresse per gli affari permetteva ai suoi  contadini e agli amministratori della sua terra di godere di una larghissima indipendenza, anche e soprattutto quando si trattava di ingannarlo sull’effettivo rendimento delle loro colture).

Apatico e disinteressato, Oblòmov ha pochi rapporti umani costituiti da: il bonario Alekséev, il viscido Tarànt’ev e l’adorato amico Andéj Ivanovic Stolz.

La figura di Stolz

Ed è proprio la figura di quest’ultimo ad essere di fondamentale importanza nella vita di Oblòmov, poiché egli è l’unica persona che cerca costantemente di risvegliare l’amico dal suo torpore esistenziale (dall’Oblomovismo, come egli stesso lo definisce).

Un’impresa alquanto ardua e faticosa, quella di Stolz, che, seppur per poco tempo, riesce comunque a dare i suoi frutti. Infatti, proprio grazie al suo aiuto, Oblomòv conosce Ol’ga, una giovane ragazza della quale si innamora perdutamente, che fa di tutto per evitare che il suo uomo cada di nuovo nell’indolenza e nell’inattività, le due principali caratteristiche che fino ad allora avevano contraddistinto la sua intera esistenza.

L’inganno di Tarànt’ev

Peccato, però, che nel frattempo qualcuno stesse tramando alle sue spalle. Infatti a causa di alcune infami macchinazioni del viscido Tarànt’ev , il povero Oblòmov si ritrova legato ad un contratto, o meglio una truffa, di affitto di una casa che si trova nella vicina contea di Vyborg. Una casa gestita dalla vedova Agàf’ja Matveèvna e dal fratello Ivàn, amico e compagno di truffe di Tarànt’ev, che finalmente era riuscito nel suo intento di mandare in rovina il protagonista del romanzo.

La disperazione di Oblòmov

Così, schiacciato dai debiti, contratti per via di una condotta fin troppo avventata, Oblomòv porta alla disperazione la sua amata Ol’ga, alla quale non può più chiedere di sposarlo ed iniziare una nuova vita insieme a lui. I due si lasciano e l’ormai ex ricco possidente si ritrova a vivere nuovamente il suo vecchio stile di vita all’insegna dell’ozio e dell’inattività.

Passato un po’ di tempo Oblòmov inizia una storia d’amore con Agàf’ja Matvèevna, mentre l’amico di sempre, Stolz, si fidanza con Ol’ga, incontrata per caso a Parigi.

Ivan Goncarov
Ivan Goncarov

Epilogo

Ancora una volta sarà proprio Stolz a risollevare Oblòmov dal suo torpore esistenziale, facendosi nominare amministratore di Oblòmovka e salvando così l’amico dai due perfidi truffatori, che fino ad allora non avevano fatto altro che ingannarlo e raggirarlo per ottenere dei vantaggi economici personali.

Il protagonista del romanzo vive gli ultimi anni della sua vita accanto ad Agàf’ja Matvèena, con la quale si sposerà ed avrà un figlio, che chiamerà Andrej proprio in onore del fedele amico di sempre Stolz. E sarà proprio a lui, che nel frattempo si era sposato con Olga, dalla quale aveva avuto due figli, che la moglie di Oblòmov, Agàf’ja, affiderà il piccolo Andrej, affinché crescesse colto e forte, e non indolente e apatico come Oblòmov.

Oblomov - film
Oblomov (film del 1979)

Oblomov al cinema

Dal libro è stato tratto un film del 1979 di Nikita Maùichalov, che narra le vicende di un ricco proprietario terriero che, segnato da una profonda forma di inerzia, sia fisica che spirituale, rinuncia nel corso della sua vita ad ogni forma di lotta.

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Cristo Morto (opera di Andrea Mantegna) https://cultura.biografieonline.it/cristo-morto-mantegna/ https://cultura.biografieonline.it/cristo-morto-mantegna/#respond Mon, 26 Oct 2015 17:05:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15470 Il “Cristo Morto” (conosciuto anche come “Lamento sul Cristo morto” o “Cristo morto” e tre dolenti) è uno tra i più celebri dipinti di Andrea Mantegna, realizzato con tempera su tela, risalente al periodo compreso tra il 1475 e il 1478.

Cristo Morto - Mantegna
Cristo Morto, celebre quadro di Andrea Mantegna

Conservata oggi all’interno della Pinacoteca di Brera di Milano, quest’opera è particolarmente conosciuta e apprezzata per l’incredibile scorcio prospettico della figura del Cristo disteso che sembra seguire lo sguardo dello spettatore che, scorrendo davanti al quadro, fissa la tela a partire dai piedi.

Considerato uno dei capolavori artistici del Mantegna, questo dipinto ha una forza espressiva e allo stesso tempo una compostezza severa, e senza eguali,  che ne fanno senza alcun dubbio uno dei simboli più rappresentativi del Rinascimento italiano.

La storia del dipinto

Il “Cristo Morto” del Mantegna risale molto probabilmente al periodo compreso tra il 1475 e il 1478. Ma questa al momento è solo una delle ipotesi più accreditate, in quanto non si conosce ancora una datazione precisa, perché quest’opera risale ad un cinquantennio di produzione mantegnesca che va dall’era mantovana alla morte dell’artista.

In ogni caso questo celebre dipinto viene messo in relazione alla “Camera degli Sposi“, altro capolavoro di Andrea Mantegna, realizzato tra il 1465 ed il 1474, per via del suo contenuto illusionistico e della prospettiva utilizzata, molto più evoluta rispetto alle tecniche fino ad allora conosciute.

Una strana curiosità

Un “Cirsto in scurto”, destinato molto probabilmente alla devozione privata del Mantegna, è citato tra le opere rimaste all’interno della bottega del pittore dopo la sua morte, avvenuta nel 1506. Poco dopo però lo stesso dipinto veniva acquistato dal cardinale Sigismondo Gonzaga, nel 1507, e tutt’ora non è chiaro se si trattasse della stessa opera o di una fedele imitazione realizzata da un altro artista, anche se l’opera del cardinale appare piuttosto uguale a quella oggi esposta a Brera. Tuttavia, dopo diversi anni di studi e ricerche, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che le opere del “Cristo Morto” realizzate dal Mantegna fossero in realtà due.

Il percorso successivo della tela, che è passata attraverso le corti di diversi Re e Cardinali, è infatti documentato in maniera soltanto parziale e alquanto confusa.

Il pellegrinaggio della tela

Secondo alcune ricostruzioni essa sarebbe appartenuta, intorno al 1531, a Margherita Paleologa, futura sposa di Federico II Gonzaga. Nel XVII secolo, invece, l’opera si sarebbe sdoppiata perché nel 1603 era elencata tra i quadri di Pietro Aldobrandini mentre un secondo quadro, nel 1627, è elencato tra le proprietà di Ferdinando Gonzaga. Successivamente, secondo alcune ricostruzioni, la stessa tela sarebbe stata venduta, nel 1628, a Carlo I d’Inghilterra, assieme ai dipinti più prestigiosi dei Gonzaga. L’ultima traccia del “Cristo Morto” risale invece al mercato antiquario ed alla raccolta del cardinale Mazzarino. Da allora se ne persero le tracce per circa un secolo, finché nel 1806 il segretario dell’Accademia di Brera, Giuseppe Bossi, chiedeva ad Antonio Canova, il celebre autore di “Amore e Psiche“, di mediare per l’acquisto del suo “desiderato Mantegna”, che giunse in Pinacoteca nel 1824.

Le altre versioni del Cristo Morto

Una seconda versione del Cristo Morto del Mantegna  è invece riconosciuta in una collezione privata di Glen Head, ma gli studiosi più esperti la ritengono una copia modesta della tela originale ad opera del genio di Andrea Mantegna.

Cristo Morto - Glen Head
La copia del “Cristo Morto” di Glen Head

Tuttavia in essa non sono rappresentati i tre dolenti al capezzale del Cristo, che alcuni ipotizzano essere stati inseriti solo successivamente dall’autore, e sono presenti altre varianti che la rendono simile e allo stesso tempo del tutto differente dal famoso dipinto tardo-cinquecentesco.

Esiste inoltre un disegno a penna di un uomo giacente su una lastra di pietra, che attualmente si trova nel Trustee del British Musum di Londra, che presenta anch’essa alcune profonde similitudini con il capolavoro del Mantegna.

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