Cristiana Lenoci, Autore presso Cultura https://cultura.biografieonline.it/author/cristiana-lenoci/ Canale del sito Biografieonline.it Thu, 18 Dec 2025 09:35:19 +0000 it-IT hourly 1 Prometeo, il mito https://cultura.biografieonline.it/prometeo/ https://cultura.biografieonline.it/prometeo/#comments Thu, 18 Dec 2025 07:55:39 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23926 I personaggi mitologici esercitano il loro fascino anche sull’uomo moderno. La mitologia antica richiama modelli universali, archetipi dell’umanità aldilà di ogni limite geografico e storico, quindi sempre validi. I miti rappresentano le forze che popolano il mondo interiore degli esseri umani e le esperienze fondamentali che questi affrontano durante la loro esistenza terrena: il bene, il male, il rapporto con la Natura, il cambiamento, l’amore, l’odio. Tra i personaggi mitologici più conosciuti vi è Prometeo, che è a metà strada tra un dio e un uomo e non appartiene del tutto alla categoria degli Dei Olimpici.

Discendenza di Prometeo ed origine del suo nome

Prometeo è un Titano come il padre Giapeto (fratello di Cronos), ma non appartiene alla stirpe degli Dei dell’Olimpo. Il nome Prometeo deriva da “pro- metis” (il preveggente, colui che pensa prima degli altri). Per quanto riguarda la donna che mise al mondo Prometeo, la tradizione greca non ha elementi univoci: c’è chi riferisce il nome di Climene e chi invece quello di Asia, figlia di Oceano.

Prometeo
Prometeo porta il fuoco al genere umano – Dettaglio tratto da un’opera di Friedrich Heinrich Füger, 1817 (Neue Galerie, Kassel, Germania)

L’alter-ego di Prometeo è il fratello Epimeteo, che a causa della sua impulsività e mancanza di razionalità viene ingannato da Zeus. Oltre ad Epimeteo, la tradizione mitologica attribuisce altri due fratelli a Prometeo: Menezio e Atlante. Fra i tre, Prometeo si distingue per astuzia e scaltrezza e si schiera sempre con gli esseri umani contro gli Dei, rappresentati dal Divino Zeus, che per questo è puntualmente adirato con lui.

Prometeo e il destino degli uomini

Il mito di Prometeo si ricollega direttamente alla nascita dell’umanità e alla conseguente frattura tra gli Dei e gli uomini. Vi era infatti un tempo in cui questi vivevano insieme senza alcuna discordia.

Un giorno però tra gli dei e gli uomini nasce una discussione circa la spartizione delle parti di un toro. Zeus, chiamato ad intervenire per risolvere la questione, pensa di affidare la decisione al saggio Prometeo.

La spartizione dell’animale non rappresenta un’operazione puramente tecnica, in quanto segna il netto confine tra la condizione degli Dei e quella degli uomini. Su Prometeo incombe il compito assai gravoso di definire l’esatta frontiera tra il mondo degli Dei e quello degli uomini.

L’inganno di Prometeo a Zeus

Prometeo procede con estrema cura alla pulizia dell’animale, taglia la carne, raccoglie le ossa e nasconde la parte più polposa all’interno del ventre sporco e viscido del toro. Poi ne ricava due pacchetti e li sottopone al vaglio di Zeus, che opta per la parte di carne che in apparenza sembra più appetitosa e di colore chiaro. Una volta aperto il pacchetto, però, Zeus si rende conto di essere stato ingannato, in quanto l’involucro contiene soltanto ossa, ben pulite e astutamente raccolte. L’ira di Zeus verso Prometeo a questo punto è incontenibile.

Il fuoco e le conseguenze dell’inganno

A seguito dell’inganno di Prometeo, Zeus decide di sottrarre agli uomini uno dei beni più preziosi, il fuoco. Questo fa ripiombare l’umanità ad un livello inferiore, più simile a quello delle bestie. Il fuoco è un elemento naturale che nella mitologia greca simboleggia la forza divina e rappresenta il potere della conoscenza che gli Dei avevano concesso agli uomini per raggiungere il progresso.

Prometeo

Oltre al fuoco, Zeus toglie agli uomini la disponibilità del grano, considerato la principale fonte di nutrimento e che, in passato, cresceva spontaneamente nei campi, senza alcuna fatica. D’ora in poi gli uomini saranno costretti a lavorare duramente per fare crescere il grano, scavando nella nuda terra e aspettando che i semi piantati germoglino per procedere alla raccolta.

Prometeo e il seme di fuoco

Prometeo, però, per riparare alla sventura arrecata agli uomini, si introduce nell’Olimpo e riesce a rubare un “seme di fuoco” e lo porta via in una canna senza essere visto. Il fuoco che Prometeo dona agli uomini non è però come quello divino. Essendo generato da un seme va sempre alimentato. Quando il Padre degli Dei si accorge che il fuoco è tornato a brillare nel mondo degli uomini, si adira tantissimo, e medita una vendetta furiosa. Infatti dopo poco tempo questi ordina ad Efesto, il Dio della metallurgia, di plasmare in argilla una forma femminile giovane e bella sulla quale le dee dell’Olimpo soffiano l’alito della vita per renderla in tutto per tutto simile ad una donna in carne e ossa.

Pandora, il vaso e i mali del mondo

Tale archetipo di donna si chiama Pandora, bellissima e adornata di gioielli splendenti, e somiglia ad una Dea. Dietro la sua bellezza disarmante si cela l’inganno. Per timore che l’ira divina possa colpire lo sprovveduto Epimedeo, Prometeo si fa giurare dal fratello di non accettare alcun dono proveniente dagli Dei. Ma quando la splendida Pandora gli fa visita, Epimedeo dimentica qualsiasi giuramento e si lascia sedurre dalla donna. Epimedeo prende in sposa Pandora e la fa vivere in casa sua.

Zeus intende portare a termine il suo piano di vendetta. Dice quindi alla donna di cercare in casa del marito una giara, che sia ben coperta e nascosta. Pandora si mette alla ricerca della giara appena il marito esce, e la trova in dispensa. Su suggerimento di Zeus, apre il coperchio per guardare cosa contiene, ma poi lo richiude subito come il Dio gli dice di fare.

Dalla giara escono fuori tutti i mali del mondo che, fino a quel momento, erano rimasti nascosti senza abbattersi sugli uomini: dolore, paura, povertà, morte, guerra, violenza. Solo l’attesa del futuro (“elpis”) resta intrappolata all’interno del contenitore, lasciando almeno agli uomini la possibilità di avere la speranza come unica consolazione. Da questo episodio nasce il mito del vaso di Pandora.

Prometeo e Chirone

La punizione nei confronti di Prometeo è abbastanza dura, dato che Zeus lo imprigiona su una montagna legandolo ad una colonna. Il povero Prometeo diventa la vittima dell’aquila di Zeus, che si ciba della sua carne. Ogni giorno il rapace divora il fegato di Prometeo che il giorno dopo gli ricresce per diventare nuovamente cibo per l’aquila.

A liberare Prometeo da questa triste sorte interviene il Centauro Chirone, che è immortale. Tra Prometeo e Chirone avviene uno scambio: il primo riceve da Chirone l’immortalità in cambio del suo diritto a morire. Il povero Chirone, ferito, soffre tantissimo fisicamente e vorrebbe mettere fine al suo dolore con la morte, ma essendo immortale non gli è concesso. Grazie a questo scambio Prometeo è finalmente libero.

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Kintsugi, arte giapponese che ripara ferite con l’oro: una metafora di vita. https://cultura.biografieonline.it/kintsugi-arte-giapponese-metafore/ https://cultura.biografieonline.it/kintsugi-arte-giapponese-metafore/#comments Mon, 11 Aug 2025 06:56:23 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=27597 L’antica arte Kintsugi viene dal Giappone e si ispira ai vasi riparati

Abbiamo tanto da imparare dai popoli dell’Oriente. L’antica arte giapponese del Kintsugi trasmette una preziosa lezione di vita rivolta a tutti, prendendo spunto dalla sapiente e antica tecnica di mettere in evidenza le fratture dei vasi rotti.

Kintsugi: i cocci di una ciotola riparati con l'oro
Kintsugi: i cocci di una ciotola riparati con l’oro

Kintsugi: in cosa consiste?

Noi occidentali siamo soliti buttare un vaso quando questo cade e si rompe, seppure a malincuore perché trattasi di un oggetto prezioso. In Giappone, invece, la rottura di una ciotola, di un vaso o di una teiera diventa un’occasione per renderli ancora più pregiati.

Proprio grazie alle fratture provocate dalla rottura, la pratica giapponese del Kintsugi aggiunge valore all’oggetto, evidenziando le linee e restituendogli una nuova opportunità.

Il termine giapponese “kintsugi” deriva da “kin” (che significa letteralmente “oro”) e “tsugi” (che sta per “ricongiunzione, riunione, riparazione”).

Kintsugi: due vasi riparati con polvere d'oro
Kintsugi: due vasi riparati con polvere d’oro. (Foto dal sito: francinesplaceblog.com)

Per rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto i giapponesi utilizzano un metallo prezioso (di solito oro o argento liquido oppure una lacca di polvere dorata). Quando i cocci si riuniscono vengono fuori alcune nervature che rendono più originale il pezzo.

Le cicatrici, anziché privare l’oggetto del suo valore, gli conferiscono un aspetto unico ed irripetibile. Le ramificazioni che si formano per la rottura vengono esaltate con l’applicazione del metallo. La tecnica del Kintsugi permette di realizzare vere e proprie opere d’arte partendo da un oggetto rotto, che per definizione è imperfetto.

Le origini del Kintsugi

Alcuni oggetti laccati sono stati rinvenuti circa 5.000 anni fa. Ciò significa che la tecnica Kintsugi affonda le sue radici nell’antichità. Da millenni i giapponesi utilizzano come sostanza collante la lacca urushi, che si può ricavare dalla pianta “Rhus verniciflua” (Albero della lacca, chiamata anche Lacca cinese).

Alcuni documenti accreditati fanno risalire l’origine di tale tecnica artistica al XV secolo. Si racconta che l’ottavo shogun Ashikaga Yoshimasa ruppe la propria tazza da tè e decise di farla riparare da alcuni esperti artigiani.

Questi applicarono alla tazza dello shogun la tecnica del kintsugi, riempiendone le fessure con resina e polvere d’oro.

Per riparare gli oggetti con questo metodo sono necessarie diverse fasi e inoltre il tempo di essiccazione può consistere in un mese o più.

Kintsugi: dettaglio di una saldatura con l'oro
Kintsugi: dettaglio di una saldatura con l’oro

Il Kintsugi e le sue Metafore per la Vita

Quante lezioni di vita possiamo apprendere dall’antica e sempre attuale arte del kintsugi! La prima, più importante di tutte, è che non si deve buttare un oggetto perché si rompe.

Recuperare un rapporto

Come il kintsugi restituisce nuova vita ad un oggetto rotto impreziosendo le fratture con il metallo prezioso, così nella vita dobbiamo cercare di recuperare le relazioni o i rapporti prima che si logorino del tutto.

Resilienza

Altra lezione fondamentale del kintsugi consiste nell’applicare la Resilienza. Questa è la capacità di reagire alle avversità della vita con coraggio, considerando le esperienze dolorose come occasioni di crescita.

Come il kintsugi mette in evidenza le crepe di un vaso rotto, così noi dobbiamo imparare ad esibire e valorizzare le cicatrici della nostra vita, senza vergognarci di esse. Anzi, secondo la metafora del kintsugi sono proprio le cicatrici a rendere un’esistenza unica e preziosa.

Applicazioni moderne delle metafore del kintsugi

Mentre noi occidentali stentiamo ad accettare le crepe (sia fisiche che spirituali) e piuttosto siamo portati a considerarle come segni di fragilità ed imperfezione, la cultura orientale da millenni accetta e valorizza la compresenza degli opposti, che fluiscono insieme in maniera armoniosa – come lo Yin e lo Yang.

Simbolo Yin e Yang
Simbolo dello Yin e Yang

I giapponesi, millenni fa, avevano già compreso che le imperfezioni estetiche possono assumere forme nuove rendendo gli oggetti ancora più preziosi. Proprio come succede a noi: chi ha sofferto ed esibisce con orgoglio le ferite dell’anima è una persona consapevole e di certo preziosa per gli altri.

Secondo la moderna psicoterapia, il kintsugi giapponese è un ottimo spunto di riflessione per imparare la resilienza. Una dote che non è innata e che serve a tutti per vivere meglio anche le peggiori avversità che la vita riserva.

Un libro e 3 frasi sul Kintsugi

Ci sono autori che hanno scritto dell’antica arte giapponese ricollegandola a significati metafisici e filosofici. Tra questi la restauratrice e artista Chiara Lorenzetti ha pubblicato il volume intitolato Kintsugi, l’arte di riparare con l’oro, un manuale sull’uso del kintsugi e le metafore applicabili nella vita di tutti i giorni.

Non permettere alle tue ferite di trasformarti in qualcuno che non sei.

Paulo Coelho

Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.

Kahlil Gibran

Non c’è niente di più bello di una persona che rinasce. Quando si rialza dopo una caduta, dopo una tempesta e ritorna più forte e bella di prima. Con qualche cicatrice nel cuore sotto la pelle, ma con la voglia di stravolgere il mondo anche solo con un sorriso.

Anna Magnani
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Perché si dice “mettere le corna” o “avere le corna”? https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-mettere-o-avere-le-corna/ https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-mettere-o-avere-le-corna/#comments Wed, 18 Sep 2024 15:49:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7567 Nel linguaggio comune mettere le corna equivale a “tradire il proprio partner”, mentre “avere le corna” è lo stato in cui si trova il poveretto che viene tradito ed è vittima del fedifrago.

Il significato di queste due espressioni è condiviso in alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia.

Qual è l’origine di questi modi di dire per intendere rispettivamente il compiere e il subire adulterio?

mettere le corna, avere le corna
Da dove deriva il modo di dire avere o mettere le corna

Il mito del Minotuaro

L’ipotesi più accreditata risale all’antica civiltà greca.

Si racconta che la moglie del re di Creta Minosse, chiamata Pasifae, si invaghì di un toro dalla rara bellezza che era stato inviato in dono da Poseidone al re per essere sacrificato.

Il re Minosse, accortosi della straordinaria bellezza dell’animale, decise di sacrificarne un altro al suo posto.

Ciò scatenò l’ira di Poseidone, che pensò di vendicarsi.

La vendetta fu di far innamorare Pasifae del toro, tanto da farla impazzire per la passione.

La donna infatti, per potersi congiungere carnalmente con il toro, chiese a Dedalo di costruire una mucca di legno.

Dall’unione tra Pasifae e il toro nacque il Minotauro, famoso personaggio leggendario dell’antica mitologia greca.

Da qual giorno gli abitanti di Creta cominciarono a salutare il re Minosse facendo il segno delle corna per schernirlo del tradimento di sua moglie con il toro.

=> Leggi anche: frasi sul tradimento <=

Il Minotauro in una foto mitologica
Una raffigurazione del mitologico Minotauro

Le corna

Però in genere anticamente le corna non avevano una valenza negativa.

Anzi, le divinità e i personaggi più in vista venivano spesso rappresentati con le corna in testa per evidenziare la virilità e il coraggio.

Per esempio a Roma esisteva la nobile famiglia dei Cornelii.

I poeti latini Tibullo e Orazio dedicarono versi alle “corna d’oro” del Dio Bacco.

Leonardo da Vinci - Bacco - 1510-1515
Leonardo da Vinci, Bacco, 1510-1515

Quando, invece, le corna cominciarono ad assumere il connotato negativo che gli diamo noi oggi?

A partire da quando dire “cornuto” a qualcuno diventa un insulto?

I cornuti

La storia narra di un imperatore bizantino, chiamato Andronico I Comneno, che era un tipo poco raccomandabile, violento e con il vizio delle donne.

L’imperatore non era ben visto né dalla sua famiglia, né dai sudditi, sia perché tramava contro lo stesso impero, sia perché era capace di portarsi a letto qualsiasi donna volesse.

Dal 1183 al 1185 Andronico Comneno conquistò il potere e cominciò ad accanirsi contro i sudditi, soprattutto contro chi lo avversava.

Oltre a fare imprigionare chiunque senza alcuna ragione, l’imperatore rapiva le donne e le manteneva come concubine fino a quando non si stancava.

Poi faceva appendere sui muri delle case dei poveri mariti delle teste di cervi per burlarsi di loro.

Dal 1185 in poi cherata poiein in greco significò “mettere le corna” per indicare lo scherno pubblico subito dai poveri mariti sudditi dell’imperatore Andronico.

Quando i soldati del re  Guglielmo II il Normanno entrarono nella città di Salonicco e videro le corna appese sui muri e le finestre di alcuni palazzi, ne chiesero il motivo.

L’epiteto “cornuto” raggiunse così la terra di Sicilia, poi il resto d’Italia e infine altri Paesi europei.

Dopo la caduta di Salonicco nelle mani dell’esercito siciliano, i sudditi-cornuti di Andronico insorsero contro di lui.

Dopo essere stato catturato e seviziato, l’imperatore venne appeso alla facciata del suo palazzo: una punizione esemplare per le sue nefandezze.

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Strage dell’Heysel: 29 maggio 1985 https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/ https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/#respond Thu, 25 Apr 2024 16:13:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41171 Poco prima del fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, presso lo Stadio Heysel di Bruxelles, in Belgio, si verifica un gravissimo episodio, passato alla storia come strage dell’Heysel. È il 29 maggio 1985. In quella partita maledetta perdono la vita 39 persone, tra cui 32 italiani. I feriti sono invece circa seicento. È uno degli episodi più tristi della storia del calcio.

La cronaca: ricostruiamo i fatti

C’è molta attesa per il match, soprattutto da parte dei tifosi juventini, che accompagnano la squadra del cuore sperando che possa aggiudicarsi la prima Coppa dei Campioni della carriera.

Il Liverpool invece, campione d’Europa in carica, è intenzionato a ripetere l’ottima esperienza dell’anno precedente, ed è molto carico dopo aver sconfitto facilmente in semifinale la squadra greca del Panathinaikos.

Lo stadio scelto per disputare la partita è l’Heysel di Bruxelles, il fischio di inizio è fissato per le ore 20.15.

L’impianto, ristrutturato una prima volta negli anni Settanta, se valutato oggi sicuramente non rispetterebbe gli standard di sicurezza previsti per una finale europea. Ma quella partita si giocò lo stesso, in condizioni generali alquanto precarie.

Lo stadio

L’Heysel non dispone di vie di fuga adeguate, ed anche il servizio d’ordine fa acqua da tutte le parti.

Le tribune ed il campo di gioco, poi, non sono certo adatti ad una competizione calcistica di alto livello. Per non parlare dei muri divisori dei settori, che si sgretolano in calcinacci che colpiscono gli spettatori. Sono del tutto inadeguati i servizi igienici.

Lo stadio, predisposto per ospitare al massimo 60 mila spettatori, viene riempito con circa 400 mila persone (la maggior parte dei tagliandi viene venduta agli italiani).

I biglietti e le zone

La vendita dei ticket allo stadio viene gestita male, in maniera alquanto approssimativa. Ai tifosi bianconeri sono assegnati i settori M, N, O (posizionati nella zona sud-est dell’impianto), mentre gli Inglesi occupano la curva opposta (zone X e Y).

Il “settore Z”, adiacente a quello degli Ultrà del Liverpool, è separato da semplici reti metalliche, e viene destinato ai tifosi neutrali, ovvero non appartenenti ad un gruppo organizzato.

Sono i tifosi bianconeri ad acquistare la maggior parte dei biglietti, ma l’organizzazione sottovaluta l’eventualità che tra le due tifoserie opposte possa scoppiare qualche tafferuglio o scontro.

Probabilmente entrambe le società ritengono che la situazione possa essere facilmente gestita seguendo le regole burocratiche e il senso di civiltà e rispetto che dovrebbero contraddistinguere qualsiasi evento sportivo.

Gli scontri tra i tifosi

Nelle ore che precedono la partita i tifosi del Liverpool arrivano in città, abusano di alcol e accade qualche scaramuccia, ma nulla di preoccupante. O meglio, niente che lasci presagire la tragedia che sarebbe accaduta dopo, tra gli spalti dello stadio Heysel.

All’apertura dei cancelli i controlli sono pochi e disattenti.

Il settore Z viene occupato per lo più da persone tranquille, famiglie, non solo italiane ma anche di altri paesi, che simpatizzano per la Juventus. Circa seimila tifosi inglesi riescono ad entrare senza biglietto e vanno ad occupare la Curva: insieme a loro ci sono anche alcuni Ultrà del Chelsea, del gruppo Headhunters di estrema destra, particolarmente violenti e facinorosi.

Purtroppo ci sono tutti i presupposti per trasformare un evento sportivo in una tragedia di cui parlare a lungo.

Manca un’ora all’inizio della partita, e gli animi cominciano a riscaldarsi. I tifosi inglesi, molti dei quali entrati ubriachi allo stadio, iniziano a lanciare cori e slogan contro gli juventini.

I settori dello stadio dell'Heysel
I settori dello stadio dell’Heysel

La tragedia

Alcuni Ultras del Liverpool, credendo che i tifosi presenti nel settore Z siano tutti italiani, allo scopo di intimidirli cominciano ad ondeggiare con forza. Dopo tre cariche da parte degli Hooligans, le recinzioni cedono paurosamente.

I poliziotti non riescono a fronteggiare gli Ultras inglesi, che invadono letteralmente lo spazio occupato dagli altri tifosi.

Cominciano i lanci di bottiglie, che colpiscono i tifosi, ferendone qualcuno alla testa.

I tifosi del settore Z, terrorizzati dalla furia degli hooligans, cercando disperatamente di lasciare lo stadio.

I cancelli di uscita in alto dell’impianto sono serrati, e non è possibile raggiungere il terreno di gioco perché i poliziotti lo impediscono a suon di manganellate.

Presi dal panico, i tifosi italiani finiscono con l’asserragliarsi nell’angolo più basso e lontano del settore, schiacciati contro il muro che divide le opposte tifoserie.

Alcuni tentano di lanciarsi nel vuoto, nello spazio che separa il settore Z dalla tribuna. Altri però non ce la fanno, perché vengono raggiunti dalla calca in fuga e restano schiacciati. Ad un certo punto, il muretto crolla. È la strage.

Una pattuglia della polizia belga raggiunge lo stadio Heysel, ma solo dopo mezz’ora. L’impianto ha le sembianze di un campo di battaglia, ci sono morti e feriti ovunque.

La partita

Nonostante l’entità della tragedia, la partita si gioca comunque: si verifica solo un rinvio di un’ora e 25 minuti. Le autorità prendono tale decisione per motivi di ordine pubblico: si teme che i tifosi bianconeri possano rivendicare ciò che è successo.

Pare che i giocatori siano stati obbligati a giocare. Sia la Juventus che il Liverpool non hanno intenzione di scendere in campo, ma l’effetto rinuncia fa paura.

La Juventus vince per 1-0.

Molti ricorderanno per sempre la telecronaca di quella partita maledetta, i surreali festeggiamenti finali, e tutte le polemiche – legittime – che ne seguirono.

Alcune emittenti televisive, come quella tedesca ed austriaca, si rifiutarono di trasmettere la partita.

In Italia Bruno Pizzul, poco prima dell’inizio della telecronaca, rilascia queste dichiarazioni:

Gentili telespettatori, la partita verrà commentata in tono il più neutro, impersonale e asettico possibile.

Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, rimane uno degli episodi più tristi del calcio e dello sport in genere.

Strage dell’Heysel
La targa commemorativa

Lo stadio è stato completamente ristrutturato nel periodo 1994-1995; il suo nome è cambiato ed è stato intitolato a Re Baldovino. Oggi è presente una targa commemorativa con i nomi delle vittime della strage dell’Heysel, a loro imperitura memoria.

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Giasone e il vello d’oro spiegato bene https://cultura.biografieonline.it/giasone-vello-oro/ https://cultura.biografieonline.it/giasone-vello-oro/#comments Tue, 23 Apr 2024 05:44:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14795 Figlio di Esone, ma dalla madre incerta, Giasone è di Iolco e appartiene alla discendenza di Eolo. A Iolco c’è Pelia, zio di Giasone, che ha usurpato il regno ad Esone e governa al posto suo. Un’altra versione del racconto mitologico “Giasone e il vello d’oro” ritiene invece che questi sia stato investito della “reggenza” fino a quando Giasone non fosse in grado di regnare a tutti gli effetti.

Giasone e il vello d'oro
Giasone e il vello d’oro

La storia di Giasone

Intanto il giovane Giasone cresce sotto la guida del Centauro Chirone, dal quale apprende con passione ed entusiasmo la disciplina medica. Una volta diventato adulto, Giasone torna nel suo paese natio indossando abiti piuttosto bizzarri, con una lancia in mano ed un piede sprovvisto di calzare. Mentre lo zio Pelia è intento ad offrire sacrifici agli Dei nella piazza del paese, Giasone irrompe e lo fa spaventare.

L’uomo era stato avvisato da un oracolo che sarebbero arrivate sventure per conto di un uomo con un piede privo di calzare. Giasone reclama il trono che spetta a suo padre Esone ma Pelia gli dice che sarà disposto a cederglielo soltanto a patto che il nipote gli riporti il magico vello d’oro, la pelle di ariete dorato che re Eeta custodisce nella Colchide.

Il sovrano a sua volta aveva ricevuto il vello d’oro in dono da Frisso. Per riuscire nell’impresa, che si prospetta alquanto ardua, Giasone si avvale dell’aiuto di un gruppo di eroi, gli Argonauti, con i quali parte a bordo della nave Argo. Il gruppo di eroi è formato da: Ila, Eracle, Zete e Calaide, Filottete, Meleagro, Telamone, Polluce e Castore, Orfeo, Peleo, Mopso, Idmone, Eufemo ed Issione. Il re Eeta dice a Giasone di cedergli il vello d’oro a condizione che superi tre difficili prove.

Argonauti
La spedizione degli argonauti (1484 – 1490) • Museo degli Eremitani, Padova • Quadro di Lorenzo Costa (Ferrara, 1460 – Mantova 1535)

Appena apprende l’entità delle prove Giasone si scoraggia parecchio, ma ecco che intervengono le divinità ad aiutarlo. In particolare, Afrodite chiede a suo figlio Eros di fare innamorare di Giasone la figlia del re Eeta, di nome Medea, in modo che questa lo aiuti a portare a termine la sua impresa.

Le tre prove

Ecco quali sono le prove che Giasone deve superare per conquistare il vello d’oro.

Prova I

La prima prova cui Giasone viene sottoposto consiste nell’arare un campo di grano con l’ausilio di due tori che emanano fiamme dalle narici con le unghia di bronzo e nell’aggiogare lo strumento. Medea, innamoratasi di lui per intercessione del dio dell’amore Eros, dà a Giasone una pomata che lo rende impermeabile alle fiamme ardenti lanciate dai terribili animali.

Prova II

La seconda prova consiste nel seminare i denti di un drago all’interno di un campo appena arato. I denti dell’animale avrebbero generato, con i germogli, una vera e propria armata di guerrieri. Ancora una volta l’aiuto di Medea è provvidenziale per il superamento della prova: la donna lancia un sasso in mezzo ai guerrieri che, non sapendo da dove arriva, si scontrano l’uno con l’altro, uccidendosi reciprocamente.

Prova III

La terza prova vede Giasone impegnato ad uccidere il drago messo a custodia del vello d’oro. Medea fornisce all’amato una pozione ricavata da alcune erbe che fa addormentare il drago e dà la possibilità a Giasone di appropriarsi dell’ambito vello.

Giasone - Il drago e il vello d oro
Giasone e la terza prova: uccidere il drago che protegge il vello d oro

Una volta recuperato il vello, Giasone fugge a bordo della nave Argo insieme a Medea, che intanto ha rapito il fratello minore Apsirto. Poiché Eeta si è messo sulle loro tracce, Medea uccide il fratellino e ne getta i resti in mare. Il re si ferma per raccoglierli perdendo così di vista l’imbarcazione che intanto procede nel suo viaggio.

La fine di Giasone

A punire il comportamento di Medea e Giasone interviene però Zeus, che per vendicare l’uccisione del piccolo Apsirto invia violente tempeste sulla rotta della Argo per farle perdere l’orientamento.

La restante vita di Giasone è raccontata come triste e solitaria, poiché innamorandosi di un’altra donna, attira su di sé l’ira e la vendetta di Medea.

L’uomo muore mentre si trova all’interno dell’Argo ormai obsoleta e fatiscente.

L’opera principale che racconta le imprese di Giasone è il poema epico “Le Argonautiche” dello scrittore Apollonio Rodio (risalente al III secolo a. C.).

Il personaggio di Giasone lo si trova anche nell’ottavo cerchio dell’Inferno della “Divina Commedia” di Dante Alighieri, quello in cui si trovano i fraudolenti (Canto VIII).

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Art-Therapy (o arte terapia): che cos’è e quali sono i benefici https://cultura.biografieonline.it/art-therapy/ https://cultura.biografieonline.it/art-therapy/#comments Sun, 17 Mar 2024 14:03:06 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15924 In questo articolo parleremo di arte terapia, in inglese Art-Therapy. Ma prima facciamo una breve premessa. Disegnare e colorare sono attività semplici, elementari, che sperimentiamo fin da piccoli e di cui quasi non ci accorgiamo una volta diventati adulti.

Antiche culture hanno invece fatto del disegno una vera e propria forma di contemplazione ed erano consapevoli degli effetti benefici che questa attività aveva sulla mente.

Basti pensare ai Mandala, disegni elaborati della pratica buddista, costruiti su forme elementari come triangolo, cerchio e quadrato. Il primo studioso che sperimentò l’arte di colorare come una tecnica di rilassamento è stato Carl Jung. Colorare un Mandala è da considerarsi una forma di meditazione a tutti gli effetti.

Art-Therapy, arte terapia
Art-Therapy (arte terapia)

La coordinazione necessaria tra la testa e le mani permette infatti di dare sfogo agli istinti più reconditi, liberando l’inconscio e visualizzando le emozioni più vere.

Colorare forme predefinite consente inoltre di mettere in pratica un antico (e sempre attuale) insegnamento: quello di sviluppare la creatività imparando però a rispettare le forme e le linee, con dedizione e pazienza.

Tale pratica rientra nella teoria della Mindfullness (consapevolezza).

Si tratta di una modalità di prestare attenzione, momento per momento, a ciò che succede “qui ed ora”, in modo consapevole, intenzionale e non giudicante. L’obiettivo è quello di raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza.

Un po’ di storia

Anticamente alcune civiltà come gli Egizi e i Greci utilizzavano l’arte come mezzo per sperimentare la “catarsi”, ossia liberare le emozioni represse e sentirsi in equilibrio con il mondo circostante.

L’art-therapy come la intendiamo noi oggi si è sviluppata principalmente in Usa e in Gran Bretagna a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50, come modalità per curare i traumi di guerra dei reduci.

Art Therapy - arte terapia

I primi ad occuparsi di tale disciplina applicata alla psicanalisi sono stati Freud e Jung. Con il passare del tempo l’arte terapia ha ampliato il campo di applicazione strutturandosi come una disciplina del tutto autonoma, utile per prevenire e intervenire nella guarigione di disturbi di tipo psicologico e sociale.

L’arte terapia affonda le sue radici negli studi sull’arte e la creatività, ma anche in quelli psicodinamici. In America è considerata la fondatrice dell’Arte terapia una psicanalista seguace di Sigmund Freud, il suo nome è Margaret Naumburg.

I benefici dell’Art-Therapy

L’arte terapia arreca numerosi benefici psico-fisici.

Non ci sono limiti di età per praticarla. Disegnare e colorare sono attività che mantengono la mene in forma poiché vanno a stimolare sia la parte razionale che emotiva del cervello.

Trattandosi di azioni che implicano una certa precisione e attenzione, viene particolarmente attivata la corteccia cerebrale legata al senso di visione e alle abilità motorie raffinate.

Ciascuno di noi può iniziare, anche da domani: basta procurarsi un album da colorare e il gioco è fatto. Molti studiosi paragonano l’arte del colorare al fare la maglia: entrambi sono gesti ripetitivi, quasi ipnotici che però procurano un grande senso di rilassamento psico-fisico. Quando tiriamo fuori le matite è come se la nostra mente faccia un salto nel passato, a quando eravamo bambini.

Pastelli colorati
Matite colorate

Il semplice gesto di temperare una matita e annusare il profumo del legno ci fa sentire improvvisamente a casa, in un ambiente protetto e familiare. Osservare come un disegno in bianco e nero prende vita attraverso i colori è un’esperienza che induce un senso di pace totalizzante. L’unico suono che si percepisce mentre si colora è quello della matita che sfrega delicatamente sulla carta: in questo modo la mente si rilassa e dimentica i pensieri negativi e le tensioni.

Gli psicologi sono tutti concordi nel sostenere che l’Art-Therapy è una tecnica che serve a combattere lo stress.

Non a caso, infatti, i libri da colorare per adulti stanno diventando dei veri e propri best seller. Il successo editoriale di questi volumi è partito da Gran Bretagna e Francia, dove i quaderni da colorare sono più venduti di quelli di cucina.

Quello realizzato da Johanna Basford, ad esempio, ha venduto fino ad ora oltre 350mila copie. Si tratta di una collezione di disegni in bianco e nero da riempire a piacimento. Di solito i motivi sono floreali, geometrici, oppure rappresentano volti di personaggi famosi.

Johanna Basford - libro - La foresta incantata - Enchanted Forest - book
Il best-seller di Johanna Basford “La foresta incantata” (Enchanted Forest, 2015) è un libro da colorare perfetto per l’Art-Therapy.

Bastano venti minuti al giorno di matite e pastelli per rilassarsi, accendere la fantasia e diventare più consapevoli dell’ambiente circostante. Ogni volta che ci dedichiamo a questo tipo di attività abbassiamo l’azione dell’amigdala, una parte fondamentale del cervello che controlla le emozioni che così fluiscono, mentre lo stress diminuisce.

Disegni e album da colorare
Disegni e album da colorare

Ambiti di applicazione dell’arte terapia

L’arte-terapia interviene efficacemente nei programmi riabilitativi intrapresi nei confronti di soggetti portatori di handicap e disturbi psichici come l’autismo e la schizofrenia. Può essere inoltre utilizzata con bambini, adolescenti e anziani come esperienza ludica a tutti gli effetti, affinché i destinatari vengano guidati in un percorso di maggiore consapevolezza di se stessi e delle proprie capacità relazionali.

Le tecniche espressive dell’arte-terapia si rivelano utili anche in un’ottica preventiva ed educativa, attraverso la realizzazione, ad esempio, di laboratori artistici.

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Inno di Mameli, storia del canto degli italiani https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/ https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/#comments Mon, 12 Feb 2024 22:02:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20125 Il suo titolo è Canto degli Italiani, ma è conosciuto da tutti come Inno di Mameli. L’inno nazionale d’Italia deve la sua nascita ad uno studente ed entusiasta patriota appena ventenne di Genova, Goffredo Mameli. Il testo venne composto nel 1847 con il titolo “Fratelli d’Italia“. Fratelli d’Italia sono proprio le prime parole del testo.

Bandiera italiana
Il tricolore italiano

Successivamente a Torino Michele Novaro, anche lui genovese, trasformò in musica le parole scritte, componendo la melodia che oggi tutti conosciamo. L’Inno di Mameli è stato realizzato in pieno clima rinascimentale, in perfetto stile patriottico.

Fu composto l’otto settembre del quarantasette, all’occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica; e fu ben presto l’inno d’Italia, l’inno dell’unione e dell’indipendenza, che risonò per tutte le terre e in tutti i campi di battaglia della penisola nel 1848 e 49. (Giosuè Carducci)

Il contesto storico

L’Italia cominciava la dura battaglia che di lì a poco l’avrebbe condotta alla definitiva unificazione. Anche l’autore dell’Inno, Goffredo Mameli, era un giovane e fervente patriota che aveva combattuto a fianco di Garibaldi. Mameli, in uno scontro con i francesi, morì per la ferita ad una gamba, a 22 anni non ancora compiuti.

Goffredo Mameli
Goffredo Mameli

Goffredo Mameli aveva scritto la poesia che poi sarebbe diventata Inno nazionale in maniera spontanea, appassionata, ed infatti il suo componimento fu subito considerato il più adatto a rappresentare l’Italia del Rinascimento. Fervente e avida di libertà.

Una versione poco convincente

Proprio perché scritta di getto, la poesia “Fratelli d’Italia” del giovane Mameli presentava però alcune lacune stilistiche e dei limiti “artistici”. Per questo il patriota Giuseppe Mazzini, nel 1848, chiese a Mameli di scrivere una nuova composizione, che sarebbe stata completata con la musica di Giuseppe Verdi. Il risultato, però, fu davvero poco convincente, sia nel testo che nella musica. Così si ritornò alla versione originaria, che da allora non fu più modificata.

L’Inno di Mameli durante il Fascismo

Negli anni del Fascismo Il canto degli italiani fu messo un po’ da parte. Esso simboleggiava l’Italia risorgimentale, ed i fascisti preferivano che si intonassero le marce da loro realizzate.

L’ufficialità dell’Inno d’Italia

Il 12 ottobre 1946 l’inno di Mameli fu dichiarato ufficialmente Inno nazionale della Repubblica italiana. Da allora, curiosamente, per quanto la melodia sia ormai famosa e apprezzata in tutto il mondo, l’inno “Fratelli d’Italia” è considerato provvisorio.

Da quel giorno sono stati tanti i tentativi di trovare un altro inno che sostituisse quello di Mameli, poiché molti ritenevano che la musica non fosse granché e che il testo avrebbe potuto infastidire il Pontefice (sembra infatti che l’autore non nutrisse molta simpatia per il Vaticano).

Mentre durante il fascismo l’inno di Mameli era stato snobbato, i partiti di destra cominciarono ad apprezzarlo e a considerarlo un simbolo della Patria, quelli di sinistra invece non lo consideravano con favore.

“Fratelli d’Italia” negli anni ’90

Quando negli anni Novanta sulla scena politica italiana fece irruzione il partito della Lega Nord, capeggiato da Umberto Bossi, qualcuno propose di eliminare l’inno nazionale e metterci al suo posto il coro “Va, pensiero“, del “Nabucco” di Giuseppe Verdi. La sinistra, per tutta risposta, cominciò a rivalutare l’Inno di Mameli (forse per fare un dispetto a Bossi e compagni) e a cantarlo durante le manifestazioni sindacali e politiche.

Per rendere l’inno più piacevole dal punto di vista musicale, intervenne l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che affidò l’inno ad alcuni insigni musicisti, che lo diressero in modo a dir poco magistrale.

Nel 2000, quando Silvio Berlusconi era al potere, un consigliere appartenente a Forza Italia ebbe addirittura la geniale idea di proporre l’eliminazione dell’inno nazionale per farne uno personale a Berlusconi!

L’inno nazionale e gli italiani

La storia dell’inno nazionale è stata sempre alquanto controversa, tra chi ravvisa la necessità di cambiarlo e chi sostiene che gli stessi italiani non lo conoscono come dovrebbero. Ad esempio, ha fatto scalpore che, in occasione di competizioni importanti nel 1994 (quando l’Italia giocò la finale mondiale di calcio contro il Brasile), ma anche più tardi, nel 2002, i giocatori della Nazionale italiana non hanno cantato l’inno di Mameli (forse perché non era di loro gradimento, oppure perché non conoscevano il testo).

Goffredo Mameli, l'autore del Canto degli Italiani, noto anche come Fratelli d'Italia, o Inno di Mameli
Un dipinto che ritrae Goffredo Mameli

Proprio per far sì che l’inno diventasse conosciuto da tutti, tempo fa è stata presentata la proposta di rendere obbligatorio il suo insegnamento nelle ore scolastiche di educazione musicale.

Una cosa è certa: se anche l’inno nazionale non è musicalmente perfetto e il testo presenta qualche difetto stilistico, è innegabile che l’autore Goffredo Mameli fosse giovane e appassionato. Una buona ragione per apprezzarlo e cantarlo nelle varie occasioni in nome di un’Italia che, non dimentichiamolo, ha lottato per raggiungere l’unità.

Canto degli italiani

Testo completo dell’Inno nazionale d’Italia, composto da Goffredo Mameli:

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Dall’Alpe a Sicilia, Dovunque è Legnano; Ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d’Italia si chiaman Balilla; Il suon d’ogni squilla I vespri suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Son giunchi che piegano le spade vendute; già l’Aquila d’Austria le Penne ha perdute. Il sangue d’Italia e il Sangue Polacco bevè col Cosacco, ma il Cor le bruciò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

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Natale: come si festeggiano pranzi e cene nel mondo? https://cultura.biografieonline.it/cene-pranzi-di-natale-nel-mondo/ https://cultura.biografieonline.it/cene-pranzi-di-natale-nel-mondo/#respond Thu, 07 Dec 2023 10:19:44 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25532 Le tradizioni natalizie nel mondo sono assai diverse tra loro, e anche a tavola, per i piatti di Natale, ci sono differenze notevoli da un Paese all’altro. In Italia, specialmente nelle regioni del Meridione, si prepara un menù per la vigilia di Natale, che si consuma in famiglia o con gli amici durante la cena del 24 dicembre. Alla cena, quando scocca la mezzanotte, segue il rito dello scambio dei regali sotto l’albero di Natale allestito in casa e addobbato con luci e decorazioni. In alcune regioni d’Italia, soprattutto al Nord, si preferisce invece il pranzo di Natale, il 25 dicembre.

pranzo e cena di natale

Mentre la cena del 24 dicembre è per lo più leggera e verte sul consumo di pesce, il pranzo del 25 dicembre nelle famiglie italiane è sicuramente più ricco: dopo una sfilza di antipasti di mare e di terra, si passa al primo piatto (che varia in base alla provenienze e ai gusti, ma che di solito consiste in agnolotti, ravioli al sugo o lasagne al forno); poi si passa al secondo (via libera alla carne nelle sue varie declinazioni, ad esempio l’arrosto è una ricetta molto seguita in varie zone d’Italia). A conclusione del pranzo vengono servite frutta fresca e secca, oltre che ovviamente i dolci tipici della tradizione natalizia come panettone e pandoro.

Pranzi natalizi in Francia

Come si comportano a tavola i nostri cugini d’Oltralpe a Natale? Anche in Francia, come in Italia alla vigilia di Natale, si opta per piatti a base di pesce. Una delle specialità francesi che di solito viene servita durante il pranzo di Natale è il Coquilles- Saint-Jacques, un mollusco cotto nel forno  e servito nella conchiglia.

Il pranzo natalizio, ricco di portate, si chiama “reveillon”, e prevede piatti diversi a seconda della regione di appartenenza. Il menù tipico natalizio in Francia comprende pollo arrosto, ostriche e salsicce, oltre all’immancabile fegato d’oca grigliato.

Spostandosi in Provenza, invece, si incontra la tradizione natalizia di servire a tavola ben tredici dolci e dessert diversi l’uno dall’altro: uno dei più gustosi è il tipico Bouche de Noel, il tronchetto al cioccolato.

Pasti natalizi a Londra

Nel paese di Charles Dickens – autore del celebre Canto di Natale – la tradizione britannica vuole che a Natale non manchi il tacchino o l’oca serviti come arrosto e ripieni di nocciole tritate; oppure bacon e carne di vitello con contorno di patate al forno. Come succede anche in Italia, quando arriva Natale, a Londra non si rinuncia a portare sulla tavola un dolce tipico delle feste, che in questo caso è il Christmas Pudding. Una curiosità: nell’impasto viene nascosta una monetina e chi la trova sarà fortunato; va fatta attenzione quindi a non ingoiarla!

La cena natalizia in Spagna

Nella vicina Spagna il menù tipico natalizio si basa invece prevalentemente sulla carne: a cena viene servito l’arrosto di maiale o il tacchino. Mentre i protagonisti della tavola sono i dolci. In particolare, a Natale spopola il torrone (particolarmente noto quello di Alicante e di Jijona), ma è abbastanza rinomato anche il marzapane (con zucchero e mandorle), il dolce dei Paesi Baschi, il croccante dell’Aragona.

La tradizione natalizia negli Stati Uniti

Il menù tipico natalizio negli USA è una commistione (ben riuscita) tra varie tradizioni: Francia, Gran Bretagna, Messico, Italia (forse a causa della presenza di immigrati provenienti da ogni parte del mondo). La cena della vigilia di Natale è prevalentemente a base di carne, in genere si opta per il tacchino contornato da verdure e salsine varie.

tavola natalizia

Il dessert tipico di Natale è il pudding, ma altrettanto gustoso e amato dagli americani è il Mince pies, una torta di pasta frolla con all’interno la frutta secca. Secondo la tradizione americana questo è il dolce di cui è ghiotto Babbo Natale: infatti si usa lasciarlo nei pressi del camino affinché il vecchietto barbuto possa assaggiarlo.

Il menù natalizio in Argentina

Mentre in Europa festeggiamo il Natale al freddo e in casa, in Argentina le festività natalizie si svolgono all’aperto, sotto il sole. Per tradizione a Natale si prepara l’asado, la classica carne alla griglia, e si brinda con il tradizionale spumante.

Pasti natalizi in Messico

Il Messico vanta un’interessante tradizione culinaria natalizia. Il Chiles en nogada è il piatto natalizio per eccellenza, ed è preparato con carne stufata di vario tipo e peperoni. Il tutto è arricchito da chicchi di melograno e crema di noci. Questa ricetta è originaria di Puebla, ma è diffusa e apprezzata in tutto il Paese, come simbolo dell’indipendenza acquisita.

Il pranzo e la cena di Natale in Danimarca

Nell’Europa del Nord il Natale si festeggia in modo suggestivo, anche a tavola. Per l’occasione infatti si preparano piatti assai gustosi e particolari, come il tipico Risalamande (un tortino cremoso a base di frutti di bosco e amarene).

La cena della vigilia di Natale in Danimarca rappresenta l’occasione giusta per gustare vere e proprie prelibatezze come l’anatra farcita, l’arrosto di maiale e le patate caramellate. Nel giorno di Natale in Danimarca si preparano anche le tipiche tartine a base di salmone, carne e verdure.

Il Natale in Finlandia

Nella fredda Finlandia a Natale si mangia solitamente il Porkkanalaatiko, uno sformato realizzato a base di carote e spezie. Per la sua fragranza e morbidezza questa ricetta ricorda parecchio una brioche che piace tanto ai bambini

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Il disco Slippery When Wet (Bon Jovi, 1986): pietra miliare dell’hard rock https://cultura.biografieonline.it/bon-jovi-slippery-when-wet-1986/ https://cultura.biografieonline.it/bon-jovi-slippery-when-wet-1986/#respond Tue, 03 Oct 2023 16:22:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=5657 Pubblicato nel 1986, l’album “Slippery When Wet” è considerato il più riuscito tra quelli realizzati dal gruppo dei Bon Jovi. In America il disco ottiene il disco d’oro e una dozzina di dischi di platino. Nel resto del mondo questo capolavoro musicale, simbolo dell’hard rock, vende circa 33 milioni di copie. Insieme all’album viene lanciata in promozione anche una raccolta di videoclip.

Bon Jovi, Slippery When Wet (1986)
Bon Jovi, Slippery When Wet (1986)

I singoli di sucesso

I quattro singoli estratti dall’album raggiungono ottime posizioni nelle hits musicali, restando in vetta alle classifiche mondiali per molto tempo:

  • Wanted Dead or Alive;
  • You give Love a Bad Name;
  • Never Say Goodbye;
  • Livin’ on Prayer.

Il successo di Slippery When Wet

Rispetto agli album precedenti, che non riscuotono il successo previsto e che anzi vengono bersagliati dalla critica, questo terzo album dei Bon Jovi si avvale di preziose collaborazioni: il noto compositore Desmond Child, Bruce Fairbaim in veste di produttore e Bob Rock nel ruolo di ingegnere del suono.

La maggior parte dei brani contenuti in “Slippery When Wet” sono stati scritti da Richie Sambora e Jon Bon Jovi. Questi inizialmente decide di non inserire all’interno del disco il brano “Livin’ on Prayer”, ma dopo cede alle insistenze, e così il pezzo diventa uno dei più famosi dell’intero album. Qual è la ragione del titolo dell’album “Slippery When Wet”? (che in italiano significa “Scivoloso se bagnato”).

È lo stesso tastierista del gruppo, David Bryan, a rivelare che durante la registrazione dell’album il gruppo era solito frequentare un locale di striptease in cui alcune bellissime ragazze si bagnavano con acqua e sapone, così tanto che fosse difficile stringerle per quanto erano scivolose. Un membro del gruppo ad un certo punto esclama: “Slippery When Wet”!, e gli altri realizzano al volo che questo sarebbe stato il titolo del nuovo album!

La copertina del disco

In origine la copertina del disco doveva riportare una foto con un seno prorompente, ma per evitare le denunce di un’associazione moralista facente capo all’allora Vice Presidente degli Stati Uniti, Al Gore, il gruppo decide di optare per un’altra soluzione meno rischiosa. La nuova copertina viene ideata da Jon Bon Jovi, e raffigura un sacco di immondizia bagnato sul quale il cantante scrive il titolo.

A venti anni dalla pubblicazione dell’album, il 20 settembre 2005, “Slippery When Wet” viene ristampato in Dual Disc (lato CD e lato DVD, con i cinque videoclip estratti). I Bon Jovi, ereditando il rock tradizionale degli anni Ottanta (di cui Bruce Springsteen è il rappresentante più importante), diventano gli esponenti più famosi dell’emergente hard rock, raggiungendo in breve tempo il successo planetario. I pezzi contenuti nel terzo album sono impregnati di stile metropolitano, e trattano di scelte, paure e disagi giovanili.

Breve recensione

Ovviamente non mancano spunti autobiografici, a volte contornati da melodie romantiche.

Nel disco non mancano “ballate” dal sapore nostalgico, come la famosa “Never Say Goodbye”. Il pezzo contiene un monito a lasciarsi andare all’esistenza, senza fossilizzarsi su idee e scelte definitive, ma sempre pronti a mettersi in discussione. La formula musicale vincente di questo gruppo statunitense è diventata un modello per le band che si sono formate successivamente, ma nessuna è riuscita ad eguagliare l’hard rock melodico originalissimo dei Bon Jovi.

La band americana, originaria del New Jersey, si forma nel 1983. Durante la carriera, la band ha pubblicato undici album realizzati in studio, un album live e tre raccolte. I Bon Jovi si sono inoltre esibiti in più di quattromila concerti in tutto il mondo. Il gruppo è composto da:

  • Jon Bon Jovi (cantante);
  • David Bryan (tastierista);
  • Richie Sambora (chitarrista solista);
  • Tico Torres (batterista).
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Perché la milza fa male? https://cultura.biografieonline.it/perche-la-milza-fa-male/ https://cultura.biografieonline.it/perche-la-milza-fa-male/#respond Fri, 29 Sep 2023 12:54:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7314 Avete fatto un corsetta ma vi siete fermati a causa di un dolore alla milza che vi impedisce di proseguire? Vi è capitato di spostare un peso in casa e avete avvertito una fitta localizzata nei pressi della milza, nella parte sinistra dell’addome? In entrambi i casi fermatevi, riprendete fiato ma non preoccupatevi assolutamente.

Durante il jogging è possibile avvertire dolore alla milza
La milza può far male durante una corsa

Quando e perché fa male la milza

Escludendo i casi in cui il dolore alla milza è il sintomo di una patologia in atto (malattie epatiche, mononucleosi, anemia)  in genere le cause sono “benigne” e non devono destare preoccupazioni. Il più delle volte le fitte alla milza sono  provocate da uno sforzo prolungato, soprattutto quando non si è abbastanza allenati.

Sul perché si prova dolore in questa zona del corpo non esiste una spiegazione scientifica che sia univoca. Un motivo è da ricercarsi nella respirazione non corretta che, essendo affannosa per lo sforzo compiuto, determina un affaticamento del diaframma. In secondo luogo, quando il fisico non è allenato si ha bisogno di una maggiore quantità di ossigeno da immettere nell’organismo.

Per questo la contrazione nervosa della milza, che provoca il doloretto che noi tutti conosciamo, serve proprio ad immettere nuovi globuli rossi nei vasi sanguigni e facilitare l’ossigenazione dei tessuti. In poche parole, il dolore o fitta è una contrazione che l’organo mette in atto solo in stato di necessità, e che può interessare anche la zona dei polmoni ed il fegato, che sono gli organi più vicini.

Dolore alla milza
Perché fa male la milza

Se il dolore è piuttosto persistente anche in assenza di uno sforzo fisico, conviene interpellare il medico per capirne la natura.

Qualora dalla visita medica non emerga la presenza di una patologia può essere utile mettere in atto qualche accorgimento durante la pratica sportiva:

  1. Fare un pre-riscaldamento muscolare prima di cominciare qualsiasi attività sportiva;
  2. Programmare un allenamento graduale e costante eliminando carichi di lavoro troppo elevati.

Se ci si trova in gravidanza, il dolore alla milza può essere abbastanza frequente e la causa può essere uno stato di anemia che però di solito non desta preoccupazione. Tecnicamente il dolore o fitta alla milza si chiama “splenalgia”.

A cosa serve la milza

La milza si trova a sinistra
La milza si trova sul lato sinistro del corpo, nella parte posteriore dello stomaco

La milza è un organo situato nella parte posteriore dello stomaco che ha la funzione di distruggere i globuli rossi che non servono più, produrre nuovi linfociti e filtrare i batteri dannosi. In pratica, questo organo in condizioni di normalità mantiene un equilibrio nella circolazione sanguigna (sia nella quantità che nella composizione del sangue).

Non è esatto, come qualcuno azzarda, dire che la milza può essere asportata senza alcun problema in quanto “non serve a nulla”.

Ogni organo del nostro corpo svolge funzioni più o meno importanti, e quando non sono vitali contribuiscono comunque a mantenere un equilibrio nel corpo svolgendo specifiche funzioni.

La milza si trova a metà tra lo stomaco ed il rene sinistro, ed è importante perché attiva la risposta immunitaria dell’organismo. Essendo un organo morbido, è anche abbastanza delicato e soggetto facilmente a traumi, lesioni o ingrossamento.

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