Alessandro Argentiero, Autore presso Cultura https://cultura.biografieonline.it/author/argentiero/ Canale del sito Biografieonline.it Sun, 11 Jun 2023 15:28:31 +0000 it-IT hourly 1 La 24 Ore di Le Mans: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/ https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/#respond Sun, 11 Jun 2023 15:22:49 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=35843 La 24 Ore di Le Mans è una gara di automobilismo che si svolge tutti gli anni sul “Circuit de la Sarthe” di Le Mans, in Francia. Si tratta di un circuito parzialmente permanente, ossia in parte chiuso e in parte aperto al traffico normale nel resto dell’anno. La prima edizione si svolse tra il 26 e il 27 maggio 1923; ogni team era composto da due piloti che si alternavano: uno alla guida mentre l’altro riposava. Nel 1979, e poi dal 1986 in via definitiva, i team si compongono di 3 piloti ciascuno.

Poster dell'edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)
Poster dell’edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)

La storia della corsa

La 24 Ore deve la sua fama alla lunghezza e alla semplicità del regolamento: vince chi in 24 ore percorre più strada. Ma ci sono anche altri aspetti che hanno contribuito a crearne la leggenda.

Per esempio, la famosa partenza “alla Le Mans”: essa avveniva con i piloti schierati su un lato della pista e pronti a scattare a piedi verso le rispettive vetture al segnale dello starter, per poi avviarle e partire.

Nel 1970 si passò però a uno stile di partenza più tradizionale, anche in seguito alla plateale protesta di Jacky Ickx, che l’anno prima aveva “passeggiato” fino alla sua vettura.

Jacky Ickx a Le Mans 1969: passeggia verso l'auto
Le Mans 1969: il pilota belga Jacky Ickx e la sua celebre passeggiata

Il problema infatti era che i piloti, dovendo partire senza l’ausilio dei meccanici, non erano in grado di allacciarsi correttamente le cinture di sicurezza e questo rendeva realmente pericolosa la prima parte di gara (dopo il primo cambio che avveniva ai box, i meccanici potevano allacciare le cinture al pilota subentrante).

L’incidente più grave

Tristemente famosa è l’edizione del 1955 nel corso della quale si verificò l’incidente più grave in tutta la storia dell’automobilismo.

Durante la terza ora di gara, la Mercedes di Pierre Levegh “decollò” in seguito a un tamponamento con Lance Macklin e atterrò sulle tribune.

Oltre al pilota morirono 83 spettatori e 120 rimasero feriti. Dopo questo incidente, i circuiti vennero resi più sicuri; a Le Mans in particolare si lavorò per migliorare la sicurezza degli spettatori; fu una cosa non molto facile se si pensa che in diversi punti dei circa 13,5 km di lunghezza del percorso, le auto transitano nei pressi di abitazioni.

La vittoria più contestata a Le Mans

La gara si disputa tradizionalmente a giugno, con pochissime eccezioni, tra le quali la prima edizione e quelle del 2020 e 2021, posticipate a causa dell’epidemia di COVID-19.

Nel 1966, dopo un estenuante duello con la Ferrari, due vetture Ford piombarono contemporaneamente sul traguardo. Mentre si pensava già ad una vittoria ex aequo, la giuria decise di premiare i neozelandesi Bruce McLaren, fondatore della casa automobilistica che porta tuttora il suo nome, e Chris Amon perché, essendo partiti dietro in griglia, avevano percorso 20 metri in più dei rivali!

Modellino Ferrari Le Mans 1966, numero 21
Un modellino riproduce la Ferrari, nel suo tradizionale colore rosso, della storica edizione di Le Mans del 1966

Nel 2023 la Ferrari torna a Le Mans dopo 50 anni di assenza e fa la storia. Dopo una lunghissima battaglia con la Toyota numero 8, la Ferrari 499P numero 51 trionfa.

I plurivincitori della 24 ore di Le Mans

  • Il danese Tom Kristensen è il pilota che ha vinto il maggior numero di edizioni della corsa: ben 9, tra il 1997 e il 2013.
  • Tra gli italiani spicca Emanuele Pirro che ha trionfato 5 volte fra il 2000 e il 2007.
  • Il costruttore più vincente a Le Mans è la Porsche che vanta 19 primi posti tra il 1970 e 2017.
  • Sono 9 gli allori della Ferrari tra il 1949 e il 1965; gli ultimi 6 sono consecutivi: sconfiggere il Cavallino Rampante in quegli anni sembrava pressoché impossibile. Ci riuscì la Ford nella già menzionata edizione del 1966.
  • L’altra casa italiana ad aver ottenuto vittorie è l’Alfa Romeo: quattro consecutive dal 1931 al 1934.

La 24 Ore al cinema

La fama di questa competizione è tale che ha ispirato anche diverse pellicole cinematografiche. La più famosa è forse “La 24 Ore di Le Mans”: Steve McQueen è il protagonista e interpreta un pilota della Porsche.

Parzialmente ambientato a Le Mans è il film “Adrenalina blu – La leggenda di Michel Vaillant” che si ispira liberamente al pilota immaginario Michel Vaillant, protagonista di fumetti.

Del 2019 è invece il film Le Mans ’66 – La grande sfida ispirato al duello tra Ferrari e Ford.

Lee Iacocca: Signor Ford, c’è un messaggio di Ferrari per lei, signore.

Henry Ford II: Che cosa dice?

Lee Iacocca: Dice che Ford fa piccole e brutte macchine in brutte fabbriche. E… l’ha chiamata ciccione, signore.

Cit. dal film Le Mans ’66

Diversi videogiochi simulano la 24 Ore di Le Mans.

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Bismarck, nave da battaglia: storia e riassunto https://cultura.biografieonline.it/bismarck-nave-da-battaglia/ https://cultura.biografieonline.it/bismarck-nave-da-battaglia/#respond Thu, 25 May 2023 13:49:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=34841 La Bismarck fu la nave più famosa della Kriegsmarine – la marina militare tedesca – di tutta la seconda guerra mondiale. Si trattava di una modernissima nave da battaglia (termine spesso considerato equivalente a corazzata), varata nel 1939 ed entrata in servizio nell’agosto del 1940. Dislocava 41.700 tonnellate e l’armamento principale era costituito da 8 cannoni da 380 mm, superiori ai 356 mm imbarcati dalle più recenti navi da battaglia inglesi.

Scopriamo di seguito le vicende che coinvolsero questa storica nave, che deve il suo nome di battesimo in onore del cancelliere Otto von Bismarck (1815-1898).

Bismarck nave da battaglia
La Bismarck fu una celebre nave da battaglia tedesca della Seconda Guerra Mondiale

La situazione nel 1941

Per proseguire la guerra, la Gran Bretagna dipendeva totalmente dalle importazioni. Era quindi vitale che riuscisse a mantenere aperto ininterrottamente il flusso di traffico mercantile in approdo e in partenza alle e dalle isole del Regno Unito. La situazione tattica era però precaria: con l’annessione di Francia e Norvegia, la Kriegsmarine disponeva di basi localizzate in posizioni quasi ottimali per recidere il cordone vitale delle importazioni britanniche.

Per il contrasto l’Ammiragliato poteva schierare molte imbarcazioni (cacciatorpediniere, e successivamente corvette e fregate), aerei da ricognizione e combattimento, e piccoli natanti come pescherecci trasformati, da adibire a compiti di scorta dei convogli e di pattugliamento delle rotte di approccio ai porti della madrepatria.

L’obiettivo era la lotta ai sommergibili, i ben noti U-Boot, che si prevedeva avrebbero tentato di contrastare il traffico mercantile Alleato. I tedeschi però ritenevano di poter ottenere buoni risultati utilizzando in questo ruolo anche le navi di superficie che avrebbero costretto la Royal Navy – la marina inglese – a disperdere le sue risorse nelle vastità degli oceani; ciò per far fronte a una minaccia che poteva apparire in un punto, colpire e poi sparire per fare la sua ricomparsa in acque distanti e dopo settimane.

A questa funzione erano adibiti i cosiddetti corsari, navi mercantili veloci e dotate di adeguato armamento cannoniero. Tuttavia, sia pure sporadicamente, vennero impiegate anche le principali unità della Kriegsmarine, in modo particolare le corazzate tascabili e i due incrociatori da battaglia Gneisenau e Scharnhorst, oltre agli incrociatori pesanti Prinz Eugen e Admiral Hipper.

Nella primavera del 1941 anche la Bismarck era pronta a salpare per attaccare i convogli britannici.

La nave da battaglia Bismarck e la sua unica fatale missione

Il 18 maggio 1941 una piccola squadra navale salpava da Gotenhaven, l’attuale Gdynia, al comando dell’ammiraglio Lütjens. La componevano la Bismarck e l’incrociatore Prinz Eugen la cui missione consisteva nell’eseguire un raid nell’Atlantico causando il massimo danno possibile, per poi rientrare nel grande porto francese di Brest, unirsi alle unità tedesche già stanziatevi e costituire una minaccia ancora più terribile per il nemico con la loro semplice presenza (concetto di fleet in being, flotta in potenza).

Gli Inglesi erano preavvertiti della missione, sia dalle intercettazioni radio della celeberrima organizzazione Ultra, sia da avvistamenti dei ricognitori che identificarono la Bismarck all’ancora nel fiordo di Bergen (Norvegia) il 21 maggio. Questa crociera rappresentava una minaccia gravissima: due navi così potenti avrebbero potuto compiere un’autentica strage di mercantili e uomini se avessero potuto attaccare un convoglio atlantico; ciò considerato che le scorte utilizzate all’epoca raramente impiegavano navi di dimensioni superiori al cacciatorpediniere.

La nave Bismarck fotografata in porto
Storica foto della Bismarck fotografata in porto

Per contrastarla, furono poste sotto il comando della Home Fleet – la squadra della Royal Navy che aveva il compito di proteggere le acque territoriali – tutte le unità disponibili. Mentre altre vennero fatte affluire dalle rispettive zone di pattugliamento nell’Atlantico e a Gibilterra.

Nel Canale di Danimarca, il braccio di mare compreso tra Islanda e Groenlandia, vennero inviati gli incrociatori Norfolk e Suffolk, dotati di radar. Fu proprio il radar di quest’ultimo che segnalò la presenza del nemico, la sera del 23 maggio, all’imbocco del Canale di Danimarca.

La squadra di Lütjens era infatti salpata da Bergen la mezzanotte precedente e, a sua volta, rilevò con il radar gli incrociatori della Royal Navy.

Il momento del trionfo: l’affondamento della Hood

Le due unità della Royal Navy continuarono a seguire il nemico, tra occasionali scambi di cannone, con l’intento di continuare a segnalarne la posizione per facilitare l’intercettazione da parte della Home Fleet che accorreva da sud. L’incontro che ne seguì però fu tutt’altro che fortunato per gli Inglesi: i mostruosi cannoni della Bismarck inquadrarono ben presto l’incrociatore da battaglia HMS Hood, pesantemente armato ma dotato di corazza relativamente leggera.

Colpita da una salva sparata a 14.000 metri di distanza, la Hood esplose letteralmente e affondò in soli 4 minuti.

I superstiti furono solo tre a fronte della perdita di 1.416 marinai!

Fu poi la Prince of Wales ad essere presa di mira e  ricevere a bordo alcuni colpi che causarono gravi danni e l’uccisione o il ferimento di tutti gli ufficiali, eccettuato il comandante. L’ammiraglio Wake Walker, che aveva assunto il comando, ritenne opportuno interrompere il contatto e consentire alla Bismarck di allontanarsi.

Quest’ultima aveva patito danni leggeri ma nel suo scafo si era prodotta una falla dalla quale fuoriusciva nafta: sarà proprio questo uno dei fattori che determineranno il fato della corazzata tedesca.

La caccia e la fine della Bismarck

L’affondamento della Hood destò scalpore nel Regno Unito. Non poteva restare invendicato e così la Royal Navy chiamò a raccolta tutte le forze per riprendere contatto con il nemico. Ci riuscì intercettando il traffico radio con il quale Lütjens informava Berlino dell’esito dello scontro di superficie, ricevendone l’ordine di lasciare libero di procedere il Prinz Eugen – che arriverà indenne a Brest il 1° giugno – e di continuare la missione.

Fu proprio la perdita di nafta e la conseguente scarsità di combustibile a spingere però Lütjens a far rotta per sud-est, verso il porto bretone. Nella notte del 25 giugno però, venne attaccato da 9 vecchi biplani Swordfish, decollati dal ponte di volo della portaerei Victorious.

I velivoli riuscirono a mettere a segno un unico siluro che l’eccellente corazzatura della Bismarck assorbì con apparente noncuranza.

Un nuovo avvistamento permise però di determinare la posizione della preda e nel pomeriggio del 25 fu la volta di 15 Swordfish decollati dalla Ark Royal, portaerei della Forza H di stanza a Gibilterra, di attaccare. Ma, per errore, lo fecero contro lo Sheffield, un incrociatore amico.

Nave Bismarck: modellino in scala
Nave Bismarck: modellino in scala

L’affondamento della Bismarck

Al crepuscolo ci fu un nuovo attacco degli Swordfish: questa volta due siluri andarono a segno, bloccando i timoni della Bismarck.

Da lì in poi fu una sorta di sarabanda degli inglesi, che attaccarono prima con i cacciatorpediniere e poi con i cannoni delle navi principali l’azzoppata e ormai impotente ammiraglia di Lütjens.

La nave da battaglia tedesca Bismarck affondò alle 10.37 del 27 maggio.

Si discute da sempre quale sia stato il colpo decisivo.

Il ritrovamento del relitto nel 1989, 650 chilometri a ovest di Brest, sembra confermare la tesi tedesca che furono le cariche di autodistruzione innescate dall’equipaggio quando era apparsa chiara la condanna della nave, a decretarne il fato.

Con la Bismarck perirono l’ammiraglio Lütjens, oltre a 2.200 membri dell’equipaggio. I superstiti furono soltanto 110.

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Java: breve storia del linguaggio di programmazione e curiosità https://cultura.biografieonline.it/java-storia-curiosita/ https://cultura.biografieonline.it/java-storia-curiosita/#respond Thu, 19 May 2022 20:58:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39920 Java è un linguaggio di programmazione ad alto livello, orientato agli oggetti. Progettato per essere il più possibile indipendente da piattaforme hardware, è oggi diffusissimo. Si trova, per esempio, nei cellulari Android, poiché il sistema operativo di Google utilizza API Java; tanto che Oracle – proprietaria di Java – ha chiesto un risarcimento enorme, nell’ordine dei miliardi di dollari, a Google per l’uso di Java in Android.

Java Logo 2003
Il logo Java nel 2003

James Gosling, l’inventore

L’invenzione del linguaggio si deve a James Gosling, un canadese di Calgary nato nel 1955. Laureatosi in informatica a 22 anni nell’università della sua città natale, conseguì nel 1983 un Bachelor of Science.

Gosling venne assunto nel 1984 da Sun Microsystems dove lavorò fin quando l’azienda fu acquistata da Oracle Corporation, nel 2010.

Fino a quel momento continuò a lavorare a Java che aveva rilasciato nel 1995 (la data ufficiale è il 23 maggio 1995).

Le sue dimissioni furono spiegate sul suo blog; affermò che la loro ragione fosse difficile da motivare e che approfondirne le ragioni avrebbe fatto più male che bene (la frase criptica e, in qualche modo famosa, con la quale chiuse l’argomento fu:

“Just about anything I could say that would be accurate and honest would do more harm than good”.

Nel corso della sua carriera, James Gosling ha ricevuto numerosi premi, tra cui l’Economist Innovation Award e l’Officer of the Order of Canada. È personalmente detentore di una lunga serie di brevetti.

Java: perché il linguaggio di programmazione si chiama così

Il progetto “Oak” (quercia) di Sun Microsystem nasce nel giugno 1991. Oltre a Gosling, vi lavorano Mike Sheridan e Patrick Naughton. Il nome, che deriva dall’albero visibile fuori dall’ufficio dell’informatico canadese, muta presto in “Green” (verde) per essere poi trasformato definitivamente in Java.

Ci sono varie teorie in merito al perché del nome Java:

  • Secondo alcuni, deriverebbe dalla grande quantità di caffè di questa marca indonesiana che i tre programmatori consumavano abitualmente. Questa teoria troverebbe conferma nel logo del linguaggio di programmazione, una tazzina di caffè fumante.
  • Un’altra teoria fa riferimento all’acronimo Just Another Vague Acronym, ovvero “solo un altro vago acronimo”.
  • Infine, si sostiene anche la possibilità che il nome sia stato scelto a caso da un elenco.

Ciò che è sicuro è che il nome Green dovette essere abbandonato per motivi di copyright.

Il logo Java nel 1996
Il logo Java nel 1996

Caratteristiche riconosciute a Java

La sintassi di base di Java è simile a quella di C e C++. Si tratta di una precisa scelta, finalizzata a renderne facile la comprensione da parte degli sviluppatori. Sono però state rimosse alcune caratteristiche che si riteneva potessero portare a criticità o bug; tra queste l’aritmetica dei puntatori e l’ereditarietà multipla delle classi.

Java nasce per interagire con la televisione, ma si rivela troppo avanzato per la tecnologia adottata dalle TV via cavo degli anni Novanta. Quindi viene prima dirottato su piccoli dispositivi elettronici e in seguito, con la diffusione di Internet, adattato alla programmazione per la Rete globale.

Il compilatore originale, ossia la prima Java Virtual Machine (JVM) che consente a un computer di eseguire programmi scritti sia in Java sia in altri linguaggi tradotti, si deve allo stesso Gosling e risale al 1994.

Netscape adottò ben presto la JVM per il suo browser

Gli obiettivi originali degli sviluppatori erano:

  • creare un linguaggio semplice, orientato agli oggetti e familiare (vedi la scelta di C e C++);
  • che fosse robusto e sicuro, oltre che indipendente dalla piattaforma;
  • che potesse eseguire codice da sorgenti remote in modo sicuro.

Una delle caratteristiche che hanno determinato il successo di Java risiede nell’acronimo WORA, ossia Write Once Run Anywhere: scrivi una volta, esegui ovunque. Ciò a sottolineare la possibilità di esecuzione su tutte le piattaforme che supportano Java, senza bisogno di ricompilazione.

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Giro delle Fiandre: storia, percorsi, successi e curiosità https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/ https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/#respond Tue, 22 Mar 2022 16:05:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39591 Il Giro delle Fiandre (Ronde van Vlaanderen in fiammingo) è una delle cosiddette 5 classiche monumento del ciclismo su strada. Le altre corse che ne fanno parte sono:

  • Milano-Sanremo
  • Parigi-Roubaix
  • Liegi-Bastogne-Liegi
  • Giro di Lombardia.

Molti considerano il Giro delle Fiandre l’università del ciclismo e per almeno 3 buoni motivi.

  1. In primo luogo si disputa nella parte fiamminga del Belgio, dove il ciclismo è considerato poco meno di una religione.
  2. In secondo luogo è celebre per i cosiddetti muri – salite brevi ma spesso ripidissime – e i pavé, dove i più forti possono fare la differenza.
  3. Ed è proprio questo il terzo punto: raramente il Fiandre “laurea” un carneade, perché per vincere una gara alla quale puntano tutti i migliori specialisti, belgi e non solo, e per di più su un percorso così duro, è necessaria tanta tanta classe e una condizione di forma al top.
Giro delle Fiandre illustrazione

La storia del Giro delle Fiandre

La prima edizione del Fiandre si è corsa il 25 maggio 1913. La fama e l’importanza della gara sono cresciute progressivamente fino a portarla definitivamente nel novero delle classiche del nord, le gare che si svolgono in primavera in Belgio, Olanda e Francia settentrionale. È anzi la prima classica del Nord in calendario e precede di una settimana la Parigi – Roubaix.

Ad avere iscritto più volte il proprio nome nell’albo d’oro, con tre trionfi a testa, sono:

  • Achiel Buysse
  • Fiorenzo Magni
  • Eric Leman
  • Johan Museeuw
  • Tom Boonen
  • Fabian Cancellara.

Il toscano Magni è l’unico riuscito nell’impresa di ottenere le sue tre vittorie in modo consecutivo.

I belgi, da soli, nel primo secolo di storia di questa corsa hanno vinto il Fiandre un numero di volte quasi doppio rispetto ai corridori di tutti gli altri Paesi messi insieme. Ciò a conferma di quanto sia difficile primeggiare per chi non è nato da queste parti e non ha quindi l’abitudine a correre sui muri, con il vento, la pioggia e il gelo delle Fiandre.

Il percorso

Nelle prime edizioni il percorso superava ampiamente i 300 chilometri andando a toccare tutte le principali città del Belgio fiammingo.

In anni più recenti lo si è ridotto a “soli” 250-260 chilometri.

A differenza di gare come la Milano – Sanremo, il percorso varia spesso, anche perché le condizioni dei muri richiedono una manutenzione frequente; non è scontato che tutti i muri siano percorribili il giorno della corsa.

Negli anni a cavallo tra la fine dei 2010 e l’inizio dei 2020 l’arrivo è spesso fissato a Oudenaarde, cittadina sul fiume Schelda.

Il muro simbolo della corsa

Il simbolo della corsa è probabilmente il Muro di Grammont, o Muur van Geraardsbergen in fiammingo, come amava ricordare Adriano De Zan nelle sue appassionate telecronache, o anche Kapelmuur perché giusto in cima c’è una piccola chiesa.

E’ simbolico sia per la difficoltà dell’ascesa, che tocca anche la pendenza del 20%, sia perché in questo tratto si sono spesso decise le sorti della corsa, magari dopo duelli epici.

Un duello epico fu quello del 2010: lo svizzero Fabian Cancellara staccò l’idolo di casa Tom Boonen e si involò per cogliere il 1° dei suoi 3 successi: fu un trionfo clamoroso – ma non scevro di polemiche.

Cancellara Fiandre 2010
Fabian Cancellara sul pavé del Fiandre 2010 con moltissimi tifosi che lo incitano

Altri muri quasi altrettanto famosi e spettacolari sono:

  • l’Oude Kwaremont
  • il Paterberg
  • il brutale Koppenberg, che tocca il 22% di pendenza!

I tifosi

Sono tanti gli aneddoti sui tifosi che circondano questa corsa. Ogni storia testimonia l’infinita passione dei fiamminghi per il ciclismo e per il “loro” Giro delle Fiandre in particolare.

Si dice che fra i tifosi assiepati ai margini delle strade la birra – bevanda tradizionale del paese – scorra a fiumi e l’odore degli hotdog impregni l’aria per ore. Ma non tutti i tifosi sono “stanziali”: ci sono autentiche gare per riuscire a vedere più volte il passaggio degli atleti; e per riuscirci i tifosi si spostano in macchina da un punto all’altro del percorso.

Ovviamente non possono percorrere le stesse strade dei corridori e sono quindi costretti a studiare alternative che includono stradine di campagna a malapena transitabili.

Il colore predominante lungo tutto il percorso è decisamente il giallo, non solo quello dorato delle birre ma anche e soprattutto quello del leone fiammingo: la bandiera delle Fiandre rappresenta un leone nero in campo, appunto, giallo.

Bandiera delle Fiandre - Flanders flag
La bandiera delle Fiandre: un leone nero con lingua e artigli rossi campeggia sullo sfondo giallo

I vincitori italiani

Quando Fiorenzo Magni partì per andare a cogliere il suo primo trionfo, i corridori italiani non erano considerati adatti alle corse del Nord, tanto che non solo non vi partecipavano, ma nemmeno le conoscevano in dettaglio. La stessa squadra del toscano, la Willier Triestina, gli accordò il permesso di partecipare ma senza garantirgli alcun supporto.

Così Magni partì in treno, con la sua bicicletta e un unico gregario. Vinse la volata finale dopo 7 ore e 20 minuti di gara. Era il 10 aprile 1949.

Gli altri due successi consecutivi (1950 e 1951), ottenuti entrambi per distacco, gli valsero il soprannome di Leone delle Fiandre.

Il fenomenale “terzo uomo” del ciclismo italiano (chiamato così perché considerato tra i grandissimi della sua epoca, dopo Fausto Coppi e Gino Bartali) aveva uno spaventoso furore agonistico. Era un passista di rara potenza e si trovava perfettamente a suo agio nel gelo e nella pioggia, condizioni che spesso caratterizzano le Fiandre a inizio aprile.

Fiorenzo Magni - Fiandre 1951 - Tuttosport
La prima pagina del quotidiano sportivo Tuttosport (3 aprile 1951) con Fiorenzo Magni vincitore del Giro delle Fiandre

Il secondo italiano a imporsi fu il veneto Dino Zandegù, nel 1967.

Bisognerà poi aspettare fino al 1990 per un nuovo trionfo italiano. Quello di Moreno Argentin, che vinse al termine di una fuga a due con il belga Dhaenens.

Quattro anni (1994) dopo si parlò di Pasqua di resurrezione perché, alla fine di una splendida corsa che aveva chiamato allo scoperto molto presto i grandi favoriti, si impose Gianni Bugno, “risorgendo” da un periodo buio, con un contestatissimo sprint sul belga Museeuw; altro campione che su queste strade ha scritto pagine importanti.

Poco sofferta nel 1996 la vittoria del toscano Michele Bartoli, per quanto agevole possa essere un trionfo al Fiandre, in considerazione della straordinaria superiorità del toscano.

Il primo decennio del 2000 vide diverse vittorie tricolori: Gianluca Bortolami nel 2001; Andrea Tafi nel 2002; il veneto Alessandro Ballan vinse nel 2007 e l’anno successivo sarebbe diventato campione del mondo a Varese.

Nel 2019 vinse a sorpresa Alberto Bettiol, staccando di forza gli avversari con un’irresistibile progressione sull’Oude Kwaremont.

Le donne

Dal 2004 si disputa anche la corsa femminile, nello stesso giorno e sulle stesse strade degli uomini, sia pure su un chilometraggio ridotto.

La prima edizione fu vinta dalla russa Zul’fija Zabirova.

Le azzurre non si sono però limitate a fare da comprimarie e possono vantare già 2 successi. La prima vittoria risale al 2015 (edizione corsa su un totale di 145 chilometri) quando una Elisa Longo-Borghini realmente in stato di grazia salutò una compagnia comprendente tutte le più forti a 20 chilometri dall’arrivo, per non essere più rivista fino al traguardo.

Nel 2019 fu la campionessa europea in carica, Marta Bastianelli, a replicare: fulminò in volata due fuoriclasse come Annemiek van Vleuten e Cecilie Ludwig.

Fiandre 2019 - Alberto Bettiol e Marta Bastianelli
Al Fiandre 2019 i vincitori sono entrambe italiani: Alberto Bettiol e Marta Bastianelli

Sito ufficiale

Se state pianificando una gita e un viaggio in Belgio per assistere alla gara o addirittura pedalare lungo i percorsi del Giro delle Fiandre, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale Visit Flanders.

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Miracolo di Belo Horizonte https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/ https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/#respond Fri, 28 Jan 2022 10:30:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38548 Quando l’Inghilterra calcistica perse contro gli Stati Uniti d’America

Il Miracolo di Belo Horizonte è un’espressione con cui si ricorda un evento sportivo storico. Ai mondiali di calcio del 1950, che si svolsero in Brasile, l’Inghilterra perse contro gli USA.

Il contesto

Nel 1950 l’Inghilterra partecipa per la prima volta al campionato mondiale di calcio. Gli inglesi sono considerati gli inventori del gioco (ne abbiamo parlato nell’articolo sulla storia del calcio); prima di questa edizione tuttavia non avevano mai partecipato ai campionati del mondo. Si sono autoesclusi dalla FIFA (Fédération Internationale de Football Association) e non sono stati inclusi tra i partecipanti alle prime tre edizioni (1930, 1934, 1938).

Ma sono pur sempre i “maestri inglesi” e quando arrivano in Brasile, sede della manifestazione, hanno alle spalle una serie pressoché ininterrotta di successi, spesso travolgenti, colti nel secondo dopoguerra.

Di contro gli Stati Uniti hanno preso parte a tutte le edizioni precedenti, cogliendo anche un inatteso 3° posto nel corso della prima manifestazione assoluta, nel 1930. Negli anni che precedono questa 4ª edizione, hanno subito quasi solo sconfitte, anzi disfatte. Ciononostante trovano la forza di qualificarsi, a spese di Cuba.

Le squadre

Viste le premesse, i Maestri sono gli ovvi favoriti della manifestazione. Hanno sconfitto due volte in amichevole gli Azzurri, detentori del titolo dal 1938 (le edizioni del 1942 e del 1946 sono state annullate a causa della guerra). Tra i favori ci sono anche i padroni di casa verde-oro.

Per dare un’idea del livello, nella nazionale di Sua Maestà militavano attaccanti del calibro di:

  • Stanley Matthews, futuro baronetto e 1° vincitore del Pallone d’oro;
  • Stan Mortensen, celebre in Italia per un gol segnato alla Nazionale azzurra con un tiro a effetto dalla linea di fondo che beffò un sorpresissimo Valerio Bacigalupo.

Di contro, gli Americani erano quasi tutti dilettanti; alcuni addirittura in attesa della cittadinanza statunitense.

La partita: il Miracolo di Belo Horizonte

E’ giovedì 29 giugno 1950.

Le squadre di Inghilterra e USA si presentano sul terreno di gioco di Belo Horizonte, città capitale dello Stato del Minas Gerais.

Ad arbitrare la partita c’è l’italiano Generoso Dattilo.

Siamo alla seconda giornata del girone di qualificazione. Gli inglesi hanno vinto la loro prima partita; gli statunitensi sono invece stati sconfitti 3-1dalla Spagna, pur essendo rimasti in vantaggio fino ai 10 minuti finali.

Inizia la partita.

Gli inglesi partono subito all’attacco; creano numerose occasioni per portarsi in vantaggio, ma al 37° minuto è l’attaccante americano Joseph Gaetjens (detto Joe), di origine Haitiana, a segnare di testa, beffando clamorosamente l’incerto goalkeeper inglese (portiere) Bert Williams.

Per il resto del primo tempo e per tutta la ripresa, gli uomini del c.t. britannico Walter Winterbottom cercano di raggiungere almeno il pareggio, ma invano.

I minuti finali

Al minuto 82′, il difensore USA Charlie Colombo atterra fallosamente Mortensen al limite dell’area. Gli inglesi reclamano il calcio rigore, ma Dattilo assegna loro un calcio di punizione. Dagli sviluppi di quest’ultimo l’Inghilterra arriva a sfiorare il gol di testa sotto porta: il tiro viene bloccato da Borghi sulla linea. L’Inghilterra invoca il gol, ma per l’arbitro Dattilo la palla non ha superato la linea di porta.

L’autentico eroe della partita è proprio il portiere Frank Borghi, autore in questa storica giornata sportiva di epiche parate.

L’episodio e i l’avvicinarsi della fine del match minano il morale dei britannici, che rischiano addirittura di subire lo 0-2 pochi istanti dopo.

Si arriva al fischio finale: gli Stati Uniti d’America battono l’Inghilterra per 1-0.

La gioia degli americani è incontenibile. Anche il pubblico brasiliano è entusiasta della partita che viene vissuta come una vera impresa eroica, tanto che invade il terreno di gioco portando in trionfo Joe Gaetjens.

Miracolo di Belo Horizonte - Joe Gaetjens portato in trionfo
Il calciatore americano Joe Gaetjens portato in trionfo alla fine della partita

Curiosità

Prima della partita:

  • Il quotidiano britannico Daily Express scrisse: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando [agli Stati Uniti] tre goal di vantaggio”.
  • Il Belfast Telegraph definì gli statunitensi “una squadra di uomini senza speranza”.
  • La vittoria degli Stati Uniti sull’Inghilterra fu quotata 50:1 dagli allibratori.

Dopo la partita:

  • Per la stampa anglosassone l’arbitro italiano parteggiò per gli americani.

L’evento e la partita hanno ispirato il libro The game of their lives (1996) dello scrittore statunitense Geoffrey Douglas; ad esso poi è seguito il del 2005 “In campo per la vittoria“, diretto da David Anspaugh, con Gerard Butler nei panni del protagonista Frank Borghi.

giornale americano che ricorda Frank Borghi
Un giornale USA ricorda l’impresa di Frank Borghi (Soccer America, 26 aprile 1990)

Il proseguimento del mondiale di calcio 1950

L’esito del match Inghilterra-USA venne conosciuto dal resto del mondo con un certo ritardo. Va considerato che l’efficienza delle comunicazioni dell’epoca non è paragonabile a quella odierna. Un giornale britannico credette a un terribile errore di trascrizione della “velina” in arrivo dal Brasile: venne così diffusa la notizia della vittoria inglese per 10-1.

Sebbene sia entrata nella storia, paradossalmente questa partita fu abbastanza ininfluente per le due nazionali: entrambe le squadre persero la loro 3ª e ultima partita del girone e furono eliminate. Gli Stati Uniti persero contro il Cile; gli inglesi persero contro la Spagna.

A proseguire il cammino furono poi le Furie Rosse, che approdarono al girone finale, arrivando quarti al termine del campionato.

Al Miracolo di Belo Horizonte seguì un’altra partita capace di ribaltare clamorosamente il pronostico: fu proprio la finale del 1950, ricordata come la notte del Maracanazo. I favoritissimi padroni di casa del Brasile vennero sconfitti dall’Uruguay (che peraltro schierava fuoriclasse del calibro di Obdulio Varela, Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino).

Ma questa è un’altra storia.

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Concorso di poesia intitolato a Maria Virginia Fabroni: sui sentieri dell’esilio di Dante, edizione 2021 (Tredozio) https://cultura.biografieonline.it/tredozio-concorso-poesia-dante-maria-virginia-fabroni/ https://cultura.biografieonline.it/tredozio-concorso-poesia-dante-maria-virginia-fabroni/#respond Tue, 02 Mar 2021 12:28:59 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32947 I poeti e la Romagna

Non è solo la poesia ad unire Dante Alighieri e Maria Virgina Fabroni. Vi sono anche i luoghi, le colline ed i monti Appennini che dividono, anzi che uniscono la Romagna alla Toscana. Il concorso nazionale di poesia organizzato dal comune di Tredozio (FC) rende omaggio come ogni anno alla sua illustre concittadina Maria Virginia Fabroni; l’edizione 2021, la quinta, celebra nel contempo i 700 anni dalla morte di Dante. Il tema del concorso sono proprio i luoghi e i percorsi del suo esilio.

Il concorso di poesia

Fino alla fine di marzo 2021 si avrà tempo per inviare le proprie poesie, in modo gratuito. E’ un’occasione di confronto e di prova, ricca di valore.

La poesia vincitrice verrà riprodotta su un muro del comune di Tredozio.

Come partecipare

V Edizione Concorso Di Poesia “Maria Virginia Fabroni”

Tema: “Sui sentieri dell’esilio dantesco”

Tutte le info per partecipare nel regolamento di seguito:

L’edizione precedente

L’organizzazione del comune di Tredozio ha dimostrato grande impegno e passione negli anni: il concorso è cresciuto moltissimo e nell’edizione 2020 ha superato brillantemente anche l’ostacolo della pandemia. Nell’edizione precedente infatti la giuria ha selezionato i vincitori da remoto, durante la primavera passata in lockdown. Il comune di Tredozio, grazie allo straordinario impegno del vicesindaco Lorenzo Bosi, ha avuto poi la possibilità in estate di organizzare e riunire la giuria e i premiati. Sono stati consegnati gli attestati ai poeti vincitori, celebrando le poesie più belle con menzioni speciali.

Alcuni momenti della premiazione 2020. Tra gli altri, nella giuria: Stefano Moraschini (primo a sinistra), editore di Biografieonline.it; Anna Maria Fabbroni (a destra), poetessa discendente di Maria Virginia.

Di seguito la poesia vincitrice dell’edizione 2020, del poeta Pasquale Quaglia.

Tema: I colori dell’autunno / Foliage

Titolo: Le preghiere sottili

Ho uno spazio di cornici dentro casa
abitato dai bambini che sono stato
i compleanni scordati
i volti dal nome lontano, gli sguardi
istanti fermi che non sono stati persi
e una cartolina disegnata in corsivo:
l’attesa di un vecchio seduto sul vimine
un arco di pietre, il mercato rionale
il rosso delle foglie senza peccato
e il Tramazzo che ride alle sere di ottobre
– a loro affido le preghiere sottili.

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Guerra civile spagnola: riassunto https://cultura.biografieonline.it/guerra-civile-spagnola-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-civile-spagnola-riassunto/#comments Wed, 03 Feb 2021 16:03:19 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32188 In spagnolo è indicata come Guerra civil española. In Italia è riportata sui libri di storia come guerra civile spagnola oppure come guerra di Spagna. Gli eventi sono quelli caratterizzati da un conflitto armato nato da un colpo di Stato (in spagnolo: golpe) avvenuto il 17 luglio 1936. La guerra durò oltre tre anni, formalmente fino al 1° aprile 1939. Riassumiamo di seguito gli scenari e i fatti.

Legione Condor: un ufficiale tedesco con ragazzi militari spagnoli (Guerra Civile Spagnola)
Un ufficiale tedesco della Legione Condor con alcuni ragazzi spagnoli, militari cadetti

Lo scenario storico

Nel 1931 in Spagna venne promulgata la repubblica e adottata una Costituzione avanzata per l’epoca. Questi mutamenti andavano in direzione della democratizzazione del Paese, ma non potevano celare le profonde divisioni sociali che funestavano la società civile. Da una parte i proprietari terrieri e la nobiltà, che si identificheranno con la destra conservatrice, appoggiata dalla Chiesa cattolica e il cui leader si rivelerà Francisco Franco; dall’altra contadini e i pochi operai delle grandi città, gli uni e gli altri vessati e costretti a orari e turni di lavoro massacranti.

Il colpo di stato: 17 luglio 1936

In questo contesto hanno luogo le elezioni che, nel febbraio 1936, vedono una chiara vittoria del Fronte Popolare. Questo fonde comunisti, socialisti, repubblicani e alcune organizzazioni anarchiche. La reazione dei falangisti, esponenti della destra ultra-conservatrice e di buona parte delle gerarchie militari, si concretizza nel colpo di stato del 17 luglio. L’obiettivo è di instaurare una dittatura militare. Il tentativo di golpe ha successo solo parziale. Sono in particolare le masse operaie delle principali città spagnole (Madrid e Barcellona su tutte) a organizzare una resistenza, almeno inizialmente vittoriosa, costringendo addirittura alla resa i militari. È incominciata la guerra civile spagnola.

La guerra civile spagnola e la questione internazionale

A dispetto del nome con cui è ricordata, la guerra civile spagnola non resta affatto confinata al Paese. Si configura immediatamente come una questione internazionale. Il generale Francisco Franco fin dalle prime settimane appare il leader dei falangisti. Assume il comando pressoché assoluto della sua fazione e fa appello alle comuni radici ideologiche nel rivolgersi ai dittatori di Germania e Italia. Ottiene così un concreto aiuto militare.

Guerra civile spagnola: manifesto di propaganda
Manifesto di propaganda: la FE (Falange Española) cerca nuove reclute militari per combattere per “La patria, il pane e la giustizia”.

E’ in particolare Benito Mussolini a inviare in Spagna diverse decine di migliaia di uomini. Formalmente si tratta di volontari ma di fatto sono inquadrati nel Regio Esercito. Il contributo di Adolf Hitler è più limitato; esso è finalizzato soprattutto alla verifica sul campo di nuove armi e nuove tattiche. Alla resa dei conti, comunque, si tratta di un aiuto in grado di far pendere la bilancia dalla parte dei Falangisti.

I Repubblicani, partigiani del governo legittimo, ricevono un aiuto abbastanza incostante da parte dell’Unione Sovietica e, in misura minore, del Messico; arruolano nelle loro fila circa 40.000 volontari antifascisti provenienti da paesi europei e americani: le celebri Brigate internazionali (Brigadas Internacionales). Inoltre, dalla loro parte si schiera apertamente l’élite culturale mondiale: valga per tutti citare Ernest Hemingway – dalla cui esperienza sul campo nasce un capolavoro letterario quale “Per chi suona la campana“.

Tra gli altri intellettuali schierati con i Repubblicani ricordiamo anche:

Scelgono invece una politica di appeasement Francia e Regno Unito, che si fanno promotori di una politica di non-intervento. Italia e Germania non si fanno però scrupolo di violare, talora anche apertamente, gli accordi liberamente sottoscritti, a differenza delle due potenze occidentali. Pertanto il non-intervento finisce per rappresentare un grosso vantaggio per i Falangisti.

Le operazioni militari

Numericamente le forze in campo potevano sembrare di entità molto simile. Va però sottolineato che dalla parte di Franco vi era una consistente porzione degli ufficiali: così il suo esercito poté beneficiare di un’organizzazione migliore. A questo si aggiunga la messe di aiuti dei paesi fascisti, tanto in armi quanto in uomini, che fecero pendere definitivamente l’ago della bilancia dalla parte dei Falangisti.

Merita di essere ricordata la “Legione Condor“, un’unità dell’aviazione militare hitleriana che si rese protagonista di diversi spietati bombardamenti – antesignani delle operazioni che da ambo le parti caratterizzeranno la seconda guerra mondiale – tra cui resterà tristemente famoso quello della cittadina di Guernica il 26 aprile 1937. A questo triste evento è ispirato l’omonimo e celebre quadro di Pablo Picasso.

Guernica: il dettaglio della testa del cavallo con una bomba all'interno della bocca
Guernica, uno dei quadri più famosi di Picasso. Nel dettaglio: la testa di un cavallo con una bomba all’interno della bocca.

Di contro i Repubblicani potevano contare soprattutto sull’ardore ideologico, sulla disperata difesa dei diritti così faticosamente acquisiti da parte delle vessate masse popolari e sulla organizzazione delle schiere operaie, oltre alla simpatia internazionale che porterà alla costituzione delle già citate Brigate Internazionali.

Una guerra prolungata

Ci fu un primo periodo di sostanziale stallo: esso vide il successo, assolutamente inatteso, dei legalisti repubblicani che riuscirono a espellere l’esercito fedele a Franco da Madrid. In seguito i nazionalisti riuscirono a prendere il sopravvento e avviarono una campagna per la riconquista di Madrid. Ciò grazie anche all’arrivo delle ben addestrate truppe marocchine, trasportate sul suolo spagnolo da navi tedesche e italiane. È degno di nota che Francisco Franco, pur avendo identificato la capitale come la chiave per la vittoria, scelse di avviare numerose campagne secondarie che distolsero i Nazionalisti dall’obiettivo principale, prolungando la guerra.

Il prolungamento della guerra era proprio l’intento di Franco. Egli non voleva una pace che lasciasse alla fazione nemica forze sufficienti a rappresentare un ostacolo. Sono coerenti con questa strategia:

  • le campagne del Nord,
  • l’offensiva in Catalogna,
  • la decisiva battaglia dell’Ebro.

Francisco Franco assunse il titolo di Caudillo – che può essere equiparato a quello di duce. Le sue truppe fecero il loro ingresso a Madrid nel marzo 1939.

Francisco Franco con Benito Mussolini
Il Caudillo Francisco Franco con il Duce Benito Mussolini

La fine della guerra civile spagnola e il dopoguerra

Il 1° aprile 1939, con la cessazione dei combattimenti, anche se alcuni focolai di resistenza rimasero attivi addirittura fino agli anni Cinquanta, Franco emise il bollettino della vittoria.

La repressione e le punizioni che seguirono la vittoria furono spietate. L’italiano Galeazzo Ciano ne rimase colpito nel corso di una visita ufficiale, nel luglio 1939, quindi oltre tre mesi dopo il termine della guerra. Molti combattenti repubblicani preferirono l’esilio, oltrepassando il confine con la Francia o imbarcandosi per i paesi del centro e sud America, quando non addirittura il suicidio. La popolazione, che già nell’anteguerra viveva spesso in condizioni di estrema povertà, subì ovviamente le conseguenze più pesanti delle distruzioni di oltre 3 anni di guerra.

L’estrema debolezza militare ed economica del Paese spinse Franco a tenere la Spagna fuori dalla Seconda Guerra Mondiale; è un’operazione che seppe portare a termine con abili manovre diplomatiche, ma che non impedì alla Spagna di restare isolata e giocare un ruolo meno che marginale sulla scena politica mondiale. Questo fino alla caduta del regime franchista avvenuta nel 1975.

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La battaglia di Verdun, riassunto https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-verdun/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-verdun/#respond Thu, 15 Oct 2020 16:57:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30556 Pochi nomi come Verdun sono sinonimo di morte, di devastazioni e di indicibili sofferenze. La battaglia di Verdun, o meglio la campagna di Verdun, fu una delle più lunghe, sanguinose e, paradossalmente, inutili di tutta la Grande Guerra. Al termine nessuno dei due contendenti aveva minimamente conseguito i propri obiettivi iniziali, ma da essa uscirono entrambi stremati, i Francesi più dei Tedeschi. Ebbe luogo dal 21 febbraio al 19 dicembre 1916.

La battaglia di Verdun: cause ed origini

Nei primi mesi del 1916, i Tedeschi erano decisi a forzare una decisione per portare a una conclusione rapida e favorevole la guerra. Identificando nei Francesi il nemico sconfitto le cui ostilità sarebbero cessate, scelsero di portare a logoramento, sia materiale che morale, la nazione transalpina.
Secondo l’Imperatore Guglielmo II, il principale nemico della Germania era la Gran Bretagna che andava sconfitta togliendole “dalle mani la miglior spada che possedeva” . Cioè l’esercito francese.

Il piano consisteva nello scegliere un obiettivo che i Francesi considerassero vitale e che fossero perciò costretti a difendere a qualsiasi costo; e consisteva nello scagliare contro tale obiettivo ondate su ondate di attacchi, in modo da attirare via via le riserve del nemico, fino a quando questi non avesse più avuto disponibilità di mezzi e materiali e avesse dovuto accettare la resa.

È opportuno sottolineare che la Germania contava 65 milioni di abitanti allo scoppio delle ostilità, rispetto ai 39 milioni di francesi. Fu una netta superiorità tedesca, quindi, benché mitigata dalla necessità di combattere su più fronti. In parole povere, i Tedeschi erano convinti che le forze del nemico si sarebbero esaurite prima delle loro.

La posizione di Verdun sulla mappa geografica
La posizione di Verdun sulla mappa geografica

La cittadina di Verdun

All’epoca Verdun contava solo 3.000 abitanti e non rivestiva alcuna importanza economica. Dal punto di vista strategico era però ritenuta essenziale, perché costituiva il punto focale della difesa francese, saldando i due settori del fronte: settentrionale e meridionale. Era inoltre un saliente che si incuneava, con effetti deleteri, nelle linee tedesche.

Infine, Verdun aveva un forte valore simbolico: circondata com’era di fortezze che furono costruite sotto il Re Sole, conquistate dai Prussiani nel 1792 ma invitte nella pur vittoriosa, dal punto di vista tedesco, guerra del 1870. Verdun venne quindi scelta come punto nel quale sferrare l’attacco. La responsabilità di questo fu affidata a Erich von Falkenhayn, Capo di Stato Maggiore e Ministro della Guerra.

Le prime operazioni

Il maltempo determinò un rinvio delle operazioni offensive fino al giorno 21 febbraio 1916; operazioni che tuttavia i Tedeschi avevano pianificato di avviare il 12 febbraio. Principale conseguenza di questo ritardo fu il venire meno della sorpresa tattica che l’Alto Comando germanico aveva saputo conseguire.

I fanti dell’Imperatore si trovarono così ad affrontare nemici che li aspettavano.

Cionondimeno i Tedeschi conseguirono alcuni successi. In particolare, il giorno 25 febbraio 1916 espugnarono Fort Douaumont, con un fortunoso colpo di mano. Questa posizione vide nei mesi seguenti parecchie controffensive francesi che furono coronate da successo solo nell’ottobre, quando ormai i Tedeschi avevano parzialmente sgombrato la posizione, non più ritenuta di primaria importanza.

I successi dell’Impero Tedesco furono dovuti principalmente a una concentrazione di artiglieria senza precedenti, 850 pezzi tra i quali la celeberrima “Grande Berta” e un cannone navale Krupp montato su carro ferroviario. Furono inoltre utilizzate armi nuovissime per l’epoca, come lanciafiamme e aerei.

Big Bertha (Grande Berta)
Big Bertha (Grande Berta)

Di contro, i Francesi furono colti relativamente di sorpresa e fecero fatica a far affluire le loro riserve verso la prima linea, a causa dell’esistenza di un’unica strada che portava nel settore.

Arriva Pétain

Proprio il giorno della caduta di Fort Douaumont, si verificò un importante mutamento nei comandi francesi. Il comando del settore fu affidato a Philippe Pétain, carismatico generale molto amato dai soldati per le cui vite mostrava un rispetto all’epoca decisamente non comune.

Il generale Philippe Pétain

Con Pétain i Francesi scelsero una strategia difensiva, in netto contrasto con la loro dottrina prebellica, che era basata unicamente sull’attacco. Il futuro maresciallo diramò un ordine chiaro quanto sintetico: non cedere più terreno!

  • Si preoccupò di risparmiare al massimo le vite dei suoi uomini;
  • fece costruire strade e migliorare la logistica per garantire l’afflusso dei materiali alla prima linea;
  • introdusse la rotazione degli uomini, che poterono beneficiare di più frequenti turni di rotazione nelle retrovie.

Le operazioni assunsero così caratteristiche che si associano comunemente alla cosiddetta “guerra di trincea“.

Marzo fu inoltre inaspettatamente freddo e ricco di precipitazioni, anche a carattere nevoso: tutti questi fattori contribuirono ad arrestare i Tedeschi. In questo periodo si distinse nelle operazioni un giovane ufficiale francese, Charles De Gaulle; ferito, verrà catturato e rimarrà prigioniero fino al termine del conflitto.

Battaglia di Verdun: una foto di trincea
Battaglia di Verdun: una foto di trincea. Il nome in codice tedesco dell’evento fu Operazione Gericht (giudizio)

I Francesi all’attacco

Ma una strategia di pura opposizione non poteva essere accettata a tempo indeterminato dallo Stato Maggiore Francese; esso, come si è detto, era figlio di una dottrina che conosceva una sola parola: attacco. Ad aprile Pétain venne quindi sostituito e i Francesi passarono all’offensiva.

Gli uomini tornarono a essere solo carne da cannone e vennero scagliati in ondate successive contro trincee e apprestamenti difensivi che – semplicemente – non potevano espugnare.

È opportuno ricordare che le trincee erano solo parte di sistemi di difesa composti da mitragliatrici, filo spinato, cavalli di frisia ecc., contro i quali uomini a piedi e appesantiti dall’armamento dovevano lanciarsi, attraversando allo scoperto la “terra di nessuno”: lo spazio fra le proprie trincee e quelle nemiche.

Inoltre i feriti venivano spesso rispediti in prima linea dopo aver ricevuto cure sommarie. E’ qui che si può riscontrare una buona parte dell’orrore della battaglia di Verdun – proprio per esaurimento di quel materiale umano che veniva tenuto in nessun conto. I traumatizzati erano tacciati di codardia e dichiarati abili al combattimento: tornavano così in quelle trincee dove li aspettavano solo freddo, sporcizia, gas letali e malattie, quando non un proiettile nemico.

In definitiva, le offensive dei transalpini sortirono l’unico effetto di accrescere spaventosamente il numero dei caduti di entrambe le parti.

L’epilogo della battaglia di Verdun

Insoddisfatti dei risultati conseguiti, dopo un’ultima “limitata” offensiva (giugno 2016), nel corso della quale persero altri 250.000 uomini, gli Alti Comandi dell’esercito Imperiale sostituirono Falkenhayn con la coppia formata da Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff; essi scelsero a loro volta una strategia difensiva, in attesa degli attacchi nemici.

In parte la decisione fu dovuta alla contemporanea offensiva inglese, più a nord, in quella che verrà poi etichettata come battaglia della Marna, e il cui scopo principale era proprio quello di “alleggerire” la situazione degli esausti Francesi attorno a Verdun.

Anche la Marna si risolverà in una insensata carneficina, così come le ultime ridotte offensive dell’esercito francese attorno a Verdun.

La campagna di Verdun termina ufficialmente il 19 dicembre 1916: in questo giorno i contendenti si arrestano sia per l’esaurimento di uomini e mezzi, sia per la dura stretta imposta da un inverno particolarmente rigido.

Conclusioni

Verdun influenzò pesantemente le concezioni tattiche dei due contendenti, non solo per il proseguo della Grande Guerra ma anche per gli anni successivi fino alla Seconda Guerra Mondiale. Se i Francesi scelsero di perfezionare tattiche e apprestamenti difensivi, i Tedeschi fecero esattamente l’opposto, teorizzando la guerra di movimento e l’infiltrazione nel territorio nemico in modo totalmente svincolato dalla conquista di posizioni fisse: in definitiva il blitzkrieg, la guerra lampo.

Ma più importante della teoria è senz’altro la necessità di sottolineare i patimenti di chi ebbe la sventura di combattere a Verdun: non bastano le aride cifre che parlano di 368.000 perdite tra i Francesi e 330.000 fra i Tedeschi, compresi feriti e prigionieri, a descrivere l’orrore. E forse nemmeno le definizioni di alcuni storici come Lucio Villari (“Gli uomini contavano meno dei mezzi”) o Antonio Gibelli (“Un processo industriale senza fine della morte umana”).

Forse meglio che altrove, l’inferno di Verdun è stato descritto da Erich Maria Remarque nel suo celeberrimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale“.

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Guerra delle Falkland: riassunto e breve analisi dei fatti storici https://cultura.biografieonline.it/guerra-delle-falkland/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-delle-falkland/#respond Fri, 29 May 2020 15:53:47 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=29350 La guerra delle Falkland è ricordata anche come guerra delle Malvine. Lo scontro militare avvenne tra i mesi di aprile e giugno dell’anno 1982. L’evento bellico vide contrapposti Argentina e Regno Unito per il controllo e il possesso delle isole Falkland. In inglese la guerra è indicata come Falklands War, in spagnolo Guerra de las Malvinas.

Guerra della Falkland: distanze, basi e movimenti della flotta britannica
La mappa evidenzia la posizione delle Falkland illustrando le distanze, le basi e i movimenti della flotta britannica

Guerra delle Falkland: le date

L’invasione iniziò storicamente il 2 aprile 1982, quando i reparti dell’esercito argentino cominciarono l’invasione delle isole Falkland, un territorio composto dai 3 arcipelaghi: le Falkland propriamente dette, le Georgia del Sud e le isole Sandwich meridionali. Il conflitto durò 73 giorni, fino al 14 giugno 1982.

Come si arrivò a questa guerra, relativamente breve ma sanguinosa?

Scopriamolo nei paragrafi seguenti che riassumono i fatti storici relativi alla Guerra delle Falkland.

Lo scenario della vigilia

Ecco il quadro dello scenario prima dell’inizio delle operazioni. Gli inglesi governano l’arcipelago che occuparono nel 1833, espellendone i militari argentini. Da allora la componente principale della popolazione è britannica e più specificamente scozzese. Ma gli Argentini non hanno mai smesso di rivendicare le Falkland, che chiamano Malvinas.

Nel 1982 il generale argentino Leopoldo Galtieri, a capo della giunta militare insediatasi a Buenos Aires, decise di invadere militarmente gli arcipelaghi per ristabilire una volta per tutte il dominio dell’Argentina. La decisione fu causata da una grave crisi economica che inevitabilmente portò allo scontento la popolazione. La guerra – si pensava – avrebbe distratto gli argentini e risvegliato i loro sentimenti patriottici.

Anche nel Regno Unito la crisi economica era acutamente sentita. Erano appena stati apportati tagli importanti alle spese per la difesa, che erano ricaduti in modo particolare sulla Royal Navy, proprio l’arma alla quale sarebbe stato richiesto lo sforzo maggiore nella imminente guerra.

La crisi diplomatica

La pressione della giunta argentina sul governo britannico assunse inizialmente un carattere prettamente diplomatico. Alla rivendicazione dell’arcipelago fu affiancata un’intensa attività in sede ONU, che raggiunse il suo culmine nella minaccia diretta di ricorrere all’invasione.

Londra non rispose, e anche questa passività contribuì a convincere la giunta che il governo britannico fosse troppo sfiduciato e concentrato su economia e politica interna, per aver conservato la volontà di combattere per le Falkland. Dopotutto, a Buenos Aires si pensava che una volta che ci si fosse impadroniti militarmente delle isole, gli inglesi non avrebbero potuto che considerarlo un fait accompli.

L’invasione

Il 19 marzo 1982 un gruppo di pescatori argentini sbarcò nella disabitata Georgia del Sud. Subito dopo lo sbarco, però, indossarono uniformi militari e innalzarono la bandiera a bande bianco azzurre con il Sol de Mayo. Era l’apertura delle ostilità.

Nelle intenzioni della giunta, questa operazione di minore entità doveva essere seguita da altre, secondo il principio che a esserne interessati sarebbero stati i tre arcipelaghi, in ordine crescente di importanza politica. Quindi, se non si fosse arrivati a un riconoscimento diplomatico della sovranità argentina, le Falkland propriamente dette sarebbero state invase per ultime.

Fu proprio così che si svilupparono gli eventi.

Sulle isole Sandwich Meridionali, però, gli invasori si scontrarono con una forte opposizione e riuscirono a ultimarne la conquista solo il 3 aprile 1982.

Nel frattempo, e precisamente nella notte tra l’1 e il 2 aprile, era cominciata l’invasione delle Falkland.

I commando, primi a sbarcare, puntarono contro la caserma dei Royal Marine e contro l’abitazione del governatore, nella capitale Port Stanley (Puerto Argentino per gli invasori). Le operazioni ebbero termine in 11 ore soltanto.

Il tentativo diplomatico

Insediatisi gli argentini nei 3 arcipelaghi, cominciò una febbrile attività diplomatica. A grandi linee, le opinioni al Palazzo di Vetro erano divise tra chi riteneva che l’azione argentina fosse in qualche modo legittima, in quanto l’occupazione inglese aveva origine coloniale, e chi la considerava un atto di guerra inaccettabile.

Si arrivò così allo stallo diplomatico, confermato dallo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuéllar, il quale ammise che i suoi sforzi per una composizione pacifica della questione, non avevano sortito effetto.

La parola passava così definitivamente alle armi.

La reazione inglese

Anche all’interno del Regno Unito si sviluppò un dibattito piuttosto acceso sulla Guerra delle Falkland. Da una parte vi erano coloro che ritenevano inutile – oltre che pericoloso – impegnare le forze militari, ridotte dalla crisi economica, tanto lontano dalla madrepatria e per un obiettivo di limitata importanza. Dall’altra parte c’era chi riteneva necessario combattere per riaffermare l’idea dell’Impero inglese come capace di proiettare a distanza la sua forza.

Prevalse quest’ultima tesi, che peraltro era quella sostenuta dal Primo Ministro, la Lady di ferro Margaret Thatcher.

Margaret Thatcher
Margaret Thatcher

Presa la decisione, il Regno Unito mise in campo una poderosa forza, comprendente 13.000 uomini e oltre 100 navi. A questo scopo, si “raschiò il fondo del barile”, ottenendo l’aiuto anche degli altri paesi del Commonwealth, e in particolare dell’Australia che si assunse l’incarico di difendere aree dell’Impero rimaste sguarnite.

Se le forze in campo erano più o meno uguali, limitatamente a soldati e aviazione (la Royal Navy era nettamente superiore alla controparte argentina), lo stesso non si poteva dire della loro qualità: l’esercito argentino, di leva, era composto prevalentemente da uomini ancora nelle prime fasi dell’addestramento, mentre gli inglesi erano militari professionisti.

Gli inglesi avevano anche un sensibile vantaggio qualitativo nei mezzi a disposizione dell’aviazione, per quanto i piloti argentini rivelassero doti di aggressività e coraggio che non mancarono di suscitare ammirazione negli stessi nemici.

Guerra delle Falkland: inizio maggio 1982. Dispiegamento delle forze aeronavali
1 – 2 maggio 1982: dispiegamento delle forze aeronavali di Argentina e Gran Bretagna nell’Atlantico del Sud

Le operazioni militari

Gli inglesi riconquistarono in breve le isole della Georgia, pressoché indifese, che trasformarono in una piccola base. Nel corso dei combattimenti i difensori persero il sottomarino Santa Fe. Sistemata così la questione, la guerra delle Falkland continuò soprattutto con lo scontro aeronavale mirato a garantire la supremazia nei cieli del teatro delle operazioni.

In questa fase, il sottomarino nucleare HMS Courageous affondò l’incrociatore General Belgrano, mentre gli inglesi lamentarono la perdita del cacciatorpediniere Sheffield, affondato da un missile Exocet aerotrasportato, di 2 fregate e di naviglio minore.

L'affondamento dell'incrociatore General Belgrano durante la Guerra delle Falkland
Una foto che immortala l’affondamento dell’incrociatore General Belgrano

Si garantirono però la superiorità aerea e questo risultò determinante nel consentire lo svolgimento delle operazioni successive e in particolare lo spostamento di truppe per mezzo di elicotteri. Poterono così sbarcare a San Carlos nella notte del 21 maggio uomini espertissimi dei Royal Marine, unitamente a un reggimento di paracadutisti.

Nonostante l’intensa opposizione dei resti dell’aviazione del paese sudamericano, gli inglesi poterono avanzare e unirsi a un ulteriore reparto, sbarcato il 27 maggio nei pressi dell’istmo che collega le due parti dell’isola. Riuscirono così a spingersi nell’interno e a conquistare il 28 maggio la località di Goose Green, dove caddero prigionieri oltre 1.000 soldati nemici.

Se si va avanti di questo passo, la guerra delle Falkland (o Malvine) finirà quando l’ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull’ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un’isola di Pecore.

Cit. INDRO MONTANELLI (Il Giornale, dalla rubrica Controcorrente, 27 maggio 1982)

La caduta di Port Stanley

Gli inglesi potevano così avanzare e conquistare le alture che circondano la capitale.

L’attacco cominciò la notte del 13 giugno e si risolse in un rapido successo, nonostante alcuni locali contrattacchi dell’esercito argentino.

La via per Port Stanley era a questo punto spalancata: alle 23.59 del 14 giugno 1982 venne proclamato il cessate il fuoco.

Si arresero 8 o 9.000 argentini – a seconda delle fonti. Il loro comandante, generale Mario Benjamín Menéndez, venne aspramente criticato in patria per aver ceduto alla pressione psicologica, più che a quella militare.

Le conseguenze del conflitto

La sconfitta patita ebbe gravi conseguenze politiche in Argentina. Vennero a galla le deficienze nella pianificazione e, soprattutto, gli errori di sottovalutazione del nemico. Pochi mesi dopo si dimise il dittatore, generale Galtieri, ed ebbe inizio il processo di democratizzazione della nazione argentina.

Si direbbe che a causa delle Malvine, l’Argentina è maturata improvvisamente. 

LEOPOLDO GALTIERI

Di contro, a Londra si riaffermò la popolarità di Margaret Thatcher in un momento di gravi tensioni interne. Londra concesse nuovamente agli abitanti delle Falkland lo statuto di cittadini inglesi e rafforzò il suo dispositivo militare nelle Falkland.

Sapevamo quello che dovevamo fare, siamo andati e lo abbiamo fatto. La Gran Bretagna è di nuovo grande!

MARGARET THATCHER

I caduti furono 649 argentini e 258 britannici.

A tutt’oggi, l’Argentina continua a rivendicare il possesso delle Isole Malvinas.

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Campagna di Guadalcanal: riassunto, fatti storici e protagonisti https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/ https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/#comments Sun, 03 May 2020 10:01:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28550 La Campagna di Guadalcanal ebbe inizio con lo sbarco dei marines nelle isole Salomone Meridionali, il 7 agosto 1942 e terminò il 9 febbraio del 1943, quando gli Americani constatarono che il nemico aveva evacuato l’intero settore. Secondo molti storici, rappresentò il turning point, il punto di svolta, della intera guerra nel Pacifico. Prima di questa campagna il Giappone aveva dettato tempi e modi della guerra, da Guadalcanal in poi l’offensiva fu sempre nelle mani degli Alleati.

Sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal
7 agosto 1942: lo sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal

Giappone e USA: la situazione alla vigilia

Dopo la disastrosa sconfitta a Midway, l’alto comando giapponese era come un pugile alle corde, incapace di reagire ai pugni subiti. Per diverse settimane, lo staff dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto – comandante in capo della Flotta Combinata – non fu in grado di elaborare piani.

Si trattava di un momento delicato: l’irreparabile perdita di 4 delle 6 portaerei della squadra di attacco esigeva un ridimensionamento degli obiettivi, se non proprio il passaggio a una fase difensiva.

Midway: portaerei in fiamme
Midway: una portaerei in fiamme

Di contro, gli americani non erano nella situazione ideale per sfruttare il successo: le loro forze erano ancora troppo deboli, in gran parte a causa della scelta politica sintetizzata nella locuzione Germany first, che privilegiava il teatro bellico europeo nell’assegnazione di risorse per la guerra.

Per ripetere una efficace metafora di dello storico H. P. Willmott, l’iniziativa era come una pistola abbandonata in strada: quale dei due contendenti l’avrebbe raccolta e avrebbe sparato per primo?

Guadalcanal: l’isola e la geografia

Nella parte meridionale delle Salomone giace l’isola che, fino allora sconosciuta, sarebbe diventata teatro di una delle campagne militari più famose e sofferte dell’intera seconda guerra mondiale.

Cartina geografica del teatro del Pacifico - 1942 - con la posizione di Guadalcanal
La cartina mostra l’area geografica del teatro del Pacifico. La grafica mostra i punti delle principali battaglie: Midway, Pearl Harbor, e Mar dei Coralli. Guadalcanal si trova vicino a quest’ultimo punto.

Nell’estate del 1942 Guadalcanal era un appezzamento di terra, per lo più disabitato, lungo circa 150 km e largo al massimo 53. Non era certo un luogo ospitale: le piogge erano frequenti e a carattere torrenziale, la zanzara della malaria molto diffusa e la giungla estremamente fitta. Eppure era stata scelta dal comando giapponese per allestire un aeroporto.

Gli Alleati temevano, con ragione, che questa posizione avrebbe consentito al nemico di minacciare la vitale rotta che collegava Stati Uniti e Australia; lungo tale via venivano indirizzati i mercantili che portavano uomini, armi e munizioni destinati alla difesa della Nuova Guinea e del continente australiano stesso.

Fu principalmente questo timore che indusse l’ammiraglio Chester W. Nimitz, comandante in capo della Flotta del Pacifico, a scegliere l’isola di Guadalcanal come teatro della prima offensiva americana nel Pacifico.

Lo sbarco e la reazione giapponese

L’operazione Watchtower ebbe inizio il 7 agosto, con gli sbarchi preliminari sugli isolotti di Gavutu-Tamambogo, seguiti dall’invasione di Tulagi, dove i giapponesi avevano approntato una base per idrovolanti nel maggio precedente, in occasione della battaglia del Mar dei Coralli.

L'incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra e 3 navi da carico al largo di Tulagi (Guadalcanal)
L’incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra (D33) al largo di Tulagi, durante gli sbarchi del 7 e 8 agosto 1942. Le navi visibili in lontananza sono tre mezzi da carico che sbarcano uomini e materiale. Sullo sfondo: Tulagi e le isole della Florida, parte delle Salomone.

Entrambe le operazioni incontrarono una resistenza maggiore del previsto, basata soprattutto su efficaci infiltrazioni notturne, tattiche nelle quali il fante nipponico eccelleva. Tutti gli obiettivi vennero comunque conquistati il 9 agosto, non senza la necessità di rinforzi.

Sull’isola di Guadalcanal erano acquartierati 2.230 giapponesi, circa 1.700 dei quali erano operai militarizzati. Alle 9.19 del 7 agosto cominciarono a sbarcare i marines del 1° e 5° reggimento, incorporati nella 1a divisione marines del generale Alexander A. Vandegrift, per un totale di 8.500 uomini.

La resistenza iniziale fu pressoché inesistente e gli americani, già nel primo pomeriggio, si impadronirono dell’aeroporto appena ultimato, che ribattezzarono Henderson Field, trovandovi anche una discreta quantità di materiale abbandonato dal nemico.

Attorno a questo obiettivo venne costituito un perimetro difensivo che sarà poi il teatro delle principali controffensive terrestri giapponesi. I soldati giapponesi, nonché opporsi allo sbarco dei marines, scelsero invece di rifugiarsi nella giungla all’interno dell’isola.

La battaglia di Savo

La reazione del Sol Levante fu affidata all’Ottava Flotta del viceammiraglio Gunichi Mikawa, composta da 5 incrociatori pesanti, 2 leggeri e un solo cacciatorpediniere.

Nella notte tra l’8 e il 9 agosto, questa squadra ottenne una delle vittorie numericamente più clamorose dell’intera guerra. Nel corso della battaglia di Savo riuscì infatti ad affondare 4 incrociatori pesanti alleati, senza perdere alcuna unità.

Fallì invece nell’obiettivo di localizzare e attaccare i mercantili nemici, ancora alla fonda e impegnati nello sbarco di materiali, e, in ultima analisi, nel conseguire un completo successo strategico.

La distruzione, o anche solo l’allontanamento dei mercantili, avrebbe certamente messo in crisi i marines, riducendo la loro capacità di opporsi alle imminenti controffensive terrestri.

Sviluppo della campagna di Guadalcanal

La campagna si sviluppò da allora secondo un canone ben preciso. Il possesso di Henderson Field garantiva agli americani il predominio dei cieli e, conseguentemente, la possibilità di operare, facendo giungere rinforzi e rifornimenti, alla luce del giorno.

Viceversa, l’oscurità, costringendo a terra gli aerei, andava a vantaggio dei giapponesi, addestrati a combattere di notte e in grado di far giungere, a loro volta, convogli ribattezzati Tokyo Express dagli americani; essi erano composti prevalentemente da cacciatorpediniere che, quasi ogni notte, trasportavano soldati e armi leggere dalle basi nelle Salomone settentrionali a Guadalcanal.

Le principali battaglie

È difficile isolare le singole battaglie perché la storia di Guadalcanal si compone di piccole azioni aeree, navali e terrestri quasi quotidiane.

Entrambe le parti si risolsero a inviare via mare flussi di rifornimenti di dimensioni ridotte per eludere l’opposizione nemica. Inoltre, la morfologia dell’isola si prestava ad incursioni di piccoli reparti.

È forse possibile identificare 6 azioni principali.

  • La battaglia terrestre del Tenaru, 21 agosto, quando il distaccamento Ichiki provò a forzare il perimetro di Henderson Field e venne annientato.
  • La battaglia aeronavale delle Salomone Orientali, 24-25 agosto, originata dal tentativo di eseguire azioni di rifornimento in grande stile; si trattò di uno scontro inconcludente che vide l’affondamento della portaerei leggera nipponica Ryujo e il danneggiamento della USS Enterprise.
  • Il 12 settembre venne combattuta la battaglia terrestre di Edson’s Ridge, nota anche come cresta insanguinata. Fu uno scontro durissimo che sfociò spesso in terribili corpo a corpo. L’offensiva giapponese, che mirava a Henderson Field, venne respinta con gravissime perdite.
  • L’11 ottobre ebbe luogo la battaglia aeronavale di capo Speranza, con bombardamenti navali dell’aeroporto americano che si protrassero fino al 15 ottobre.
  • Al 24 ottobre risale la battaglia di Henderson Field, ultimo serio tentativo nipponico di occupare l’aeroporto nemico. Questa offensiva terrestre coincise con lo scontro aeronavale del 26 ottobre, nota come battaglia delle Isole Santa Cruz.
  • La battaglia navale di Guadalcanal, combattuta nella notte tra il 12 e il 13 novembre. Determinata da un’operazione nipponica di rifornimento e al contempo bombardamento, incontrò l’opposizione di una flotta americana inferiore che venne annientata ma seppe precludere all’ammiraglio giapponese l’esecuzione della sua missione. Ripetuta il 14 novembre, l’operazione fallì nuovamente e questa volta gli americani si aggiudicarono anche il successo tattico.

La fine della campagna

Dopo l’ultimo scontro, il quartier generale giapponese non fu più in grado di organizzare un’offensiva. Di fatto, le perdite subite convinsero soprattutto la Marina che era giunto il momento di accettare la sconfitta.

L’evacuazione di Guadalcanal venne ordinata nell’ultima settimana di dicembre e portata a termine il 7 febbraio del 1943 con perdite modestissime. Due giorni più tardi, il generale Alexander Patch, recentemente nominato comandante delle forze alleate sull’isola, dichiarò conclusa la campagna.

Con la vittoria, gli americani poterono fare di Guadalcanal il punto di partenza delle loro successive offensive, sviluppando l’aeroporto già esistente e costruendone altri. Ma, soprattutto, poterono far tesoro della crescente debolezza del nemico, che non era in grado di compensare le perdite subite.

Gli Americani avevano raccolto la pistola abbandonata per strada, l’iniziativa, e non l’avrebbero più mollata fino alla resa senza condizioni del Giappone.

Bilancio e motivi della sconfitta giapponese

Se le perdite di uomini furono molto superiori per il Giappone, il computo delle navi affondate fu sostanzialmente pari. Nonostante questo, il quartier generale imperiale uscì dalla campagna di Guadalcanal in condizioni di grande inferiorità.

Perché?

Il motivo è presto detto: gli americani erano in grado di far fronte alle perdite subite grazie alle loro capacità industriali, in rapido e imponente aumento, i giapponesi no. Ma non si può tacere che il 7 agosto 1942 era il Giappone a detenere una certa superiorità di uomini e mezzi nel settore.

Quale fu allora il motivo della disfatta?

In primo luogo, è necessario far riferimento a una cattiva pianificazione dello Stato Maggiore nipponico. Per diverse settimane, a Tokyo ritennero che gli americani si fossero insediati a Guadalcanal con forze esigue, sufficienti tutt’al più a una ricognizione su vasta scala.

Da questa erronea convinzione derivarono sconfitte e perdite di uomini e materiali, con offensive lanciate in condizioni di netta inferiorità numerica, confidando anche nella (presunta) superiorità combattiva del soldato nipponico.

Contribuirono alla disfatta anche l’inferiorità qualitativa e quantitativa dei rifornimenti e la mancanza di adeguate strutture sanitarie all’interno dell’esercito che invece sarebbero state necessarie in un ambiente malsano come la giungla di Guadalcanal.

Basti dire che i soldati giapponesi evacuati nel febbraio 1942 erano così emaciati da scioccare i marinai dei vascelli su cui si imbarcarono.

I motivi della vittoria americana

Per parte loro, gli americani incominciarono la campagna con alcuni seri handicap, in primis l’inferiorità nel combattimento navale notturno al quale non erano addestrati, mentre la Marina Imperiale ne aveva fatto uno dei suoi punti di forza.

Seppero però recuperare, grazie a un rapido e intenso ciclo addestrativo e all’imponente produzione che consentì a esercito, marina e corpo dei marines di disporre di abbondanti riserve di materiale; questo nonostante periodi di crisi per la difficoltà di trasferire tanta abbondanza alla prima linea.

Considerazioni finali

Se c’è un aspetto sul quale i due nemici si trovano assolutamente d’accordo, è la durezza della campagna. Guadalcanal fu una tragedia per chi vi combatté perché le condizioni psicologiche e fisiche dei protagonisti furono messe a durissima prova.

Il termine che ricorre più spesso nei resoconti è “inferno”, valga per tutti l’epigrafe che accompagna la tomba di un marine e che recita:

«Quando questo marine si presenterà a Pietro gli dirà: Signore, io ho già servito all’inferno, sono stato a Guadalcanal».

And When He Gets To Heaven, To Saint Peter He Will Tell; One More Marine Reporting Sir, I’ve Served My Time In Hell – (Marine Grave inscription on Guadalcanal, 1942)

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