Alessio Bellè, Autore presso Cultura https://cultura.biografieonline.it/author/alessiobelle/ Canale del sito Biografieonline.it Fri, 29 Sep 2023 10:51:30 +0000 it-IT hourly 1 I Patti Lateranensi del 1929: riassunto https://cultura.biografieonline.it/patti-lateranensi/ https://cultura.biografieonline.it/patti-lateranensi/#comments Thu, 28 Sep 2023 18:38:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17904 Dopo l’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, gli italiani cominciarono a pensare a uno Stato unitario di carattere liberale. I rapporti con la Chiesa furono molto difficili. Una delle ragioni dello scontro fu soprattutto causata da quest’ultima che faceva parte del territorio italiano: rivendicò dall’inizio il suo essere Stato. Si giunse così alla sottoscrizione di un accordo di mutuo riconoscimento: i Patti Lateranensi.

Patti Lateranensi
Patti Lateranensi: illustrazione tratta da “La Domenica del Corriere” (24 febbraio 1929), supplemento al Corriere della Sera

Re Vittorio Emanuele II e la Battaglia di Porta Pia

Anche prima dell’Unità, si crearono tra gli “staterelli” che occupavano il territorio italiano e lo Stato della Chiesa delle piccole fratture. Esse cessarono in un certo qual modo con l’unificazione territoriale. Questa si completò nel 1870 attraverso un’azione militare voluta dal Re Vittorio Emanuele II contro la Roma Pontificia.

Ciò ebbe il suo culmine con la Battaglia di Porta Pia: i bersaglieri dell’esercito regio riuscirono a penetrare all’interno di essa rompendo le flebili difese delle truppe pontificie.

I partiti e la Chiesa

Dal 1870 al 1918, l’Italia fu caratterizzata da un governo liberale: i nuovi politici aderirono, per la maggior parte, alla Chiesa Cattolica ma il Papa non prese loro molto in considerazione, poiché nel corso di questi anni, nel nostro paese, non vi erano ancora presenti dei partiti di Chiesa, ossia dichiaratamente cattolici.

Il 1918 fu un anno chiave da questo punto di vista.

Nacque il Partito Popolare Italiano, un partito di cattolici, ma non clericale come fu quello della Democrazia Cristiana molti anni dopo.

Il Papa fu comunque contento e decise di sponsorizzare l’avvio di questo nuovo partito. Anche perché la Chiesa capì che era ormai importante avere uno strumento politico all’interno di un nuovo sistema che si stava sviluppando.

Mussolini e la Chiesa

Qualche anno dopo, precisamente dal 1922 in poi, vi fu l’avvento di Benito Mussolini. Il Duce capì che non poteva governare perfettamente senza il supporto clericale, nonostante fosse un ateo convinto e nonostante credesse nella laicità dello Stato.

Mussolini decise di avvicinarsi alla Chiesa con diverse manovre strategiche per attirare a sé le simpatie della comunità ecclesiastica.

Come ad esempio:

  • l’introduzione dei cappellani militari,
  • l’affissione del crocifisso negli edifici pubblici (scuole, uffici),
  • l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

Furono inoltre gettate le basi per la costruzione dell’Università Cattolica di Milano. Nel frattempo, nel 1926, il Partito Popolare Italiano venne sciolto proprio dal regime fascista.

I rapporti tra Pio XI e Mussolini si rafforzarono: il Papa definiva il Duce come “Uomo della Provvidenza“, perché credeva che, grazie alla sua personalità e alla sua politica, la pericolosità del comunismo bolscevico non sarebbe mai subentrato in Italia.

Inoltre Mussolini rinunciò al suo anti-clericarismo riconoscendo la forza e l’influenza del Vaticano sul popolo Italiano.

C’erano dunque tutti i presupposti per una riappacificazione consensuale.

Le trattative tra il governo Mussolini e la Santa Sede ebbero inizio nel 1926 nel segreto più assoluto.

Il negoziatore per lo stato fascista fu inizialmente il consigliere di Stato Domenico Barone; per il Vaticano fu l’avvocato Francesco Pacelli, fratello del futuro papa Pio XII (Eugenio Pacelli).

Patti Lateranensi - firma di Benito Mussolini
Una foto del momento della firma di Benito Mussolini

I Patti Lateranensi (o Patti del Laterano)

Nel gennaio del 1927, Barone morì e le trattative furono continuate da Mussolini in persona; esse terminarono l’11 febbraio 1929 con la nascita e la firma dei Patti Lateranensi (o del Laterano, o Trattato del Laterano) in nome dell’edificio in cui furono stipulati e dichiarati. Le firme poste furono quelle del Duce e del cardinale Pietro Gasparri.

Patti del Laterano - protagonisti
Una foto storica con i protagonisti dei Patti del Laterano. Al centro, seduti: il cardinale Gasparri e Benito Mussolini.

I Patti Lateranensi furono distinti in tre accordi principali:

  1. il primo fu un trattato internazionale che diede origine allo Stato del Vaticano, il più piccolo Stato del Mondo;
  2. con il secondo accordo il governo diede una convenzione finanziaria, grazie alla quale il Regno d’Italia risarcì il Papa per la perdita dello Stato Pontificio con la Questione Romana del 1870;
  3. nel terzo accordo vi fu un concordato che regolò i rapporti fra lo Stato e la Chiesa.

Dopo la caduta del fascismo, il concordato creò molti problemi per l’assemblea costituente durante la composizione della Costituzione Italiana: esso venne rivisto nel 1984 per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia. Il nuovo concordato fu firmato a Villa Madama, a Roma, da Bettino Craxi (Presidente del Consiglio del periodo storico) per lo Stato Italiano e dal cardinale Agostino Casaroli in qualità di rappresentante della Santa Sede.

Le modifiche apportate furono diverse: la Chiesa cattolica, da quel momento in poi, sarebbe stata finanziata dall’Irpef attraverso il cosiddetto Otto per Mille; la nomina dei vescovi non avrebbe più avuto bisogno dell’approvazione del governo italiano; l’ora di religione nelle scuole, da obbligatoria diventò facoltativa.

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Rivoluzione russa: storia e riassunto https://cultura.biografieonline.it/rivoluzione-russa/ https://cultura.biografieonline.it/rivoluzione-russa/#comments Wed, 02 Mar 2022 09:02:29 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16895 La rivoluzione russa fu uno degli eventi più importanti della storia dell’attuale Federazione Russa. Fu un avvenimento invocato, previsto e poi scoppiato nel terzo inverno della Prima Guerra Mondiale, nel febbraio 1917 (calendario giuliano).

Rivoluzione Russa
Rivoluzione russa: un simbolico quadro intitolato “Bolscevico” (1920), del pittore Boris Kustodiev (1878-1927)

Presupposti della rivoluzione russa

I presupposti nacquero quando l’Impero russo scese in guerra al fianco dell’Intesa contro gli imperi centrali. Dopo neppure un anno di guerra, venne alla luce l’arretratezza dell’economia e tutto ciò, condito da sconfitte irreparabili che costarono le perdite della Galizia e della Polonia, portò miseria, fame e carestia. A Pietrogrado si crearono numerose folle e code in piazza, che diventarono ben presto comizi di protesta: gli operai iniziarono gli scioperi contro le speculazioni dei profittatori di guerra e per la diminuzione dei salari reali, proprio mentre lo zar Nicola II si trovava sul fronte di battaglia a dirigere le operazioni belliche.

I giorni della rivolta

Durante i primi due giorni di rivolta, alcuni dati della polizia russa contarono circa 90.000 protestanti che gridavano “pane, pane!”. Tra il secondo e il terzo giorno, i protestanti diventarono 200.000 e risultarono essere anche più aggressivi, agitando bandiere rosse e aggiungendo al grido pane, “basta con l’autocrazia”. La polizia non riuscì più a contenere la folla e dunque, in assenza dello zar, la Zarina decise di dichiarare fermamente agli operai che era proibito scioperare e, in caso d’oltraggio, i trasgressori sarebbero stati mandati sul fronte per punizione. Intanto, Nicola II inviò l’ordine di far presidiare per le piazze delle truppe e, d’improvviso, vi furono i primi scontri. Il quarto giorno risultò essere quello decisivo: il numero degli insorti aumentò, ma i soldati rifiutarono di sparare sui loro padri e fratelli.

La rivoluzione di febbraio

L’esercito diventò il protagonista nell’ultimo giorno quando, nelle caserme, si registrarono diversi casi di ammutinamento: molti soldati si unirono alla folla e, tutti insieme, s’impadronirono della città; furono inoltre liberati i detenuti politici e i soldati arrestarono ufficiali e funzionari zaristi. In 5 giorni, i protestanti di Pietrogrado abbatterono il regime zarista, ponendo fine al regno dei Romanov, nell’insurrezione che verrà denominata la “rivoluzione di febbraio”, perché si svolse tra il 17 e il 23 febbraio 1917.

I Bolscevichi

Da qui in poi, entrarono in scena i Bolscevichi (il Bolscevismo era una corrente del partito operaio socialdemocratico russo fondato nel 1898) e Lenin, capo del partito che si trovava da alcuni anni in Svizzera, decise di ritornare in Russia. Al ritorno in patria, avvenuto il 3 aprile, Lenin fu accolto da una folla immensa; le tesi bolsceviche cominciarono ad avere un’importante rilevanza nel movimento rivoluzionario. Il 4 aprile 1917, Lenin espose le “Tesi d’aprile”, ossia le linee guida del partito per i mesi futuri, tra le quali il leader propose anche di cambiare il nome del partito in Partito Comunista Russo, costruendo, dunque, la storia della rivoluzione.

Famosa foto di Lenin - Rivoluzione russa
Una famosa foto di Lenin durante la rivoluzione russa

Il governo Kerenskij e il comitato militare rivoluzionario

Nel frattempo, fu stanziato un governo provvisorio, il governo Kerenskij, che riuscì a reprimere un tentativo di rivoluzione a luglio e Lenin, accusato di ricevere denaro dai tedeschi per finanziare un colpo di stato Bolscevico in Russia, si nascose in Finlandia. Il colpo di stato fallito avvicinò Kerenskij sul viale del tramonto, poiché, tra luglio ed agosto, i bolscevichi riuscirono ad acquisire la maggioranza nei due soviet; il 9 ottobre 1917, Lenin, tornato a Pietrogrado, decise di prendere il potere creando, insieme a Trotsky, il comitato militare rivoluzionario.

Con il termine rivoluzione d’ottobre si indica la fase finale e decisiva della Rivoluzione russa.

Il 24 ottobre, i bolscevichi cominciarono ad occupare la capitale: si verificarono indubbiamente degli scontri, ma i comportamenti degli insorti non si rivelarono molto violenti. Il 25 ottobre Kerenskij fuggì dalla città e il potere passò nelle mani di Lenin. Nel gennaio del 1918, il governo russo passò a Mosca, che diventò la nuova capitale.

La nascita del regime comunista

Fra i primi provvedimenti del governo vi furono la nazionalizzazione delle banche, la creazione della CEKA (polizia segreta) e l’istituzione del tribunale rivoluzionario; i soviet vennero soppressi e gli anarchici subirono delle violenze; tutte le pubblicazioni non bolsceviche vennero soppresse. Fu così, dunque, che nacque il regime comunista, il quale farà da padre e da padrone in Russia per circa 70 anni.

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Il pensiero sociologico di Georg Simmel https://cultura.biografieonline.it/simmel-teoria-pensiero-filosofia/ https://cultura.biografieonline.it/simmel-teoria-pensiero-filosofia/#respond Wed, 18 Jan 2017 19:36:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20681 L’opera del filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel ha assunto una grande importanza, in particolare nell’ambito della sociologia fenomenologica, tanto che Simmel ha potuto essere definito come “il più contemporaneo dei classici”.

Georg Simmel
Georg Simmel

La società secondo Simmel

Per Simmel, la società è il risultato delle relazioni reciproche degli individui; dalla complessità dell’agire, in una correlazione di situazioni, sorge un’unità che è appunto la società. Se le unità sociali sono caratterizzate dall’agire individuale, per conoscere tali unità il sociologo deve procedere attraverso astrazioni e selezioni che, solo utilizzando le categorie proprie dell’intelletto umano, si possono trovare. A differenza di Kant, Simmel ritiene che le categorie mediante le quali noi abbiamo accesso alla conoscenza e all’esperienza nascono dai nostri bisogni vitali. Inoltre, Simmel riconosce gli a-priori come una concezione non realista della conoscenza. Essa viene considerata come il risultato di un’attività costruttiva dell’individuo conoscente.

Il rapporto tra idee e strutture sociali si configura nei termini di un’influenza reciproca tra le due dimensioni, dato che la conoscenza nasce attraverso dei condizionamenti naturali e sociali ma, a sua volta, è anche il risultato di un’attività soggetiva autonoma.

Le forme sociali

Per analizzare e comprendere le unità sociali, il sociologo deve procedere attraverso selezioni e astrazioni per costruire il suo oggetto di studio. Simmel propone di mettere in evidenza le forme di relazione che vengono a stabilirsi nei rapporti dinamici tra gli attori sociali. Egli distingue tra forma e contenuto della società.

Il contenuto, semplicemente, è tutto ciò che negli individui è presente come impulso, interesse, scopo, ecc.; la forma, invece, è rappresentata dai diversi modi attraverso cui gli individui stabiliscono le loro intenzioni. Dunque, se il contenuto costruisce, la forma permette la giusta strutturazione. Le forme, a loro volta, tendono a rendersi indipenti dal contenuto e ciò spiega quello che per Simmel sono le “forme del gioco”.

La filosofia del denaro

La filosofia del denaro” è l’opera principale di Georg Simmel, scritta nel 1900. In essa, l’autore vuol mettere in evidenza gli effetti culturali e sociali provocati, nella modernità, dallo sviluppo e dallo scambio economico fondato sul denaro. Il denaro, per Simmel, è la migliore dimostrazione del carattere simbolico del sociale, trasforma la qualità in quantità. L’oggetto del desiderio appare svuotato di ogni valore, che può essere basato dal sacrificio, dal lavoro, che siamo disposti a fare per ottenerlo; questo valore viene sostituito dal denaro. Quando il valore diventa denaro, per molti individui, l’oggetto difficilmente può essere raggiunto, perciò non riescono a comprendere il nesso tra valore e desiderio, in quanto ormai il valore viene oggettivato nel prezzo di mercato. Questo, per Simmel, comporta profondi scompensi nella società moderna, recando un sostanziale contributo all’analisi marxista con l’alienazione.

Rapporto individuo-società

Per Simmel, come detto prima, la società è il risultato delle azioni reciproche; l’individuo, come tale, da solo, non può mai essere integrato socialmente. Simmel afferma che nell’individuo vi è una dimensione che non è rivolta alla società. Questa dimensione non deve essere intesa come qualcosa che sta accanto alla parte socialmente significativa nell’individuo, ma deve essere ritenuta unita con essa. L’ambivalenza della posizione dell’individuo nella società, spiega il fatto che l’individuo si possa contrapporre all’ordine sociale. Si mostra dunque una tensione continua che riguarda il rapporto tra individuo e società, poiché l’attore sociale, con le sue forme di rappresentazione, può sia avvicinarsi nelle interazioni reciproche ma, d’altro canto, può rinchiudersi, alienandosi da ciò che più propriamente appartiene alla sua vita.

In Simmel, dunque, emerge “l’ambivalenza delle forme di determinazione”. Egli sviluppa una concezione tragica della cultura poiché essa produce effetti inquietanti. La mancanza di misura della vita, costituisce un presupposto essenziale attraverso cui Simmel spiega come sia naturale la complessità dei fenomeni sociali. E’ nel rapporto con le forme che si sviluppa l’esperienza umana; quindi, la necessità delle forme viene riconosciuta come determinante e Simmel critica la modernità perché essa tende a liberarsi da ogni forma determinante.

La crisi della modernità

Simmel dunque critica aspramente la modernità. Nella società moderna, un’immensa quantità di rappresentazioni e significati culturali diversi è venuta, in un tempo breve, oggettivandosi in cose e conoscenze, istituzioni e comodità, per poi creare un regresso della cultura.

Per tale motivo, l’attore sociale tende sempre di più a non riuscire ad integrarsi nello sviluppo lussureggiante della cultura oggettiva, riducendosi in quella quantità che viene definita trascurabile.

Per le sue caratteristiche, la modernità appare come un’epoca nella quale si verifica per eccellenza una sorta di “epifania della condizione umana”, durante la quale si manifesta la tensione che c’è nel rapporto tra individuo e società.

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Il pensiero sociologico di Max Weber https://cultura.biografieonline.it/weber-teoria-pensiero-filosofia/ https://cultura.biografieonline.it/weber-teoria-pensiero-filosofia/#respond Mon, 28 Nov 2016 13:10:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20446 Il sociologo tedesco Max Weber si forma nella tradizione dello stoicismo tedesco; le sue posizioni teoriche sono assai diverse da quelle del positivismo di cui si ispirava il suo collega Emile Durkheim.

Max Weber - Pensiero sociologico - sociologia - riassunto
Le copertine di due opere di Max Weber: “Economia e società” e “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo

Weber critica l’idea che l’agire sociale deva essere spiegato a partire dalle esigenze funzionali del sistema sociale. La sua vasta produzione è caratterizzata soprattutto dall’interesse per i rapporti tra economia e sociologia, sviluppando inoltre importanti analisi sulle religioni mondiali.

In una sua opera, “Economia e Società“, Max Weber sintetizza i risultati delle sue riflessioni metodologiche e teoriche. Assume un atteggiamento critico nei confronti delle teorie che consideravano la società come un sistema autonomo rispetto all’azione degli individui.
La sociologia per Weber, rispetto alle scienze naturali, è volta alla comprensione dell’atteggiamento degli individui che partecipano alla formazione sociale.

La razionalità cosciente

Egli introduce la razionalità cosciente. Questa dimensione può essere messa in luce grazie al senso in base al quale si determina l’atteggiamento umano; dunque, percepisce la sociologia come una scienza, la quale si propone di intendere, in virtù di un procedimento interpretativo, l’agire sociale e quindi di spiegarlo casualmente nel suo corso e nei suoi effetti. Il senso guida la nostra azione, dà plausibilità a quello che si fa; per comprendere il senso abbiamo bisogno dello VERSTEHEN, intendere, dunque capire il significato, e dello ERKLAREN, spiegare, quindi la spiegazione causale del fenomeno.

Il concetto di agire

Il concetto di agire viene collegato a qualunque atteggiamento, attivo o passivo che sia, che viene unito ad un senso soggettivo. Un agire meccanico non viene preso in considerazione; dunque, l’agire è definito sociale quando:

  1. è riferito secondo il senso soggettivamente intenzionato di colui che agisce all’atteggiamento di altri individui;
  2. è con-determinato in base al riferimento dotato di senso;
  3. quando può essere spiegato in modo intelligibile in base a senso intenzionato.

La società

La società si presenta come il risultato di azioni individuali dotate di senso. Weber, inoltre, parla di relazione sociale come comportamento di più individui instaurato reciprocamente ed essa si fonda perciò esclusivamente sulla chance che si agisca socialmente in un dato modo dotato di senso.

L’agire sociale e i tipi di ideali

L’agire sociale non si può analizzare in termine di leggi immutabili, ma va valutato attraverso forme empiriche da verificare di volta in volta. La possibilità di cogliere le uniformità dell’agire, trova un modo valido per la formulazione di tipi ideali (IDEALTYPEN) dell’agire stesso. I tipi ideali sono il risultato di un procedimento dove il concetto di determinate caratteristiche prevalenti dell’agire sociale vengono astratte.

Weber distingue 4 tipi di ideali:

  1. Razionale rispetto allo scopo: è quello che risulta più evidente all’osservatore, perché l’agire è determinato da aspettative in relazione a scopi;
  2. Razionale rispetto al valore: quando l’agire è influenzato da credenze;
  3. Affettivo: quando l’agire è influenzato da sentimenti;
  4. Tradizionale: quando l’agire è influenzato da abitudini acquisite.

In sociologia i tipi ideali non si applicano solo ai comportamenti esterni ma si accentuano anche negli interni.

Ideali di potere

Inoltre, Weber costruisce anche i suoi tipi ideali di potere che si basano sulle diverse forme di legittimazione, che danno la loro legittimità alle credenze dei tipi ideali; i 4 tipi ideali di potere sono:

  1. Potere tradizionale: si verifica quando la legittimazione del potere è fondata sulla credenza di tradizioni ritenute valide da sempre;
  2. Potere carismatico: è fondato sul carisma di un individuo;
  3. Potere legale: si verifica quando la legittimazione poggia sulla credenza di ordinamenti giuridici.

Rapporto religione-società

Come accennato nell’introduzione, Weber dà un importante contributo al rapporto religione-società; egli individua la religione come la risposta agli interrogativi fondamentali della vita umana: la religione costituisce lo strato fondante della cultura di ogni società.

Max Weber
Una foto di Max Weber

Max Weber e il capitalismo

L’autore tedesco Max Weber dà particolare importanza anche al capitalismo e la sua specificità è data dal fatto che, in esso, la produzione economica è orientata a un profitto che non viene impiegato solo a migliorare un tenore di vita, ma per essere reinvestito in vista di maggiori profitti. Egli inoltre crede che il protestantesimo abbia favorito tutto ciò, mostra che il cristianesimo, a differenza di altre religioni, conteneva valori che promuovevano l’individualismo e un atteggiamento attivo nei confronti del mondo.

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Durkheim, la teoria sociologica https://cultura.biografieonline.it/durkheim-teoria/ https://cultura.biografieonline.it/durkheim-teoria/#respond Fri, 04 Nov 2016 17:21:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20258 La teoria del sociologo francese Emile Durkheim si pone in linea di continuità con la corrente positivista di Auguste Comte, anche se, rispetto a quest’ultimo, Durkheim sarà più portato ad attuare uno studio di tipo empirico.

Sociologia - Durkheim - teoria - pensiero - filosofia
La divisione del lavoro sociale (De la division du travail social) • La tesi di Durkheim del 1893

Durkheim nasce in Francia nel 1858. Si forma sotto la guida dei suoi maestri, Gabriel Monod e Fustel de Colanges (due storici) ed Emile Boutroux, un filosofo. Inoltre subisce l’influenza della scuola organicista tedesca.

Nel 1902, si trasferisce a Parigi dove si appresta ad insegnare, alla Sorbona, Storia e teoria dell’educazione che diventerà in seguito cattedra di educazione e sociologia. Durkheim contribuirà in maniera decisiva al riconoscimento della sociologia sia come scienza sia come disciplina didattica.

Durkheim: teoria sociologica

La teoria sociologica di Durkheim si colloca tra le teorie che vengono definite olistiche. Deriva chiaramente dall’Olismo, la teoria della totalità. Egli si accorge che servono delle regole per lo studio del metodo sociale e decide di allontanarsi dalle regole biologiche e fisiche.

Durkheim riteneva inoltre che la società fosse un’entità fondata sui generis, dotata di un carattere proprio ma non riducibile. Ed essa era costituita da “fatti sociali”. Ciò che più colpiva Durkheim era il fatto che la società, fin dalla nascita, forma gli individui secondo i valori e i comportamenti che sono propri dell’epoca in cui l’individuo vive. Inoltre, osserva anche che la società e le istituzioni che la compongono hanno continuità. Questa cosa va al di là della vita dell’individuo, o meglio dire, dell’attore sociale.

I fatti sociali e l’attore sociale

I fatti sociali sono maniere d’agire, di pensare e di sentire e sono entità esterne a noi, sono cose che vanno analizzate come tali e sono coercitivi, in quanto s’impongono a noi.
Dunque, Durkheim spiegava nelle “Regole del metodo sociologico” :

Quando ci si accinge a spiegare un fenomeno sociale, bisogna cercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve“.

La dimensione culturale è molto importante nella visione di Durkheim e ci permette di comprendere come il modello funzionalista presenti sempre il problema sociale, soprattutto, per il mantenimento dell’ordine e dell’integrazione dell’attore sociale nel sistema sociale stesso; l’ordine e l’integrazione sono ottenuti dall’attore sociale tramite l’assimilazione dei valori e delle norme morali dominanti.

Foto di Emile Durkheim
Emile Durkheim

Ordine e solidarietà collettiva

Quindi, per Durkheim, assume una posizione centrale il problema dell’ordine, una struttura che limita la spinta naturale dell’uomo verso uno stato di guerra universale. Egli considera, infatti, gli individui, se lasciati a se stessi, come esseri egoisti e volenterosi ad esaudire i loro desideri. Dunque, la società si presenta come fenomeno morale di solidarietà collettiva.

In Durkheim troviamo una Dicotomia, ossia divisione, tra indeterminatezza, che è attribuita alla natura dell’uomo, e la determinatezza che la società sa avere. L’accento posto sull’importanza dei valori e delle norme sociali tende ad aumentare la presenza di disordine e dell’anomia. Elementi che caratterizzano la società industriale del suo tempo.

Il termine anomia (dal greco anomos, privo di leggi) sta ad indicare situazioni nelle quali i valori e i comportamenti validi nelle situazioni d’origine, non sono più validi e/o adeguati a causa dei rapidi cambiamenti sociali che provocano nell’individuo disorientamento.

La sua prima grande opera è “La divisione del lavoro sociale”. Con essa analizza come la società contemporanea diventa sempre più articolata e complessa, dove altrettanto lo sono i ruoli, per cui nasce la “solidarietà organica”. Questa si differenzia dalla quella primitiva, definita “meccanica” che è propria di una società semplice.

Nella solidarietà organica il tutto si basa sui rapporti di natura funzionali. Perché ognuno è indispensabile per portare avanti il progresso della società. Nella solidarietà meccanica invece si fa riferimento a valori e a norme proprie della società tradizionale nella quale gli individui sono molto simili tra loro.

Il Suicidio

La sua opera “Il Suicidio” (1897) può essere considerata come uno dei primi esempi di ricerca empirica in sociologia. In essa Durkheim analizza i dati statistici relativi ai casi di suicidio in Europa. Egli notò che il tasso di suicidio aumentava a seconda di alcuni fattori. Tra essi vi erano le stagioni e le situazioni di rapide trasformazioni in cui venivano a trovarsi le persone. Inclusi i fattori economici e gli eventi bellici.

Da questa ricerca evinse inoltre che il tasso di suicidio era generalmente più alto nei paesi dove prevaleva la religione protestante, mentre diminuiva dove erano cattolici.

Durkheim introduce ed identifica 3 tipi di suicidio:

  1. Suicidio Egoistico, determinato da scarsa integrazione degli attori sociali;
  2. Suicidio Anomico, determinato dalle situazioni di rapido cambiamento sociale;
  3. Suicidio Altruista, determinato da un eccesso d’integrazione sociale.

Durkheim, dunque, coglie nel rapporto individuo-società il carattere ambivalente dell’importanza delle forme normative e istituzionali. Esse sono indispensabili per la sopravvivenza ma potenzialmente distruttive a causa delle loro riduttività.

La dicotomia tra la determinazione dell’ordine sociale e l’indeterminazione delle aspirazioni infinite dei singoli rende problematica la stessa origine della società. Non si è in grado di capire da dove nasca il desiderio che porta all’accettazione delle normative sociali. Sappiamo però che la coscienza collettiva nasce come frutto dell’opinione comune. Dunque, vengono a formarsi le rappresentazioni collettive che sono diverse da quelle individuali.

Durkheim può essere definito come uno dei padri fondatori della Sociologia.

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Karl Marx e il marxismo: pensiero filosofico e politico https://cultura.biografieonline.it/marx-pensiero/ https://cultura.biografieonline.it/marx-pensiero/#comments Sat, 29 Oct 2016 14:09:03 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20256 Nel pensiero filosofico e politico di Karl Marx, nel quale sono presenti, oltre alla tradizione dell’utilitarismo e dell’economia politica classica, elementi derivanti sia dalla filosofia hegeliana sia dal positivismo di Auguste Comte. Il pensiero di Marx ha avuto anche una grande influenza sullo sviluppo della teoria sociologica.

Marx e Engels - Karl Marx Friedrich Engels
Un disegno che ritrae Karl Marx e Friedrich Engels

Karl Marx nacque in Renania nel 1818, studiò diritto a Bonn e filosofia a Berlino, ove entrò in contatto con la filosofia di Hegel. Trasferitosi a Parigi per motivi di soppressione da parte del governo Prussiano, egli conobbe Engels. I due diventarono colleghi ed amici. Pubblicarono insieme, nel 1848, il famoso Manifesto del Partito Comunista. Successivamente, Marx passò a Londra, ove morì nel 1883, scrivendo e pubblicando, nel 1859, L’economia politica e, nel 1867, Il Capitale.

Pur non avendo elaborato una vera e propria teoria sociologica, Marx ha profondamente influenzato la sociologia successiva, diventando un punto di riferimento sia per coloro che condividevano la sua teoria sia per chi non la condivideva.

Il pensiero di Marx e la teoria dialettica

Il pensiero di Marx intende sviluppare una teoria scientifica delle leggi che presiedono alla storia e alla dinamica sociale. Egli non adotta e non si ispira al modello comtiano del progresso come sviluppo unico, ma adotta il modello dialettico di Hegel, secondo il quale la storia evolve attraverso conflitti e contraddizioni. Marx interpreta la dialettica come un principio attivo operante all’interno delle condizioni materiali e dei rapporti socio economici. Pensa che l’evoluzione storico-sociale è determinata dalle contraddizioni oggettive legate alla disponibilità di risorse, anche naturali, e ai rapporti di produzione.

Mentre dal punto di vista sociologico, Marx intende la teoria dialettica come un qualcosa che si caratterizza per la rilevanza che assume in essa il conflitto nelle relazioni sociali. Il modello dialettico si articola a partire da un’idea di società come totalità, ovvero insieme di elementi in relazione reciproca tra di loro. La totalità viene concepita in modo diacronico, ovvero un processo in continua trasformazione il cui movimento è determinato dalle contraddizioni oggettive che man mano emergono nella realtà sociale attraverso le strutture materiali e i rapporti sociali.

La filosofia politica di Marx: le classi sociali

In Marx, i veri protagonisti delle trasformazioni sociali sono le classi sociali. Egli intende la classe come l’insieme degli individui che all’interno del sistema sociale si trovano nella stessa posizione. I membri di una classe sociale si presentano tutti alla stessa maniera e hanno le stesse possibilità di accesso alle risorse economico sociali. Su questa base, si formano anche le forme culturali o sub-culturali proprie della classe d’appartenenza, che definiscono appunto lo stile di comportamento di quell’individuo.

L’appartenenza ad una classe sociale è determinata in primis dalla nascita e dal processo di socializzazione nei primi vent’anni di vita e, successivamente, dipende dalle scelte che l’individuo effettua riguardo il lavoro. La classe è un fattore che sussiste indipendentemente dalla coscienza. Gli individui possono appartenerle e dunque è da considerare come classe in sé. Qualora gli individui dovessero diventare coscienti della loro appartenenza in quella determinata classe, essa diventa classe per sé. Dunque, quando una classe diventa cosciente, consapevole, essa può diventare anche soggetto politico promotore di cambiamenti anche rivoluzionari dell’ordine sociale.

L’alienazione

Altro concetto chiave della sociologia ma anche del pensiero di Marx in generale, è quello dell’alienazione. Il concetto di questo termine va compreso in riferimento alla teoria dell’attività produttiva come essenza dell’uomo. Ossia il lavoro è oggettivazione della vita generica dell’uomo.

L’alienazione assume 4 steps:

  1. alienazione dell’oggetto;
  2. alienazione dal processo di produzione;
  3. alienazione da se stessi;
  4. alienazione dalla comunità a cui si appartiene.

La causa principale dell’alienazione dunque è, per Marx, la proprietà privata, il capitalista, perché tende ad appropriarsi della produzione dell’operaio per arricchirsi. Ciò gli vieta di sentirsi ampiamente realizzato. La realizzazione dell’uomo si trova, per Marx, nell’oggetto della sua produzione, dunque dell’attività produttiva e lavorativa. Sopprimendo la proprietà privata e l’economia di scambio, l’uomo potrà liberarsi.

La soluzione del Comunismo

In questa prospettiva, il comunismo appare la vera e propria via di salvezza. Per Marx è l’unica soluzione del contrasto fra uomo e natura. La situazione di alienazione in cui si trova l’uomo è dunque colpa del capitalismo. Tale situazione è fondata sulla sostituzione del valore d’uso, legato ai bisogni affettivi dell’uomo. Il valore di scambio estrania l’individuo dal suo oggetto poiché è oggetto di scambio o merce.

La teoria dei comunisti può essere raccolta in una singola frase: abolizione della proprietà privata.
(KARL MARX)

Possiamo dunque notare come il pensiero di Karl Marx sia principalmente un pensiero di carattere utopico. Marx vorrebbe eliminare le differenze che vi sono tra le diverse classi sociali. Perciò anche con le sue opere cerca di dare delle soluzioni per modificare il capitalismo che ormai si era all’epoca instaurato.

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Sessantotto: il movimento del 1968 in Italia (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/1968-in-italia-riassunto/#comments Fri, 21 Oct 2016 12:38:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20065 Dopo la morte di esponenti come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, la politica italiana si svolse ancora una volta all’insegna del torpore e della disorganizzazione. Si alternarono alla guida del governo diversi personaggi che portarono avanti dei governi confusi e di breve durata. Governi in abbondanza che, in teoria, dovevano essere diversi. E portare quanto meno delle modifiche ma che, in pratica, portavano sempre gli stessi frutti. All’improvviso vi fu tempesta in Europa, in Francia e in Italia. In particolare nelle università, esplosero delle proteste studentesche che comportarono una serie di occupazioni e rivendicazioni. Esse precedettero e seguirono i moti parigini del maggio 1968. In questo articolo approfondiamo i temi del 1968 in Italia.

Il 1968 in Italia Sessantotto riassunto - Potere studentesco

Il 1968 in Italia: la protesta studentesca

Il primo episodio, in Italia, lo si ebbe nel corso del 1968 nei pressi di Valle Giulia, vicino alla Romana Villa Borghese. E’ una zona in cui aveva sede la facoltà di architettura. Qui alcuni giovani studenti che facevano parte del movimento studentesco furono protagonisti di numerosi scontri con i poliziotti.

Le prime rappresaglie dunque si ebbero a Roma, ma il movimento studentesco milanese era certamente più organizzato e più forte rispetto agli altri. Tra le sue fila vi era il leader e capro espiatorio Mario Capanna. Egli fu uno studente iscrittosi alla statale di Milano dopo essere stato allontanato dalla sede dell’Università Cattolica. Nel maggio del 1968 tutte le università di Milano, esclusa la Bocconi, furono occupate.

In merito a ciò, il famoso poeta e scrittore nonché sceneggiatore e regista Pier Paolo Pasolini prese una posizione alquanto rigida nei confronti di questi studenti. Essi vennero aspramente criticati dal drammaturgo d’origine bolognese, il quale si schierò dalla parte dei poliziotti. Secondo lui, in sintesi, erano proprio loro i figli del popolo, mentre gli studenti erano dei figli di papà, viziati.

Il movimento operaio

La protesta studentesca del 1968 in Italia, raggiunse il livello massimo di consensi. Tutto ciò comportò l’esplosione di numerose rivolte degli operai in fabbrica, nel 1969. Dunque il movimento operaio si amplificò e si collaudò anche più di quello studentesco.

Sessantotto: Scioperi del 1968
Sessantotto: studenti ed operai uniti nella lotta

Dal loro canto, gli operai erano afflitti da un continuo e profondo malessere sociale che fu probabilmente causato (secondo loro stessi) dal cosiddetto “miracolo economico” che caratterizzò l’Italia negli anni ’60, il quale non era stato accompagnato sia a livello governativo e sia dal punto di vista imprenditoriale. Gli operai rivendicarono in gran parte il fatto che loro pagassero molte più tasse e che iniziò ad insediarsi l’evasione fiscale da parte di alcuni ricchi imprenditori.

L’autunno sindacale

Correva l’anno 1969 quando nacque “l’autunno sindacale“, denominato così perché durante l’autunno era in corso l’importante discussione di 32 contratti di lavoro. La loro discussione si svolse in un clima arduo e tempestoso. I sindacati e i comitati dei lavoratori esigevano salari uguali per tutti. La loro richiesta fu esaudita in quanto i contratti vennero firmati dopo numerosi incidenti e scontri tra i protestanti.

Gianni Agnelli
Gianni Agnelli

Dopo tutti questi disordini intervenne anche “l’avvocato” e principale azionista della FIAT, Giovanni Agnelli, in quanto anche nelle sua azienda vi furono diverse proteste. Agnelli disse, riferendosi all’autunno sindacale, che quest’avvenimento fu l’inizio di 10 anni disastrosi e di brutalità in fabbrica. Probabilmente tutto questo introdurrà ciò che sarà poi quel periodo di terrorismo, che si manifestò in Italia negli anni successivi, denominato “anni di piombo” e caratterizzato dalle Brigate Rosse.

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Tangentopoli: il caso Mani pulite https://cultura.biografieonline.it/tangentopoli/ https://cultura.biografieonline.it/tangentopoli/#comments Mon, 16 May 2016 16:11:33 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18181 In questo articolo, raccontiamo uno dei più grandi scandali che colpì l’Italia nel febbraio del 1992, periodo in cui ebbe inizio Tangentopoli. Tutto fu scatenato da un episodio molto particolare, che consisteva nell’azione del socialista Mario Chiesa, presidente e amministratore della casa di cura “Pio Albergo Trivulzio” avente sede a Milano, che ricevette nel suo ufficio l’imprenditore Luigi Magni, il quale assicurò la pulizia dell’edificio con il versamento di una somma di denaro, di una “tangente“, di 7 milioni di lire lestamente chiusa nel cassetto da Chiesa. Mario Chiesa ignorò il fatto che questo versamento fu fatto d’accordo con l’autorità giudiziaria, che aprì un’inchiesta per l’accaduto.

Tangentopoli e l'inchiesta Mani pulite - Craxi in tribunale
Tangentopoli e l’inchiesta “Mani pulite” – Una foto di Bettino Craxi in tribunale

Dal caso Chiesa a “Mani pulite”

Dunque il caso Chiesa fece da detonatore per l’avvio di Tangentopoli che, sostanzialmente, era dovuta alla corruzione che in Italia è sempre esistita, perciò non si può fissare una data ben precisa per stabilire l’inizio di questo caso, ma si può arrivare al perché si sia arrivati a questo punto.

Mi associo chiaramente al pensiero che Indro Montanelli ebbe a riguardo: egli cercò di dare dei perché e partì da un articolo della Costituzione Italiana; tale articolo affermava che i partiti sono delle associazioni private che non figurano fra le istituzioni. I partiti, dunque, avevano lo scopo di fare da collante tra la classe politica e l’elettorato; alcuni di questi partiti erano rappresentati da persone che si mettevano in gioco per affari personali, cioè, per far carriera o per fare soldi. Tutto ciò venne ampliato dalla fine del Partito Comunista che, nel bene o nel male, teneva comunque distante da sé questa situazione.

Tornando all’inchiesta di “Mani pulite“, il 17 febbraio 1992 il sostituto procuratore Antonio Di Pietro inchiodò Mario Chiesa con le mani nel sacco e, dalle confessioni di quest’ultimo, insieme a quelle di altri coinvolti e imputati, si delinearono delle trame assurde che si allargarono con l’inclusione di esponenti del mondo politico ed economico italiano. Venne fatto il nome addirittura di Bettino Craxi, il quale successivamente vedremo che della meccanica tangentizia fu considerato il massimo manovratore; insieme a lui altri esponenti politici vennero tirati in ballo, fra cui Arnaldo Forlani e Severino Citaristi (segretario amministrativo della Democrazia Cristiana).

Tangentopoli

Tra il febbraio 1992 e il febbraio 1994, le procure coinvolte in Tangentopoli inviarono avvisi di garanzia e richieste d’autorizzazione per procedere con le indagini per un totale di circa 500 atti, destinatit a deputati e senatori; davanti alla corte si presentarono e sfilarono addirittura 3 ex presidenti del Consiglio dei Ministri: Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani e appunto Bettino Craxi. Quest’ultimo, nella sua difesa, dichiarò in sintesi che tutti sapevano e tutti pagavano; si sapeva inoltre che delle aziende importanti finanziavano i partiti dando anche delle mazzette ai finanzieri.

Quindi, possiamo dire che Craxi cercò di generalizzare un po’ tutto e, con questa posizione, probabilmente volle mettere in risalto che non fu lui a creare questo sistema, il quale era già presente, ma ne approfittò come un po’ tutti quanti che ne erano a conoscenza; gli imprenditori, dal canto loro, si dichiararono concussi e non corrotti.

Tangentopoli - Mani pulite - Cuore
Una prima pagina del giornale satirico Cuore negli anni di Tangentopoli e di Mani pulite

Le conseguenze

Le rivelazioni sullo scandalo e la crisi economica, che avrebbe portato al crollo della lira, determinarono un’ondata di proteste nelle piazze italiane; ciò portò alla nascita di un governo tecnico, affidato al numero uno di Bankitalia Carlo Azelio Ciampi.

Va ricordato come la tensione a livello istituzionale fosse alta anche per il delicato contesto storico: sono questi infatti gli anni in cui la mafia uccise in un attentato i giudici Falcone e Borsellino (19 luglio 1992).

Nel frattempo, Bettino Craxi si dimise dalla segreteria del Partito Socialista Italiano e poi, mesi dopo, venne addirittura sciolta la Democrazia Cristiana.

Antonio Di Pietro
Antonio Di Pietro

Le sole indagini condotte dal Pool di Mani Pulite fecero finire sotto inchiesta circa 4.520 persone; la fase cruciale dell’inchiesta finì con le dimissioni di Antonio Di Pietro (si dedicò alla vita politica poco dopo) che lasciò la magistratura nel dicembre 1994 per una vicenda di prestiti non dichiarati, passando dall’essere considerato come “Uomo della Provvidenza” all’essere criticato aspramente dopo alcune vicende personali.

Tangentopoli, dunque, può essere considerata e può anche essere vista come una sorta di mafia organizzata senza sangue, senza crimini e senza uccisioni, ma un ente che riuscì comunque ad avere una propria illegalità diffusa.

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La guerra di Etiopia del 1935 (riassunto) https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-di-etiopia/#comments Wed, 04 May 2016 09:52:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18135 Prima di arrivare a riassumere ed analizzare la Guerra di Etiopia del 1935 (talvolta nota anche come guerra d’Abissinia o campagna d’Etiopia), facciamo una breve introduzione ricordando lo scenario storico: in passato, le più grandi potenze europee si vantarono di avere numerose colonie: alla fine dell’Ottocento, l’Impero Britannico risultò vastissimo; non da meno fu quello francese, mentre Germania e Belgio ebbero un numero inferiore di colonie rispetto alle altre due, ma un numero ad ogni modo rispettabile. Alla fine dell’Ottocento, fu in possesso di sole due colonie in Africa orientale, l’Eritrea e gran parte della Somalia; nel 1902, ottennero una piccola concessione in Cina a Tientsin e, per ampliare il colonialismo italiano, bisogna attendere il 1912, anno in cui avvenne la conquista della Libia.

Guerra di Etiopia: Emilio De Bono in Abissinia
Una foto del generale Emilio De Bono in Abissinia durante le prime fasi della Guerra di Etiopia

L’Etiopia e le intenzioni di Mussolini

A partire dal 1923, poco dopo l’assunzione del potere al governo, Benito Mussolini credette di creare una nuova era coloniale per l’Italia, allargando soprattutto il predominio in Africa Orientale; la regione Africana nella quale Mussolini pensò di estendere l’influenza italiana fu l’Etiopia, rimasta uno Stato indipendente, amministrata dal Negus e dai ras, dei governatori locali.

Benito Mussolini a cavallo
Benito Mussolini

D’altro canto, gli italiani tentarono già una volta, nel 1896, di occupare l’Etiopia ma la battaglia di Adua fu clamorosamente fatale per il Regio esercito. L’Etiopia, negli anni 30, si presentava come uno Stato, anzi un Impero, di tipo feudale, dove vi furono diversi tentativi dell’imperatore Hailè Sellassiè, ma fu un paese che nonostante gli sforzi non riuscì mai a crescere.

L’invasione dell’Etiopia e l’opinione pubblica

Nel 1928, Mussolini dichiarò che le due nazioni si erano riappacificate, stipularono anche il patto d’Amicizia ma, negli anni seguenti, vi furono diversi incidenti, soprattutto verso il confine con la Somalia italiana a Ual Ual, ove vi fu uno scontro armato nel 1934.

L’attacco etiopico fece da collante con le idee che il fascismo stava maturando ossia quella di creare una sorta d’impero per controllare gran parte del Mediterraneo. L’opinione pubblica europea, soprattutto quella britannica, si oppose all’intenzione del Duce di invadere l’Etiopia, perché temevano un possibile scoppio di eventuali guerre ed erano inoltre preoccupati per ogni tipo di avvenimento che l’invasione avrebbe potuto provocare.

Mussolini non diede affatto importanza all’opinione pubblica internazionale e, sul finire del 1934, fornì nuove istruzioni al generale Pietro Badoglio, nelle quali disse chiaramente che il rapporto con gli abissini poteva risolversi solo con l’intervento delle armi.

Il 2 ottobre 1935 ci fu la “chiamata alle armi”; il 3 ottobre 1935 le truppe italiane presenti in Eritrea diedero inizio all’invasione dell’Etiopia: essa fu una guerra coloniale come mai si era vista prima per la ricchezza dei mezzi, sia in termini numerici sia in termini quantitativi. Oltre ad essere una guerra coloniale, la spedizione ebbe anche un altro importante significato, quello del consenso, poiché con la guerra d’Etiopia, i referti storici dissero che in quel momento tutta l’Italia fu fascista e il regime assunse il suo consenso assoluto.

Nel frattempo l’opinione pubblica mondiale, che già da prima dell’invasione fu ostile, divenne irremovibile e l’Italia fu condannata dalla Società delle Nazioni che decise di applicare delle sanzioni; ben 52 Stati furono contro l’operato italiano; di seguito, la nazione che sarebbe diventata il nemico numero uno fu proprio l’Inghilterra di Churchill che, fino a poco tempo prima stimava il Duce. Per le ingenti spese che lo Stato dovette affrontare per la campagna etiopica, il 18 dicembre 1935 venne indetta la giornata della fede (o dell’oro), giorno in cui tutti vennero invitati a donare la propria fede e altri ori personali; parteciparono anche diversi antifascisti ed accademici come Pirandello.

I contatti con la Società delle Nazioni, soprattutto con Francia e Inghilterra, continuarono imperterriti, ma Mussolini fu sempre restio nei confronti di soluzioni diplomatiche.

Intanto, in Etiopia fu mandato Pietro Badoglio, il miglior maresciallo e generale che l’Italia avesse in quel periodo, per dirigere le operazioni belliche facendo ritornare in Italia Emilio De Bono, perché il Duce non poteva rischiare di far prolungare le battaglie e rischiare di non vincere. Pur di sconfiggere gli abissini, gli italiani fecero uso di armi chimiche (gas asfissianti) e gli abissini, dal canto loro, usarono le pallottoledum dum” (ossia proiettili ad espansione) che esplodevano all’interno dei corpi; furono delle armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma utilizzate da entrambi gli eserciti.

Gli ascari e le tappe principali della Guerra di Etiopia

Un grande ruolo nella guerra d’Etiopia fu giocato dagli “ascari” che, erano un gruppo di soldati indigeni dell’Africa orientale, inquadrati come componenti regolari delle truppe italiane: vennero considerati come punta di diamante e, difatti, nel febbraio 1936 portarono alla prima grande vittoria italiana ad Amba Aradam.

Ascari
Ascari

In marzo, la resistenza abissina capeggiata direttamente dal Negus venne piegata; il 3 maggio, il Negus abbandonò l’Etiopia atterrando in Palestina; il 5 maggio 1936, gli italiani occuparono Addis Abeba ponendo fine alla Guerra di Etiopia.

La guerra etiopica fu un successo per il regime e come detto sopra, in quel momento tutta l’Italia fu fascista, ma questo successo dimostrò ben presto il suo carattere fallimentare sia dal punto di vista economico e sia per il fatto che quelle terre appena conquistate erano indifendibili; durante la Seconda Guerra Mondiale vennero lasciate sole poiché, per l’appunto, l’economia scarseggiava e per raggiungere l’Etiopia, o meglio l’Africa orientale, le navi italiane dovevano per forza passare dal canale di Suez, che era controllato dagli inglesi, i quali erano in guerra proprio contro l’Italia; dunque, l’Africa orientale fu ben presto perduta.

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Il Secondo dopoguerra e l’Italia di De Gasperi https://cultura.biografieonline.it/secondo-dopoguerra-de-gasperi/ https://cultura.biografieonline.it/secondo-dopoguerra-de-gasperi/#comments Tue, 12 Apr 2016 10:02:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17513 Nel Secondo dopoguerra, dopo la nascita della Repubblica Italiana vi furono le elezioni del 1948 dalle quali sarebbe scaturita la formazione del nuovo governo. Con la clamorosa vittoria della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, dovette consolidare e rafforzare il profilo centrista del suo partito; inoltre, dovette eliminare la questione delle colonie, far ripartire l’economia nazionale e dare all’Italia una giusta e stimata collocazione in ambito europeo e internazionale dopo la fallimentare guerra.

Alcide De Gasperi, protagonista del secondo dopoguerra
Alcide De Gasperi

Il Secondo dopoguerra

Nel frattempo, fu scelto anche il nuovo presidente della Repubblica, dopo diversi scontri diplomatici, al posto di Enrico De Nicola fu chiamato in causa Luigi Einaudi che, in realtà, si definì sempre simpatizzante della Monarchia. Un fatto eclatante colpì e sconvolse sia le piazze italiane che il parlamento, il 14 luglio 1948, un fanatico di nome Antonio Pallante ferì gravemente in un attentato Palmiro Togliatti, esponente principale del Partito Comunista Italiano nonché dell’opposizione.

Il momento che seguì l’attentato fu pericolosissimo in quanto si temette che gli estremisti comunisti capitanati da Pietro Secchia, potessero indire una specie di rivoluzione di piazze e un piccolo colpo di stato che, ad ogni modo, prevedevano da diverso tempo ma, proprio Togliatti, una volta rinvenuto bloccò prontamente.

Questa drammatica vicenda sancì una fine importante, quella dell’unità sindacale, poiché nella CGIL vi facevano parte insieme fino a quel momento i cattolici e i socialcomunisti: questi ultimi accusarono il governo di aver creato un’atmosfera favorevole all’attentato di Pallante (supposizioni altamente false). Questa scissione sindacale provocò la nascita del cosiddetto centrismo: i primi problemi del governo centrista con l’opposizione crebbero ancora di più nel 1949 quando l’Italia accettò le condizioni del Patto Atlantico.

Gli anni di De Gasperi

Le decisioni principali passarono sempre da Alcide De Gasperi che, senza ombra di dubbio, fu uno degli uomini più importanti del Secondo dopoguerra sia italiano che europeo; egli fu eletto prima Presidente del Consiglio, prima del Regno d’Italia il 10 dicembre 1945 e, successivamente, lo divenne sotto la Repubblica dal 13 luglio 1946 fino al 17 agosto 1953.

Sotto il governo dello statista trentino l’Italia si avviò verso il miracolo economico (la guerra, come ben risaputo, fu disastrosa soprattutto dal punto di vista economico). Lo Stato italiano, che da anni era stato prevalentemente agricolo, ben presto, in questi anni, iniziò ad assumere le caratteristiche di un paese industrializzato: molte aziende, come la FIAT, aumentarono notevolmente le loro produzioni e assunzioni. Il progresso fu anche caratterizzato dall’apertura delle frontiere per il commercio, dalle tumultuose migrazioni dal Sud al Nord; la maggior parte della popolazione decise di passare dalla campagna alla città per abbandonare il settore primario.

Nei primi anni del 1950, De Gasperi si era ormai reso conto che la Democrazia Cristiana non avrebbe più ripetuto l’exploit elettorale avuto nelle elezioni del 1948; in più, aveva sperimentato la litigiosità dei vari partiti (compreso il suo della DC). Nacque dunque, grazie a lui e ai suoi collaboratori, l’idea di una legge elettorale che attribuì un premio di maggioranza non al partito ma alla coalizione che avesse superato anche per un solo voto il 50% dei consensi. Essa fu bollata come “legge truffa” dall’opposizione; la legge truffa non scattò perché la coalizione della Democrazia Cristiana raggiunse il 49,5% dei consensi, mancarono dunque soltanto 50.000 voti: la sinistra si presentò come trionfatrice.

Foto di De Gasperi
Una foto di Alcide De Gasperi durante un comizio

Dopo le elezioni, De Gasperi presentò le sue dimissioni; da quel momento in poi, egli fu colpito da profonde delusioni tra cui l’esclusione dal ruolo di segretario del partito attraverso una riunione generale della DC, ove venne ripudiato e sfrattato dai suoi successori che volevano iniziare ad avvicinarsi al potere; un’altra delusione si manifestò con lo smantellamento della CED (Comunità Europea di Difesa) , poiché egli era un’europeista convinto e fu considerato come uno dei padri fondatori dell’Unione Europea insieme al francese Robert Schumann e al tedesco Konrad Adenauer.

La morte di De Gasperi

Alcide De Gasperi morì il 19 agosto 1954 e con la sua morte si ebbe probabilmente la fine di un’epoca: fu un uomo dalla idee innovative grazie alle quali lo statista trentino, cresciuto nel parlamento di Vienna, diede all’Italia modo per ripartire e rilanciarsi, poiché lo Stato mise le basi per quello che poi diventerà negli anni successivi “il miracolo economico“.

Ci tengo ad aggiungere che con la scomparsa di De Gasperi l’Italia perse anche un solido punto di riferimento per la sua politica: da non dimenticare la posizione che ebbe nel trattato di pace di Parigi, dove tutto e tutti erano contro l’Italia ma lui riuscì a farsi apprezzare e rispettare da tutte le nazioni presenti; dopo di lui, in Italia si ebbe sempre di più la segmentazione dei vari partiti e governi spezzettati e si avvicendarono diversi uomini al suo posto ma, dal quel momento sino ad oggi, difficilmente abbiamo potuto trovare al capo del governo un uomo di stato affidabile, capace ed onesto come De Gasperi.

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