Prima Guerra Mondiale Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/storia/prima-guerra-mondiale/ Canale del sito Biografieonline.it Mon, 14 Oct 2024 12:51:22 +0000 it-IT hourly 1 La battaglia di Verdun, riassunto https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-verdun/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-verdun/#respond Thu, 15 Oct 2020 16:57:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30556 Pochi nomi come Verdun sono sinonimo di morte, di devastazioni e di indicibili sofferenze. La battaglia di Verdun, o meglio la campagna di Verdun, fu una delle più lunghe, sanguinose e, paradossalmente, inutili di tutta la Grande Guerra. Al termine nessuno dei due contendenti aveva minimamente conseguito i propri obiettivi iniziali, ma da essa uscirono entrambi stremati, i Francesi più dei Tedeschi. Ebbe luogo dal 21 febbraio al 19 dicembre 1916.

La battaglia di Verdun: cause ed origini

Nei primi mesi del 1916, i Tedeschi erano decisi a forzare una decisione per portare a una conclusione rapida e favorevole la guerra. Identificando nei Francesi il nemico sconfitto le cui ostilità sarebbero cessate, scelsero di portare a logoramento, sia materiale che morale, la nazione transalpina.
Secondo l’Imperatore Guglielmo II, il principale nemico della Germania era la Gran Bretagna che andava sconfitta togliendole “dalle mani la miglior spada che possedeva” . Cioè l’esercito francese.

Il piano consisteva nello scegliere un obiettivo che i Francesi considerassero vitale e che fossero perciò costretti a difendere a qualsiasi costo; e consisteva nello scagliare contro tale obiettivo ondate su ondate di attacchi, in modo da attirare via via le riserve del nemico, fino a quando questi non avesse più avuto disponibilità di mezzi e materiali e avesse dovuto accettare la resa.

È opportuno sottolineare che la Germania contava 65 milioni di abitanti allo scoppio delle ostilità, rispetto ai 39 milioni di francesi. Fu una netta superiorità tedesca, quindi, benché mitigata dalla necessità di combattere su più fronti. In parole povere, i Tedeschi erano convinti che le forze del nemico si sarebbero esaurite prima delle loro.

La posizione di Verdun sulla mappa geografica
La posizione di Verdun sulla mappa geografica

La cittadina di Verdun

All’epoca Verdun contava solo 3.000 abitanti e non rivestiva alcuna importanza economica. Dal punto di vista strategico era però ritenuta essenziale, perché costituiva il punto focale della difesa francese, saldando i due settori del fronte: settentrionale e meridionale. Era inoltre un saliente che si incuneava, con effetti deleteri, nelle linee tedesche.

Infine, Verdun aveva un forte valore simbolico: circondata com’era di fortezze che furono costruite sotto il Re Sole, conquistate dai Prussiani nel 1792 ma invitte nella pur vittoriosa, dal punto di vista tedesco, guerra del 1870. Verdun venne quindi scelta come punto nel quale sferrare l’attacco. La responsabilità di questo fu affidata a Erich von Falkenhayn, Capo di Stato Maggiore e Ministro della Guerra.

Le prime operazioni

Il maltempo determinò un rinvio delle operazioni offensive fino al giorno 21 febbraio 1916; operazioni che tuttavia i Tedeschi avevano pianificato di avviare il 12 febbraio. Principale conseguenza di questo ritardo fu il venire meno della sorpresa tattica che l’Alto Comando germanico aveva saputo conseguire.

I fanti dell’Imperatore si trovarono così ad affrontare nemici che li aspettavano.

Cionondimeno i Tedeschi conseguirono alcuni successi. In particolare, il giorno 25 febbraio 1916 espugnarono Fort Douaumont, con un fortunoso colpo di mano. Questa posizione vide nei mesi seguenti parecchie controffensive francesi che furono coronate da successo solo nell’ottobre, quando ormai i Tedeschi avevano parzialmente sgombrato la posizione, non più ritenuta di primaria importanza.

I successi dell’Impero Tedesco furono dovuti principalmente a una concentrazione di artiglieria senza precedenti, 850 pezzi tra i quali la celeberrima “Grande Berta” e un cannone navale Krupp montato su carro ferroviario. Furono inoltre utilizzate armi nuovissime per l’epoca, come lanciafiamme e aerei.

Big Bertha (Grande Berta)
Big Bertha (Grande Berta)

Di contro, i Francesi furono colti relativamente di sorpresa e fecero fatica a far affluire le loro riserve verso la prima linea, a causa dell’esistenza di un’unica strada che portava nel settore.

Arriva Pétain

Proprio il giorno della caduta di Fort Douaumont, si verificò un importante mutamento nei comandi francesi. Il comando del settore fu affidato a Philippe Pétain, carismatico generale molto amato dai soldati per le cui vite mostrava un rispetto all’epoca decisamente non comune.

Il generale Philippe Pétain

Con Pétain i Francesi scelsero una strategia difensiva, in netto contrasto con la loro dottrina prebellica, che era basata unicamente sull’attacco. Il futuro maresciallo diramò un ordine chiaro quanto sintetico: non cedere più terreno!

  • Si preoccupò di risparmiare al massimo le vite dei suoi uomini;
  • fece costruire strade e migliorare la logistica per garantire l’afflusso dei materiali alla prima linea;
  • introdusse la rotazione degli uomini, che poterono beneficiare di più frequenti turni di rotazione nelle retrovie.

Le operazioni assunsero così caratteristiche che si associano comunemente alla cosiddetta “guerra di trincea“.

Marzo fu inoltre inaspettatamente freddo e ricco di precipitazioni, anche a carattere nevoso: tutti questi fattori contribuirono ad arrestare i Tedeschi. In questo periodo si distinse nelle operazioni un giovane ufficiale francese, Charles De Gaulle; ferito, verrà catturato e rimarrà prigioniero fino al termine del conflitto.

Battaglia di Verdun: una foto di trincea
Battaglia di Verdun: una foto di trincea. Il nome in codice tedesco dell’evento fu Operazione Gericht (giudizio)

I Francesi all’attacco

Ma una strategia di pura opposizione non poteva essere accettata a tempo indeterminato dallo Stato Maggiore Francese; esso, come si è detto, era figlio di una dottrina che conosceva una sola parola: attacco. Ad aprile Pétain venne quindi sostituito e i Francesi passarono all’offensiva.

Gli uomini tornarono a essere solo carne da cannone e vennero scagliati in ondate successive contro trincee e apprestamenti difensivi che – semplicemente – non potevano espugnare.

È opportuno ricordare che le trincee erano solo parte di sistemi di difesa composti da mitragliatrici, filo spinato, cavalli di frisia ecc., contro i quali uomini a piedi e appesantiti dall’armamento dovevano lanciarsi, attraversando allo scoperto la “terra di nessuno”: lo spazio fra le proprie trincee e quelle nemiche.

Inoltre i feriti venivano spesso rispediti in prima linea dopo aver ricevuto cure sommarie. E’ qui che si può riscontrare una buona parte dell’orrore della battaglia di Verdun – proprio per esaurimento di quel materiale umano che veniva tenuto in nessun conto. I traumatizzati erano tacciati di codardia e dichiarati abili al combattimento: tornavano così in quelle trincee dove li aspettavano solo freddo, sporcizia, gas letali e malattie, quando non un proiettile nemico.

In definitiva, le offensive dei transalpini sortirono l’unico effetto di accrescere spaventosamente il numero dei caduti di entrambe le parti.

L’epilogo della battaglia di Verdun

Insoddisfatti dei risultati conseguiti, dopo un’ultima “limitata” offensiva (giugno 2016), nel corso della quale persero altri 250.000 uomini, gli Alti Comandi dell’esercito Imperiale sostituirono Falkenhayn con la coppia formata da Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff; essi scelsero a loro volta una strategia difensiva, in attesa degli attacchi nemici.

In parte la decisione fu dovuta alla contemporanea offensiva inglese, più a nord, in quella che verrà poi etichettata come battaglia della Marna, e il cui scopo principale era proprio quello di “alleggerire” la situazione degli esausti Francesi attorno a Verdun.

Anche la Marna si risolverà in una insensata carneficina, così come le ultime ridotte offensive dell’esercito francese attorno a Verdun.

La campagna di Verdun termina ufficialmente il 19 dicembre 1916: in questo giorno i contendenti si arrestano sia per l’esaurimento di uomini e mezzi, sia per la dura stretta imposta da un inverno particolarmente rigido.

Conclusioni

Verdun influenzò pesantemente le concezioni tattiche dei due contendenti, non solo per il proseguo della Grande Guerra ma anche per gli anni successivi fino alla Seconda Guerra Mondiale. Se i Francesi scelsero di perfezionare tattiche e apprestamenti difensivi, i Tedeschi fecero esattamente l’opposto, teorizzando la guerra di movimento e l’infiltrazione nel territorio nemico in modo totalmente svincolato dalla conquista di posizioni fisse: in definitiva il blitzkrieg, la guerra lampo.

Ma più importante della teoria è senz’altro la necessità di sottolineare i patimenti di chi ebbe la sventura di combattere a Verdun: non bastano le aride cifre che parlano di 368.000 perdite tra i Francesi e 330.000 fra i Tedeschi, compresi feriti e prigionieri, a descrivere l’orrore. E forse nemmeno le definizioni di alcuni storici come Lucio Villari (“Gli uomini contavano meno dei mezzi”) o Antonio Gibelli (“Un processo industriale senza fine della morte umana”).

Forse meglio che altrove, l’inferno di Verdun è stato descritto da Erich Maria Remarque nel suo celeberrimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale“.

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Battaglia di Vittorio Veneto, riassunto e fatti storici https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-vittorio-veneto/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-vittorio-veneto/#comments Wed, 16 Oct 2019 08:38:01 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=27183 La battaglia di Vittorio Veneto fu combattuta fra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918, fra l’esercito dell’Impero austro-ungarico e il Regio Esercito Italiano. Terminò con la disfatta degli austro ungarici e la resa incondizionata dell’Impero di fronte alle Potenze dell’Intesa. Di fatto sancì la vittoria dell’Italia nel primo conflitto mondiale.

Battaglia di Vittorio Veneto

La situazione alla viglia

Gli austro-ungarici

Dopo il gigantesco sforzo logistico e militare che aveva portato alla vittoria di Caporetto, e ancor più dopo la fallita offensiva della cosiddetta “Battaglia del solstizio” o “Seconda battaglia del Piave” (15-24 giugno 2018), le forze Imperiali austriache erano allo stremo.

Sotto il profilo morale, la condizione era determinata dal disfacimento dell’impero, dovuto alle crescenti spinte secessionistiche che caratterizzavano un impero multietnico come quello di Francesco Giuseppe. Ne risentivano il morale e la volontà delle truppe non austriache di combattere.

Inoltre, dopo quattro anni di guerra la situazione dei rifornimenti per le potenze centrali era decisamente preoccupante. Soprattutto sotto il profilo alimentare, i militari austriaci ricevevano razioni sempre più scarse e nettamente inferiori rispetto a quelli del riorganizzato esercito italiano.

Gli italiani

A ottobre 1918 l’esercito italiano aveva ben poco a vedere con quello di Caporetto. Il reclutamento dei “ragazzi del ‘99” aveva consentito di colmare le perdite e riportare le singole unità vicine alla forza nominale.

Il materiale in dotazione era infinitamente migliore rispetto a quello del 1915: i veicoli, l’artiglieria, le maschere antigas, ecc. Ma soprattutto la destituzione del detestato generale Cadorna, responsabile della disfatta di Caporetto, con la nomina del Generale Armando Diaz a capo di stato maggiore dell’esercito, aveva infuso nuovo morale nelle truppe. La sensazione generale era che la vittoria definitiva fosse vicina.

I piani delle due parti

Il Generale Diaz non era del tutto convinto dell’opportunità di lanciare un’offensiva a ottobre. Tuttavia, le pressioni degli alleati anglo-francesi lo convinsero e concepì il piano che aveva come obiettivo strategico Vittorio Veneto, che all’epoca si chiamava semplicemente Vittorio.

Questa cittadina venne scelta perché si trovava esattamente a metà strada rispetto ai punti di partenza delle due direttrici principali della avanzata. Inoltre, in base ai piani, la conquista di Vittorio Veneto avrebbe consentito anche di tagliare la via di ritirata alle truppe austro-ungariche, qualora si fosse riusciti a ottenere lo sfondamento lungo il fronte.

Riguardo alla situazione del nemico, le opinioni all’interno dello Stato Maggiore Italiano erano contrastanti. Alcuni ritenevano che gli austriaci avrebbero opposto una ferma resistenza, come sempre era stato fino a quel momento. Altri consideravano ormai sconfitto l’esercito austro-ungarico.

Fra tutti si distingueva l’opinione del colonnello Tulio Marchetti, Capo dell’Ufficio Informazioni della 1ª Armata, il quale riteneva che le truppe di prima linea del nemico sarebbero state un osso duro. Ma, una volta infranta la loro resistenza, non si sarebbero più trovati grossi ostacoli. Cosa che, puntualmente, si verificò.

Gli austriaci erano tutt’altro che ignari della possibilità, anzi probabilità, di una imminente offensiva italiana, nel breve periodo. In alcune aree del settore, come il Monte Grappa, si riteneva di poter fermare l’avanzata del nemico, appoggiandosi alle truppe di élite di prima linea e alle asprezze del terreno.

Peraltro, nel complesso si era ben consapevoli delle difficoltà e soprattutto delle lacune. Le unità imperiali erano ampiamente sotto numero, i materiali e i pezzi di artiglieria scarseggiavano ma, soprattutto, il problema principale era la denutrizione.

Il settore del Grappa

In base ai piani, le operazioni ebbero inizio il 24 ottobre 1918 nel settore del Monte Grappa. Qui, preceduta dal fuoco di preparazione dell’artiglieria, la 4a Armata del generale Gaetano Giardino sferrò l’attacco. In questo settore, però, le forze erano numericamente equilibrate e, anche grazie all’asprezza del terreno montagnoso, gli austro ungarici seppero resistere validamente.

Il gruppo di armate del Tirolo (Arciduca Giuseppe) riuscì a non cedere terreno e, anche nelle occasioni nelle quali gli italiani sembravano aver conseguito successi locali, seppero contrattaccare e riconquistare le posizioni perdute. Si andò avanti così, tra successi tattici italiani e controffensive austriache, alternate da proteste del generale Giardino che non vedeva vantaggi nel continuare un’offensiva che stava dissanguando le sue truppe, fino al 30 ottobre. La rotta austro-ungarica divenne generale su tutto il fronte e la 4 a Armata potè conseguire i suoi obiettivi.

Tuttavia, se si considera che, nel piano originale, la 4a Armata avrebbe dovuto assolvere a un compito strategico, inchiodando il nemico nel settore e, anzi, obbligandolo ad inviarvi delle riserve, si può concludere che l’offensiva in questo settore fu un insuccesso almeno parziale.

Il fronte del Piave

Il nerbo dell’offensiva era costituito dalla 8a Armata del generale Enrico Caviglia, che doveva avanzare nel settore del Piave. In particolare, tra Vidor e le Grave di Papadopoli (un’isoletta formatasi in seguito a un’alluvione che divise il Piave in due rami), il Regio Esercito era riuscito a conseguire una notevole superiorità locale.

Proprio qui, truppe inglesi conseguirono il primo successo locale, occupando l’isola con il supporto dell’artiglieria italiana. Sul resto del fronte, invece, le operazioni subirono un forte ritardo a causa delle forti piogge, che portarono a una semi-piena del Piave, rendendo di fatto il corso d’acqua impossibile da attraversare.

Fu solo il 27 ottobre che si riuscì ad attraversare il Piave, appoggiandosi soprattutto alla testa di ponte britannica. Il giorno 29 le operazioni offensive cominciarono a prendere una piega favorevole, grazie anche alle migliorate condizioni atmosferiche.

Come previsto dal colonnello Tullio Marchetti, superata l’opposizione della prima linea imperiale, le truppe italiane poterono avanzare subendo un contrasto molto relativo.

Soprattutto nel settore del Piave l’opposizione del nemico era minima: le unità di élite austriache, sconfitte, invocavano l’arrivo delle riserve, ma queste, soprattutto gli ungheresi, si rifiutavano di combattere. Il 30 ottobre si verificò un ulteriore sfondamento anche nel settore del Grappa e la ritirata austriaca si trasformò in rotta lungo tutto il fronte.

La resa

Intorno alle ore 15 del 30 ottobre 1918, il 20º reparto d’assalto del generale Caviglia entrò a Vittorio Veneto, accolto festosamente dalla popolazione. Dal 1º novembre, le operazioni dell’8ª Armata assunsero il carattere di inseguimento dell’esercito nemico in rotta.

Nel frattempo si trattava la resa. Dopo i primi approcci del 30 ottobre, le trattative proseguirono con alcune difficoltà. Da parte italiana si aspettava la trasmissione del testo della capitolazione da Versailles, dove si trattava la resa di tutte le potenze centrali.

La richiesta, inoltre, era di un cessate il fuoco posticipato di 24 ore rispetto alla firma dell’armistizio di Villa Giusti, mentre gli austriaci insistevano per una cessazione delle ostilità immediata. Alla fine, ci si accordò per l’entrata in vigore dell’armistizio alle ore 15,00 del giorno 4 novembre.

L’importanza della battaglia di Vittorio Veneto

All’epoca della battaglia di Vittorio Veneto, la capacità di opporsi al nemico dell’esercito austro ungarico era fortemente minata. Quattro anni di guerra e le contraddizioni interne (leggasi, il problema delle nazionalità) avevano logorato la volontà militare e politica di combattere dell’esercito imperiale.

Questo non significa però che le truppe del Regio Esercito si limitassero a sfondare una porta aperta. Soprattutto i veterani austriaci seppero combattere con valore, facendo appello allo spirito di corpo e alla fedeltà verso ufficiali che li avevano condotti attraverso le battaglie e i pericoli per 4 anni: in questo senso, la fedeltà al reparto si sostituì a quella alla Patria.

Da parte italiana, il documento più famoso a suggello della battaglia è il bollettino della vittoria del generale Diaz.

Il testo del generale Diaz

«Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12; Bollettino di guerra n. 1268

La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita.

La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.

Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.»

Considerazioni finali

Ci fu chi descrisse la battaglia di Vittorio Veneto come un evento senza nemico o dove il nemico si limitò al ruolo passivo di fuggitivo. Non fu così. Come non è nemmeno vera quella parte di storiografia secondo la quale fu soprattutto a Vittorio Veneto che si determinò l’esito della prima guerra mondiale.

La verità sta nel mezzo: nell’ottobre 1918 fu sancito un destino al quale l’esercito austriaco era andato incontro nei 4 anni precedenti, ma che non tutti i suoi componenti erano ancora pronti ad accettare. L’Esercito Italiano colse invece una vittoria che appare fulgida, ma che ebbe le sue premesse nella Battaglia del solstizio, quella sì realmente incerta.

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Battaglia di Caporetto https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-caporetto/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-caporetto/#comments Fri, 22 Mar 2019 00:41:10 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26123 Se oggi il termine “Caporetto” è utilizzato come sinonimo di disfatta è perché quella che si consumò a Caporetto (oggi Kobarid, Slovenia) fu la più grave sconfitta mai subita da un esercito italiano. La Battaglia di Caporetto avvenne nel 2° anno di impegno dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale.

Battaglia di Caporetto Disfatta di Caporetto
Battaglia di Caporetto: truppe tedesche catturano numerosi soldati italiani in una trincea durante le fasi iniziali della battaglia.

Il Paese entrò in conflitto nel 1915 allo scopo, principalmente, di strappare Trento e Trieste all’Impero Austroungarico. A scontrarsi, anche a Caporetto, furono il Regio esercito italiano e le forze austroungariche e tedesche. Queste ultime giunsero in aiuto per far crollare il fronte occidentale, quello italiano.

Antefatto: 11 battaglie sull’Isonzo

La Battaglia di Caporetto giunse come 12° atto dei conflitti sul fiume Isonzo. Una serie di avanzate e ritirate che causarono grandissime perdite da ambo le parti; esse impegnarono gli italiani, sotto il comando di Luigi Cadorna, per più di due anni.

Il fiume Isonzo fu uno dei luoghi principi degli scontri del 1917; come anche l’Altopiano di Asiago e quello del Carso, il Veneto settentrionale e il confine odierno fra Slovenia e Friuli Venezia Giulia.

Mappa della Battaglia di Caporetto
Mappa dell’avanzata austro-ungarico-tedesca in seguito alla ritirata italiana

Battaglia di Caporetto: 3 fasi d’attacco e una grave sconfitta

L’attacco austroungarico a Caporetto iniziò il 24 ottobre 1917. L’evento è ricordato anche come 12ª battaglia dell’Isonzo.

Fase I

La prima fase fu quella del lancio di gas tossici. Gli italiani poterono resistere per due ore con le allora maschere antigas prima di abbandonare la prima linea.

Fase II

A seguire gli austroungarici misero in campo l’artiglieria con tonnellate di proiettili in caduta sulle linee di difesa dell’esercito italiano.

Fase III

In terza battuta, giunse la fanteria. Migliaia di soldati austriaci e tedeschi attaccarono gli schieramenti italiani. Ci fu una giornata intera di combattimenti, in cui questi ultimi non fecero che arretrare fino alla disfatta.

La disfatta

Quattro settimane dopo si ritirarono sulla linea del Piave. La disfatta di Caporetto costò all’Italia la vita di 40mila soldati e condusse in prigionia 365mila connazionali. La ritirata dei soldati italiani si protrasse per circa un mese.

Dopo la linea provvisoria sul Tagliamento, il Regio esercito si posizionò sul Piave. Tale linea mai fu sfondata dalle forze austroungariche e tedesche. Essa fu teatro di numerose successive battaglie.

La Tribuna
La Tribuna: la prima pagina del 20 ottobre 1918 racconta dell’evento storico della Seconda Battaglia del Piave

Intanto, a seguito di Caporetto, fra Friuli e Veneto abbandonarono la propria casa oltre un milione di cittadini. Questi divennero profughi di guerra, di cui solo 270mila si misero in salvo.

Ai tantissimi saccheggi e alle rappresaglie di mano austroungarica, fra l’altro, i cittadini del territorio risposero creando bande armate civili. Il loro scopo era quello di sabotare e disturbare l’occupazione. Questi gruppi si possono a buon titolo definire come le prime formazioni partigiane italiane.

Le cause della disfatta di Caporetto

Gli storici hanno definito in maniera unanime Caporetto come la più grande sconfitta italiana; e hanno, nello stesso modo, tracciato le principali cause di tale disfatta.

I soldati che combatterono quel capitolo, ma in generale anche tutto il conflitto, erano stati formati alla fine dell’Ottocento. In quel periodo poco o niente si conosceva di quello che sarebbe stato messo in campo in fatto di armi.

In particolare la mancanza di formazione fu evidente e fautrice di maggiori danni nell’ambito dell’artiglieria; essa fu utilizzata senza differenziare a dovere l’azione offensiva da quella difensiva.

A questa ignoranza fattuale si aggiunsero gli errori degli alti ufficiali. Il comandante supremo Cadorna e i comandanti d’armata Capello, Cavaciocchi, Badoglio e Bongiovanni compirono gravi errori strategici e tattici. In più, si fecero imbrigliare nella “burocratizzazione” che pure appartenne alla Prima guerra mondiale e che rallentò in più momenti la risposta del Paese in battaglia.

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1913: L’anno prima della tempesta, libro di Florian Illies https://cultura.biografieonline.it/1913-libro/ https://cultura.biografieonline.it/1913-libro/#respond Fri, 15 Dec 2017 14:34:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23702 Florian Illies, è l’autore del libro 1913: L’anno prima della tempesta. E’ un brillante storico dell’arte (nato il 4 maggio 1971 a Schlitz, in Germania). Alcuni anni fa ha scritto un libro di storia che secondo me può essere considerato un capolavoro. Per altri invece è un saggio interessante per il contenuto e per la forma. Il contenuto riguarda la narrazione di un anno cruciale per la storia del XX secolo: il 1913, l’anno precedente l’inizio della Prima guerra mondiale. E’ un racconto che scandisce lo svolgere lento di quell’anno, che fu un confine ultimo prima del baratro.

1913. L’anno prima della tempesta, libro di Florian Illies
1913: L’anno prima della tempesta, immagine tratta dalla copertina del libro

La forma ricorda il montaggio di un documentario. Lo stile è simile a quello di Hans Magnus Enzensberger che nel libro “La Breve estate dell’anarchia. Vita e morte di Buenaventura Durruti”, descrive la vita dell’anarchico prima e durante la Guerra civile spagnola (1936-1939). Sono brevi paragrafi che raccontano cosa facevano e come vivevano personaggi decisivi per l’arte, la cultura, la politica mondiale nelle città di New York, Berlino, Vienna e Parigi.

Il libro 1913: L’anno prima della tempesta su Amazon

I protagonisti storici dell’anno 1913

Il 1913 è un anno anno pieno di stimoli e accadimenti. La crisi incombe e il 1913 contiene in sé il progresso e la decadenza di una civiltà che solo un anno dopo esploderà su se stessa deflagrando fra lo stupore di molti. Per l’autore di questo bellissimo libro che si intitola appunto “1913. L’anno prima della tempesta” ed è pubblicato dalla casa editrice Marsilio, il ‘900 inizierebbe proprio in quell’anno. Illies conosce bene la cultura del XX secolo e la condensa in brevi pillole.

Racconta come inizia quell’anno: con uno sparo in una New Orleans in festa e con il conseguente arresto di un ragazzo di dodici anni che viene portato in riformatorio. Qui, per placarlo il direttore gli regala una tromba, definendone il destino. Il ragazzo si chiamava Louis Armstrong.

Nel frattempo Franz Kafka, che lavora presso un ufficio di assicurazioni, sta scrivendo “La Metamorfosi” e sta iniziando una relazione d’amore che lo influenzerà profondamente. Mentre Stalin e Hitler a passeggio per Vienna, si incontrano forse solo per brevi istanti nel parco di Schönbrunn. Perché a Vienna uno fa il pittore fallito e l’altro il dissidente che sta preparando la rivoluzione.

Sigmund Freud, invece, fa la conoscenza di una gatta e Oswald Spengler sta scrivendo il suo capolavoro: “Il tramonto dell’Occidente”. Marcel Proust, invece, è a Parigi dove misura il suo isolamento. Duchamp a New York diventa il protagonista dell’arte moderna. L’arciduca Francesco Giuseppe va al lavoro con la sua auto e medita sulla sua sicurezza. Camille Claudel degenera nella pazzia mentre ragiona sulle statue di Rodin.

Nel frattempo esce un libro di successo di uno sconosciuto, tutt’ora lo è, che si chiama Bernhard Kellermann. La polizia sta ancora cercando la Gioconda, rubata nel 1911. Si scoprirà poi che il ladro è Vincenzo Peruggia, un vetraio che voleva restituire il capolavoro di Leonardo all’Italia. Stravinsky a Parigi vede la prima della sua opera “La saga della primavera”.

Florian Illies
Florian Illies, autore del libro “1913. L’anno prima della tempesta”

Tutti i più grandi stanno scrivendo un libro: Thomas Mann, D.H. Lawrence, Marcel Proust, Rainer Maria Rilke. E tutti sono insoddisfatti. Charlie Chaplin sta per diventare una star, grazie al suo primo contratto con gli Studios. E Coco Chanel è felice per come stanno andando le vendite del suo negozio di cappelli. Si continua come in un infinito giro di giostra di fatti e accadimenti, perdendosi nella scrittura di Florian Illies. Si vorrebbe continuare a seguire i protagonisti nello svolgimento delle loro vite. Così finisce il 1913, un anno pieno di stimoli, leggerezza, modernità e voglia di esistere, mentre la guerra inesorabile si avvicina.

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La Cripta dei Cappuccini, romanzo di Joseph Roth: riassunto https://cultura.biografieonline.it/cripta-dei-cappuccini-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/cripta-dei-cappuccini-riassunto/#comments Mon, 28 Nov 2016 13:44:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20479 Lo scrittore e giornalista austriaco Joseph Roth è conosciuto al pubblico anche per aver scritto il romanzo “La Cripta dei Cappuccini“. Fu scritto nel 1938, un anno prima della morte dell’autore. Il titolo originale è Die Kapuzinergruft. Il libro è ambientato durante il periodo della Grande Guerra e della Finis Austriae, ovvero la fine dell’Austria. Tale periodo indica la fine dell’impero, dei suoi principi e di tutto l’organismo politico, economico, sociale e burocratico.

La Cripta dei Cappuccini - Joseph Roth - Libro - Riassunto
Una copertina del libro “La cripta dei cappuccini”, di Joseph Roth

L’autore, nel libro “La cripta dei cappuccini“, narra dell’inabissarsi del suo mondo, in modo particolare quello austriaco. Questo mondo è condannato, secondo lui, solo alla rovina e alla dispersione. Joseph Roth descrive in modo minuzioso le persone, i loro gesti, le loro vite, adottando uno stile deciso e spesso cruento.

La Cripta dei Cappuccini: riassunto del libro

Il libro “La Cripta dei Cappuccini” narra della vita di un giovane, Francesco Ferdinando Trotta, diventato nobile grazie ad un suo prozio. Questi in vita si trovò casualmente a salvare la vita all’Imperatore Francesco Giuseppe I (Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria che apparteneva alla casa d’Asburgo-Lorena).

Il giovane vive una vita agiata e spensierata, non curante dei problemi del paese alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Francesco non ha nessuna preoccupazione di sorta e si diverte a sperperare i soldi della madre. Stringe amicizie solo con i suoi simili, ovvero i nobili, passando le sue giornate oziando nei caffè della città viennese.

La situazione cambia quando il giovane si trova ad incontrare un lontano parente povero, di nome Joseph Branco. Questi di professione è caldarrostaio e girovago. Branco doveva ritirare una parte dell’eredità che il padre di Trotta gli aveva lasciato. C’è poi il suo amico Manes Reisinger, vetturino. Egli invece voleva ottenere dalla sua famiglia una raccomandazione al conservatorio per il suo unico figlio.

Una nuova visione

Francesco cambia la sua visione della vita e del mondo, quando Manes lo invita a trascorrere un po’ di tempo a casa sua. Il ragazzo rimane in Slovenia fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale ed in seguito si arruola come alfiere nello stesso reggimento dei suoi amici Manes e Joseph, rimanendo affascinato dalla semplicità di quel mondo che ormai stava scomparendo.

Prima di partire per il fronte, il giovane Francesco, perdutamente innamorato di una ragazza che si chiama Elizabeth, decide di chiederla in sposa e la ragazza accetta di buon grado di diventare sua moglie. Dopo il bell’evento felice, però, il giovane è costretto a partire, insieme ai due inseparabili amici, per il fronte.

In guerra

La situazione precipita quando Francesco viene catturato e fatto prigioniero dal nemico, perdendo così di vista gli amici di sempre. Il giovane, però, è comunque fortunato perché riesce a fuggire dalla prigionia prima di essere deportato in Siberia.

Decide così di ritornare nella sua amata Vienna. Ma, arrivato in Austria, si accorge che la sua città non è più la stessa. Così rimane profondamente e intimamente colpito dai numerosi cambiamenti che Vienna ha vissuto. Infatti, la guerra ha lasciato i suoi segni indelebili anche nelle sfere sociali della nobiltà che ora si trova a combattere per riuscire a rimanere a galla, in questo nuovo caotico periodo sociale. Anche la sua famiglia rimane colpita da questo tetro periodo.

La moglie di Trotta, Elisabeth, nel frattempo decide di mettersi in affari con una professoressa di nome Szamatary. Ma questo progetto lavorativo ben presto svanisce, portandosi con sé tutti i sogni che la giovane Elisabeth gli aveva riferito.

La madre di Francesco vive delle serie problematiche di salute dovute all’età. Così il patrimonio di famiglia pian piano inizia ad andare in fumo. A poco valgono i tentativi di recuperarlo. L’unica fonte di finanze per la famiglia di Trotta rimane la casa della madre.

La situazione peggiora ulteriormente quando, per una strana coincidenza del destino, Francesco ed Elisabeth hanno un figlio. Per mantenersi e mantenerlo adattano una parte della casa nobiliare trasformandola in una pensione, per riuscire a racimolare un reddito. Qui vengono alloggiati soprattutto i suoi amici squattrinati, anch’essi sconfitti e schiacciati dalle regole e dalle imposizioni del “nuovo mondo”.

Il declino

Ma non finisce qui: la moglie Elisabeth, che non riesce ad adattarsi alla nuova vita borghese e alla ricomparsa della professoressa Szamatary, lascia il marito, il figlio e quel mondo sperando di poter coronare il suo sogno di diventare attrice.

Francesco rimane solo con il figlio. E’ sempre più triste ed impotente. Più tardi, l’uomo deciderà di mandare il figlio in un collegio privato. La scuola gli potrà dare un’educazione più consona al nuovo mondo che lo circonda.

Finale

Con il passare del tempo, Francesco ritorna a frequentare la sua vecchia cerchia di amici ma nulla è più come prima. Ormai si sente un estraneo. Trotta si trova così sempre più solo e schiacciato dal sistema.

La storia si chiude con l’avvento del nazismo, che prende sempre più piede anche in Austria e con il protagonista principale della vicenda, Franscesco Ferdinando Trotta, che decide durante la sera della presa del potere, di vagare solitario per la città viennese. Il suo unico e ultimo desiderio è quello di poter ammirare la famosa e storica Cripta dei Cappuccini, dove si trova il “suo” Imperatore Francesco Giuseppe I, ormai simbolo di un passato glorioso che, purtroppo per lui, non tornerà mai più.

Joseph Roth
Una foto dell’autore austriaco Joseph Roth (1894 – 1939)

Commento all’opera

Il romanzo di Joseph Roth “La Cripta dei Cappuccini” ebbe un ottimo successo sia in termini di critica che di pubblico, tanto da consacrare lo stesso autore Joseph Roth ai vertici della letteratura mitteleuropea.

 

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Soldati, poesia di Ungaretti https://cultura.biografieonline.it/soldati-ungaretti/ https://cultura.biografieonline.it/soldati-ungaretti/#comments Thu, 07 Apr 2016 16:53:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17807 La poesia “Soldati” è uno dei testi chiave per comprendere la poetica del suo autore, Giuseppe Ungaretti, oltre che una delle sue opere più famose. La poesia reca come data di componimento il mese di luglio 1918, presso il Bosco di Courton, sito in Francia. Il luogo e la data sono indicati proprio al di sotto della lirica stessa, come di consuetudine, proprio per dare alle poesie l’aspetto di diario.

Soldati: Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie
“Soldati” – Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie – Celebre poesia breve di Giuseppe Ungaretti

La lirica chiude  la quarta sezione della raccolta Allegria, intitolata Girovago, che comprende le poesie composte fra il marzo e il luglio 1918, durante l’esperienza della guerra in Francia. Il poeta, infatti, oltre ad aver combattuto la prima fase della Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano del Carso, si spostò anche sul fronte francese. Dal 1918 al 1921 visse a Parigi, dove si sposò con Jeanne Dupoix, dalla quale ebbe due figli.

Le poesie composte sul fronte francese ricalcano lo stesso stile di quelle composte sul fronte italiano (come Veglia) : il tema della guerra domina tutta la raccolta ma viene visto come momento rivelatore della propria identità . La raccolta Allegria uscì con una prima edizione nel 1931 e poi con l’ultima e definitiva del 1942. La sezione Girovago è la terza e penultima della raccolta, che termina con la sezione Prime, che anticiperà l’evolversi della poetica di Ungaretti.

Soldati: analisi del testo e parafrasi della poesia

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.

La poesia “Soldati” ricalca lo stile espressionista e quasi aforistico che il poeta utilizza in tutta la raccolta. È formata da quattro versi liberi brevi e il titolo non può essere scisso perché descrive a pieno il testo.

Tutto il significato della breve, ma intensa, lirica gira intorno ad una similitudine: la condizione dei soldati schierati nelle trincee e minacciati da uno scontro a fuoco viene paragonata alle foglie degli alberi che cadono in autunno.

L’immagine della foglia che si stacca dal ramo è un topos letterario, un luogo comune spesso utilizzato da poeti: tra tutti si ricordano Omero con l’Iliade, Virgilio con l’Eneide, Dante con la Divina Commedia.

L’autunno quindi viene ricollegato alla guerra e alla morte proprio per la caduta delle foglie e la trasformazione del paesaggio. L’immagine tradizionale della foglia viene però svecchiata da Ungaretti grazie alla brevità del componimento stesso: i versi sono disposti proprio per dare il senso repentino di passaggio dalla vita alla morte.

La struttura del componimento è circolare: la parola soldati trova il suo paragone solo con la parola foglie all’ultimo verso. Inoltre sono presenti enjambements: come-d’autunno; alberi-le foglie.

La poesia diventa così un rapido aforisma, una sentenza: i soldati si trovano nella stessa condizione, incerta e minacciata, delle foglie in autunno. Questo il senso rapido e coinciso di una delle liriche più intense del poeta Giuseppe Ungaretti.

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L’armistizio di Villa Giusti (3 novembre 1918) https://cultura.biografieonline.it/villa-giusti-armistizio/ https://cultura.biografieonline.it/villa-giusti-armistizio/#comments Wed, 11 Nov 2015 08:37:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15630 Nel contesto storico della Prima Guerra Mondiale, l’armistizio di Villa Giusti venne siglato il 3 novembre 1918 dall’Impero austro-ungarico e dai rappresentanti dell’Italia e delle nazioni che componevano l’Intesa (Gran Bretagna, Francia, Impero russo, Italia e Stati Uniti d’America). Il luogo fu la villa del conte padovano Vettor Giusti del Giardino, situata nella provincia di Padova.

Armistizio di Villa Giusti - 3 novembre 1918
Armistizio di Villa Giusti – 3 novembre 1918

Lo scenario storico

Già durante il mese di agosto del 1918, l’Austria decise di chiedere alla Germania di organizzare un incontro con le forze dell’Intesa per discutere della pace. Le trattative, secondo lo Stato Maggiore austro-ungarico, sarebbero dovute iniziare subito ma i tedeschi rifiutarono la resa.

L’Impero austro-ungarico decise allora di chiedere una pace separata che inviò all’Intesa il 14 settembre. Ma tale richiesta venne respinta. All’inizio di ottobre, il fronte bulgaro crollò e, a questo punto, sia la Germania che l’Austria – Ungheria chiesero separatamente la pace all’Intesa, domandando contemporaneamente al presidente degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson, di discutere dell’armistizio sulla base di 14 punti da lui esposti l’8 gennaio 1918.

Wilson non rispose subito ma, quando lo fece, raggelò i governi degli Imperi centrali. Infatti, il presidente americano rispose solo il 18 ottobre, due settimane dopo la richiesta austriaca e tedesca e sottolineò subito che non era sufficiente che nelle trattative di pace si arrivasse al compromesso di stabilire l’autonomia delle nazionalità oppresse dai governi degli imperi centrali ma fosse invece necessario fare un passo avanti.

La situazione dell’Impero austro-ungarico era irreversibile e, quindi, il governo austriaco emise una nota in cui dichiarava la sua totale disponibilità ad accettare tutti i punti proposti dal presidente Wilson. Inoltre gli austriaci, attraverso vie diplomatiche, chiesero di aprire le trattative per una pace separata, quindi senza i tedeschi. Intanto, l’esercito italiano sbaragliava a Vittorio Veneto l’esercito austro-ungarico, costringendo lo stato maggiore austriaco a chiedere la resa immediata e a proporre l’armistizio allo Stato Maggiore Italiano.

L’armistizio di Villa Giusti

Il 28 ottobre il generale Viktor Weber Edler Webenau, fu incaricato dal suo Stato Maggiore di svolgere le trattative per l’armistizio. Presentò pertanto richiesta al comando italiano, il quale per bocca del generale Diaz rifiutò di condurre isolatamente delle trattative con gli austriaci ma assicurò invece di essere pronto a notificare le richieste dei paesi che facevano parte dell’Intesa.

Nel frattempo, l’imperatore austriaco Carlo I avvertì l’imperatore tedesco Guglielmo II che, malgrado la necessità di una resa del suo esercito, non avrebbe consentito alle truppe nemiche di raggiungere la Germania attraversò l’Austria. Poi, con un messaggio radiofonico, Carlo annunciò alle sue truppe di sospendere qualsiasi ostilità.

Il 30 ottobre gli austriaci, capitanati dal generale Weber, vennero accompagnati a Villa Giusti, dove il giorno dopo vennero raggiunti da altri ufficiali austriaci. La delegazione era dunque completa per poter discutere della pace. I tedeschi decisero nel frattempo di proporre una propria delegazione allo scopo di impedire che l’Austria firmasse una pace separata. Pertanto, fu inviato il colonnello tedesco Schäffer von Bernstein con il mandato di trattare le condizioni dell’armistizio. La delegazione italiana presente a Villa Giusti decise però di non ammetterlo alle trattative.

Nel frattempo, il primo ministro inglese Lloyde-George chiese al primo ministro italiano Orlando di raggiungere rapidamente una pace separata con gli austriaci allo scopo di ottenere che si potessero utilizzare i loro territori per attaccare la Germania da sud, la quale, secondo gli inglesi, si stava preparando ad una resistenza militare, malgrado le paventate intenzioni del comando tedesco di accettare la resa.

Le firme

Le commissioni militari si misero subito al lavoro per preparare le condizioni dell’armistizio. Una volta pronto, il testo venne comunicato alle delegazioni riunite a Villa Giusti. La delegazione comandata dal generale Weber chiese la possibilità di modificare alcune clausole, ma la sua richiesta fu respinta.

La pace, per le forze dell’Intesa, non era trattabile: o veniva firmata oppure doveva essere respinta. La corte di Carlo I fu tentata di respingere le condizioni che venivano ritenute troppo dure, soprattutto per i punti che riguardavano il libero passaggio delle truppe sul territorio austro-ungarico e la cessione di una gran parte della flotta navale. Venne deciso anche che 24 ore dopo la firma dell’armistizio sarebbero dovute cessare le ostilità. Alle 3.30 del 3 novembre 1918 l’imperatore accettò la resa che venne comunicata all’esercito. Alle 15.15 del 3 novembre la delegazione austriaca firmò l’armistizio a Villa Giusti.

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Ci rivediamo lassù (Pierre Lemaitre) https://cultura.biografieonline.it/ci-rivediamo-lassu/ https://cultura.biografieonline.it/ci-rivediamo-lassu/#comments Tue, 22 Sep 2015 08:44:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15164 amici, in 5 minuti. amici!

ci sono i romanzi di guerra, che sono dolorosi, e poi ci sono i romanzi del dopoguerra che sono più dolorosi ancora. perché uno dice la guerra è finita bella lì famo festa. invece è proprio il dopo che ti frega, i casini continuano e manco c’hai la giustificazione della guerra. tipo 54 di wu ming che è bellizzimo.

ci rivediamo lassù di pierrelemaitre – mondadori, 2014 è un libro sul dopo-prima-guerra-mondiale. è anche un libro su amicizia avidità tristezza disperazione genio.

Ci rivediamo lassù - Au revoir là-haut
Ci rivediamo lassù (2014 , titolo originale: Au revoir là-haut)

ci sono albert e édouard e diventano amici più per necessità che per caso. uno ricco l’altro povero uno figo l’altro meno e però poi succedono delle cose e la loro vita va un po’ in mona. perché appunto il dopoguerra è difficile, anche per chi ha combattuto e si aspetterebbe almeno un grazie e invece calci nel culo.

Una foto di Pierre Lemaitre
Pierre Lemaitre

pierre lemaitre è nato nel 1951, ma il libro “ci rivediamo lassù” sembra scritto da qualcuno che c’era proprio lì, che poi tante cose, manco le leggi nei libri. cioè tu sei giovane, lavori, hai progetti, arriva la guerra – che è già merda di per sé – passi un periodo orèndo, poi torni e che hai? oltre agli incubi la notte intendo. che hai? nulla. no lavoro no speranze solo tutto nero. che poi se ti va bene sei tornato, se ti va molto bene sei tornato sano, e gli altri?
quando si legge in questa guerra sono morti erjfejghkjengegòMILA soldati, cazzo, lo sappiamo quantificare nella nostra testa? no. prendiamo il bundle completo. ma ognuno è una persona.

comunque, lemaitre ha scritto altri libri che non c’entrano con questo, ma in tutti c’è qualcosa come una biscia che ti scende in gola.
c’è un punto, verso la fine, in cui piangere singhiozzando non è sufficiente. provate. è tipo mangiare una fruit joy senza masticar.

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La canzone del Piave https://cultura.biografieonline.it/leggenda-del-piave/ https://cultura.biografieonline.it/leggenda-del-piave/#comments Thu, 28 May 2015 11:01:15 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14403 La canzone del Piave è una canzone patriottica conosciuta anche come La leggenda del Piave, talvolta ricordata con le sue prime parole “Il Piave mormorava“. E’ una delle più famose canzoni italiane in tema di patriottismo.

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio
I primi versi della canzone: “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio

La canzone del Piave” fu scritta nel 1918 da E.A. Mario, pseudonimo del maestro Ermete Giovanni Gaeta (Napoli, 5 maggio 1884 – Napoli, 24 giugno 1961). Nel 1918, nella notte del 23 giugno, poco dopo il termine della Battaglia del Solstizio, in seguito alla resistenza e alla vittoria italiana sul Piave, E.A. Mario scrisse di getto sia le parole che la musica di questo brano. La “Canzone del Piave” servì a risollevare il morale dei soldati: il generale Armando Diaz inviò addirittura un telegramma per far sapere a Gaeta che la sua canzone era servita a dare coraggio ai soldati del Regno e ad aiutare lo sforzo bellico  ben “più di un generale“.

E. A. Mario - Ermete Giovanni Gaeta
E.A. Mario – Ermete Giovanni Gaeta

Nel periodo costituzionale transitorio durante la fase conclusiva per l’Italia della Seconda guerra mondiale, La Leggenda del Piave fu adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano, prima che venisse adottato l’Inno di Mameli, nel 1946.

Il testo della canzone

Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera

Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!

S’udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
Non passa lo straniero!

Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!

Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!

S’udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come un singhiozzo, in quell’autunno nero,
il Piave mormorò:
“Ritorna lo straniero!”

E ritornò il nemico;
per l’orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora

No!“, disse il Piave. “No!“, dissero i fanti,
Mai più il nemico faccia un passo avanti!

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l’onde
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
Indietro va’, straniero!

Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti

Infranse, alfin, l’italico valore
le forche e l’armi dell’Impiccatore!

Sicure l’Alpi Libere le sponde
E tacque il Piave: si placaron l’onde
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!

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La Battaglia del solstizio (o Seconda battaglia del Piave) https://cultura.biografieonline.it/battaglia-solstizio/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-solstizio/#comments Thu, 28 May 2015 05:03:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14390 La Battaglia del Solstizio, definita anche Seconda battaglia del Piave, fu l’ultima importante offensiva dell’Impero Austro-Ungarico, prima della sua resa. Fu anche una delle più importanti vittorie dell’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale. Ebbe luogo dal 15 al 24 giugno 1918. Combattuta nella regione delle Alpi orientali italiane, vide numerose perdite da entrambe le parti: tra morti, feriti e dispersi si contarono 90.000 persone per il Regno d’Italia e 150.000 per l’Austria-Ungheria. I militari italiani protagonisti dell’evento furono Armando Diaz e Pietro Badoglio.

Battaglia del Solstizio (Monte Grappa)
15 giugno 1918: uno schema delle forze schierate in battaglia sul Monte Grappa, all’alba della battaglia

Il termine “Battaglia del Solstizio” venne coniato in seguito da Gabriele D’Annunzio. Il termine si riferisce al Solstizio d’estate che ogni anno cade il 20 o il 21 giugno. Riassumiamo di seguito lo scenario storico-politico e lo svolgimento della Battaglia.

Premesse

Le forze in campo erano il regio esercito italiano contro l’esercito imperiale austro-ungarico. Nel giugno del 1918 l’impero austro-ungarico era allo stremo. La sua situazione militare ed economica lo aveva reso un alleato fragile per i tedeschi che oramai lo consideravano più un problema che una risorsa.

Inoltre gli stessi tedeschi avevano mostrato di disprezzarne la scarsa lealtà degli austriaci, avendo scoperto i tentativi dell’imperatore Carlo I di ottenere una pace separata con le potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Impero russo e Italia).

Contemporaneamente la Germania stava affrontando una guerra dura e difficile sul fronte occidentale e si aspettava dagli austro-ungheresi un’azione di notevole portata che le permettesse di concentrare le risorse e di riunire i rinforzi per sostenere l’offensiva sulla linea francese.

D’altra parte anche negli alti comandi imperiali e nella corte di Carlo, serpeggiava un forte malcontento sia nei confronti degli esiti della guerra, sia per il peso che rappresentava l’alleanza con i tedeschi, che non permettevano nessuna mossa o azione diplomatica affinché si potesse trovare una soluzione pacifica al conflitto.

L’alleanza degli imperi centrali si era rivelata più un peso che un vantaggio e stava creando diverse contraddizioni nell’azione militare. Molti, infatti, erano i conflitti fra austro-ungarici e tedeschi sulle scelte strategiche e molte erano anche le divergenze nell’Alto comando imperiale.

Tuttavia nel marzo del 1918 il Capo di Stato Maggiore dell’impero, l’austriaco Arthur Arz von Straussenburg, aveva annunciato ai tedeschi che i suoi comandi stavano organizzando un’importante offensiva sul fronte italiano.

L’obiettivo di questa operazione era distruggere le difese italiane, sfondare il cordone militare e conquistare la pianura padana facendo incetta di mezzi e approvvigionamenti. Dopo questa ipotetica e decisiva sconfitta, gli italiani si sarebbero arresi, permettendo agli austo-ungarici di concentrare uomini e mezzi sul fronte occidentale.

Il piano di attacco dell’Impero austro-ungarico

Il piano strutturato dall’Alto comando imperiale prevedeva tre momenti. Il primo attacco, lo sfondamento, doveva avvenire presso il Passo del Tonale. Questo attacco avrebbe preceduto di poco altri due movimenti: quello sull’Altopiano di Asiago, comandato dal generale Franz Conrad von Hötzendorf che dirigeva la decima e l’undicesima armata e quello del feldmaresciallo Svetozar Borojević von Bojna, comandante in capo della quinta e sesta armata.

La strategia nella sua semplicità era evidente, anche ai comandi italiani che già la conoscevano. Un primo sfondamento avrebbe dovuto indebolite le difese del regio esercito e i due attacchi avrebbero dovuto rappresentare la classica mossa a tenaglia, che dopo aver stritolato le truppe italiane, si sarebbe dovuta riunire nella zona di Padova.

La controffensiva italiana sul fiume Piave

Il regio esercito italiano, comandato dai generali Armando Diaz e Pietro Badoglio, era stato informato dei piani del nemico diverse settimane prima dell’attacco, tanto che furono predisposte diverse difese e controffensive, come quella dell’artiglieria posizionata nella zona del Monte Grappa, che dopo la mezzanotte del 15 giugno iniziò un bombardamento a tappeto per più di 5 ore contro la fanteria imperiale.

La mattina del 15 giugno gli austriaci avanzarono fino al paese di Nervesa conquistando il Montello. Ma si fermarono lì, perché le truppe italiane risposero all’avanzata distruggendo i ponti sul Piave e costringendo gli austro-ungarici a ripiegare.

Distrutti i passaggi per attraversare il Piave, gli austriaci si ritirano oltre il fiume per potersi riorganizzare. Molti soldati morirono durante la ritirata. Nervesa fu liberata e così il Montello.

Altri scontri ci furono nella zona di Spresiano, Grave di Papadopoli, Ponte di Piave, Candelù, Zenson e Fossalta. Gli austro-ungarici vennero respinti ovunque e ad ogni tentativo di passare il Piave trovarono sempre truppe italiane pronte a respingerli.

Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!
Celebre foto di una casa colpita dai bombardamenti durante la battaglia; la scritta patriottica recita: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!” – (Sant’Andrea di Barbarana, frazione di San Biagio di Callalta, Treviso)

Uno degli scontri più decisivi avvenne nella frazione di San Pietro Novello, dove il reggimento di cavalleria, comandato dal generale Augusti, ottenne un’inaspettata vittoria contro la fanteria imperiale. Lo stesso giorno i soldati italiani inondarono il territorio di Caposile, impedendo così agli austriaci di avanzare anche in quella zona.

Nel frattempo l’artiglieria, posta sulle chiatte del fiume Sile, bombardavano la zona di San Donà di Piave, impedendo qualsiasi movimento agli austriaci. L’ultimo punto del Piave in cui gli austro-ungarici vennero respinti, dopo essere riusciti ad avanzare oltre il Piave, fu Fagarè, frazione del comune di San Biagio in provincia di Treviso.

Poco dopo gli eventi venne composta la celebre “Canzone del Piave” (o “La leggenda del Piave“, spesso ricordata anche – dalle prime parole del testo – “Il Piave mormorava“).

Le armi utilizzate durante gli scontri

Gli austro-ungarici usarono massicciamente granate e proiettili a gas che però non comportarono particolari conseguenze, perché l’esercito regio italiano era dotato di maschere a gas. L’artiglieria austriaca era dotata di 6.000 cannoni che bombardarono paesi e zone abitate oltre il Piave. Fu utilizzato anche un cannone capace di sparare proiettili da 750 Kg con una gittata fino a 30 Km di distanza.

Anche gli italiani utilizzarono l’artiglieria in modo importante, distruggendo soprattutto le teste di ponte che gli austro-ungarici avevano depositato sul Piave: ciò permise di ostacolare il passaggio delle truppe e dei rifornimenti.

Arditi - militari in assalto a una trincea
Arditi: un’illustrazione mostra i militari muniti di pugnale che assaltano una trincea.

Inoltre il regio esercito utilizzò dei corpi speciali chiamati arditi, i quali erano stati addestrati al combattimento corpo a corpo e all’assalto soprattutto delle trincee. Gli arditi erano dotati di granate e pugnali e il loro compito era conquistare le trincee fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi. Furono utilizzati anche per gli assalti da una sponda all’altra del Piave.

La conseguenze della battaglia

La Battaglia del Solstizio fu il de profundis dell’impero austro-ungarico. L’impero già dilaniato da dubbi e lacerazioni sulla necessità o meno di continuare la guerra, e indebolito dalle difficoltà economiche che la popolazione stava affrontando, incassò male la sconfitta.

Il bilancio dei morti fu altissimo: 150.000. Il morale dell’esercito si abbassò velocemente anche perché gli alti comandi austro-ungarici capirono rapidamente che gli italiani erano un avversario difficile e che la guerra stava volgendo al termine con una pesante sconfitta.

Anche l’Italia aveva subito un duro colpo durante gli scontri con l’esercito imperiale e le sue perdite ammontarono a 90.000 uomini. Ma lo spirito e il morale erano alti, la popolazione benché stanca della guerra non aveva ancora raggiunto il livello di miseria e disperazione che stavano toccando diversi strati della popolazione austro-ungarica.

A distanza di quattro mesi dalla Seconda battaglia del Piave l’esercito italiano vinse la guerra con la Battaglia di Vittorio Veneto.

Hemingway e la battaglia

Nei giorni degli scontri, nella zona di Fossalta, tra i volontari arruolati nelle file della Croce Rossa degli Stati Uniti, c’era Ernest Hemingway, allora diciottenne, il quale prestava servizio come autista di autoambulanze. Il futuro premio Nobel per la Letteratura venne ferito dalle schegge di una bomba e da un proiettile di mitragliatrice: nonostante fosse stato colpito si impegnò nel salvare altri militari feriti (fu poi decorato con la medaglia d’argento).

Sulla base di questa esperienza sul campo di battaglia e dal successivo ricovero in un ospedale milanese, Hemingway scriverà il suo celebre romanzo “Addio alle Armi“.

Nel Sacrario di Fagarè sono sepolti numerosi militari caduti: l’unico statunitense è un tenente amico di Hemingway, caduto in battaglia lungo il Piave. A lui lo scrittore dedicò una poesia che ancora oggi è possibile leggere sulla lapide del tenente.

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