Storia dello Sport Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/sport/storia-dello-sport/ Canale del sito Biografieonline.it Tue, 01 Oct 2024 12:50:31 +0000 it-IT hourly 1 Real Madrid: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/ https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/#comments Sat, 01 Jun 2024 21:55:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7464 Tra le società calcistiche più importanti del mondo

Real Madrid Club de Fútbol, abbreviato in Real Madrid, è il nome di una delle società calcistiche più note e vincenti del mondo; pochi sanno però che la società – fondata il 6 marzo 1902 – è una polisportiva composta, oltre che dalla citata sezione di calcio, anche da una cestistica legata al basket. In questo articolo si racconta la gloriosa storia di questa grande squadra e società.

Lo stemma del Real Madrid
Breve storia del Real Madrid

Real Madrid: l’inizio di un mito sportivo

Il 13 giugno del 1956 il Real Madrid vince la prima Coppa dei Campioni d’Europa, la prima in assoluto della competizione più famosa del mondo, poi trasformatasi in Uefa Champions League. A Parigi, città designata ad ospitare la prima edizione del torneo, i campioni spagnoli si impongono per 4 a 3 sui francesi dello Stade de Reims. Una vittoria che segna l’inizio di una lunga storia di successi, la quale porterà “i blancos” a diventare il club più amato di sempre, tra i più titolati della storia del calcio.

La provocazione della stampa

E pensare che la competizione calcistica per club attualmente più seguita al mondo, è nata da una sorta di provocazione giornalistica. La si deve al quotidiano L’Équipe, all’epoca diretto da Gabriel Hanot, il quale, esattamente nel 1954, si inserì nell’ampio dibattito scatenato dall’inglese Daily Mail, impegnato a quei tempi a sancire – sulla base di presunte superiorità tecniche evidenti ma di fatto mai dimostrate sul campo – l’indiscussa superiorità del Wolverhampton su tutti gli altri club europei, all’epoca dominatore della lega inglese.

Certo, l’idea di un Campionato del Mondo, o almeno d’Europa – scrisse a tal proposito Hanot – per club, più esteso, più significativo, e meno episodico della Mitropa Cup, e più originale di un Campionato d’Europa per squadre nazionali, merita di essere lanciata. Noi ci proveremo“.

La stampa francese cavalcò l’onda della provocazione, la quale assunse in breve tempo il carattere della vera e propria proposta istituzionale.

Intanto, il dibattito era acceso.

Qual era la squadra più forte del continente europeo?

  • Gli spagnoli del Real Madrid?
  • Gli italiani del Milan?
  • Gli ungheresi dell’Honvéd?
  • O proprio il tanto acclarato Wolverhampton?

Un nuovo torneo

La FIFA e l’UEFA dovettero prendere in considerazione la proposta del quotidiano d’oltralpe, seppure non in modo entusiastico.

L’idea di un campionato fra i maggiori club d’Europa, infatti, a dire delle due federazioni (per giunta appoggiate da quella inglese), avrebbe potuto scalfire il fascino dell’allora Coppa Rimet (l’odierno Campionato Mondiale, ormai seguitissimo) e, soprattutto, quello nascente della Coppa Europea per nazioni.

Tuttavia, i giornalisti de L’Équipe si mossero privatamente coi dirigenti di numerose società e, nell’aprile del 1955, portarono attorno ad un tavolo i vertici dei più importanti club europei, alla fine costringendo proprio la Fifa ad imporre all’Uefa l’organizzazione del nuovo torneo.

Si optò per un torneo organizzato sul meccanismo dell’eliminazione diretta e ammettendo una sola società, indicata dalle federazioni nazionali, per ciascun paese.

Determinante, va detto, fu l’intervento di uno dei personaggi più influenti e ormai leggendari della storia del calcio mondiale: l’allora presidente del Real Madrid, Santiago Bernabeu.

Santiago Bernabeu: l’uomo che fece la competizione

Non è un caso che il più amato presidente della storia delle “merengues” sia stato anche tra i promotori più attivi per quanto riguarda l’organizzazione di una competizione europea per club. Forse Santiago Bernabeu aveva fiutato la forza, non solo nazionale, dei propri campioni, tanto che il Real Madrid si aggiudicò le prime cinque edizioni della futura Champions League, portandosi a casa il trofeo originale (spettante appunto a chi si aggiudica per cinque volte la competizione).

Fatto sta che fu proprio lui, nel corso dello storico summit lanciato da Gabriel Hanot nel 1955, a convincere i vertici delle due federazioni di Fifa e Uefa a dare vita al torneo in questione.

L’incontro si tenne all’Hotel Ambassador di Parigi e diede vita ad una “mutuazione” della precedente Coppa Latina (torneo riservato a squadre di Francia, Spagna, Portogallo e Italia, e che il Real Madrid si aggiudicò nel 1954 e nel 1957): la Coppa dei Campioni.

Una foto del 1967 di Santiago Bernabeu
Santiago Bernabeu, il presidente del Real Madrid più amato, in una foto del 1967

Fu uno dei tanti risultati conseguiti dal presidente del Real. Eletto al vertice del team madrileno il 15 settembre del 1943, Santiago Bernabeu ha ricoperto e mantenuto la carica per 35 anni, praticamente fino alla sua scomparsa. A lui si deve la grande ristrutturazione del club su ogni livello, in una chiave ultramoderna per l’epoca, già proiettata verso il futuro.

L’impresa di Bernabeu

Per ogni sezione della società, diede un team tecnico autonomo e, soprattutto, diede vita alla costruzione del nuovo stadio Chamartín, terminato nel 1947, poi ribattezzato proprio in suo onore “Stadio Santiago Bernabéu”.

Una struttura che si spostava effettivamente solo di alcuni metri da quella precedente e che, all’epoca, risultò essere la più ampia del mondo, forte dei suoi 75mila spettatori (poi portati a 125mila), tanto che durante i lavori non mancarono le critiche al presidente madrileno, considerato una sorta di folle ad impegnarsi in un’impresa così esagerata per l’epoca.

Bernabeu però, ci riuscì eccome nell’impresa, grazie soprattutto al sostegno degli oltre 40.000 soci del club, i quali contribuirono di propria mano alla realizzazione dello stadio. Infine, intraprese la strategia ambiziosa di acquistare giocatori di classe mondiale provenienti dall’estero. Ex giocatore egli stesso del Real, dotato di enorme carisma, Santiago Bernabeu dotò la “Casa bianca” di una struttura societaria superiore a tutte quelle del suo tempo.

Grazie all’acquisto di calciatori di grande prestigio, riuscì nell’impresa di vincere, da presidente del Real Madrid, la bellezza di 16 campionati, 6 Coppe di Spagna, 6 Coppe dei Campioni e 1 Coppa Intercontinentale. La morte lo colse il 2 giugno del 1978.

Il primo titolo del Real Madrid

Il 4 settembre del 1955, a Lisbona, si gioca la prima, storica partita della nuova competizione per club europei. Si affrontano Sporting e Partizan e la partita termina con uno spettacolare 3 a 3. Ed è proprio una di queste due compagini che il Real Madrid, guidato dal bomber Alfredo Di Stefano e dall’allenatore José Villalonga, dopo aver facilmente superato gli svizzeri del Servette nel primo turno, si ritrova davanti nel corso dei quarti di finale.

Allo stadio Chamartin, il Real si sbarazza del Partizan con un sonoro 4 a 0 anche se, al ritorno, deve soffrire non poco contro gli jugoslavi: il Partizan sfiora l’impresa, imponendosi per 3 reti a zero. I rischi però, a conferma di una competizione tutt’altro che banale e dacché ne dicano gli inglesi, non finiscono qui per i blancos. In semifinale infatti, la squadra del presidente Bernabeu deve affrontare i rossoneri del Milan, tra i team più forti d’Europa.

Allo Chamartin, entrando nel vivo della partita, il 19 aprile del 1956, termina 4 a 2 per i padroni di casa. In quell’occasione, vanno a segno Rial, Joseito su rigore, Olsen e il grande Di Stefano, mentre per il Milan segnano Nordhal e Schiaffino, entrambi pareggiando momentaneamente il doppio vantaggio madrileno. Al ritorno però, tocca soffrire un po’ di più, perché al vantaggio di Joseito al ’65 minuto (il quale trafigge con un preciso rasoterra da fuori area il portiere milanista Buffon), replica la doppietta di Dal Monte, il quale mette a segno due rigori, l’ultimo al minuto 86, con circa cinque minuti di estrema sofferenza da parte dei blancos.

Tutto sommato però, la compagine guidata da Di Stefano, Gento, Olsen e Rial, riesce a staccare il biglietto per la Francia, in vista della finalissima.

La finale parigina

Il 13 giugno del 1956, allo stadio “Parco dei Principi” di Parigi, c’è il tutto esaurito. Il Real si trova di fronte lo Stade Reims, forte compagine francese che ha in squadra elementi del calibro di Michel Hidalgo e del mago del dribbling, Raimond Kopa.

Oltre a queste due stelle europee, fanno parte del team guidato dall’allenatore Albert Batteux, anche altri giocatori importanti per l’epoca, come il portiere Raoul Giraudo, Léon Glovacki, l’attaccante Jean Templin e il forte difensore Michel Leblond.

La cronaca

Proprio quest’ultimo apre le marcature, dopo appena sei minuti di gioco, mettendo sotto il Real. Allo shock iniziale, segue il raddoppio, al decimo minuto, firmato Jean Templin.

Gli spagnoli si ritrovano a sorpresa sotto di due gol: al diagonale che apre le segnature, fa seguito la rete rocambolesca del 2 a 0, frutto dell’indecisione in uscita del portiere iberico.

Nel Real però, oltre a Di Stefano giocano altri grandi campioni, come il capitano Miguel Munoz, che suona la carica, l’impeccabile mediano Joseito, la forte ala Zarraga e l’attaccante Juan Alonso.

Così, al ’14 e al ’30, prima il grande Di Stefano con un diagonale da posizione centrale (ben servito da Munoz), e poi il bomber Hector Rial, al termine di un’azione concitata, riportano il punteggio in parità.

Non è finita però, perché il Reims torna ancora in vantaggio, esattamente al minuto 62, con un preciso colpo di testa di Hidalgo. Passano però appena cinque minuti, e Marquitos pareggia ancora: 3 a 3.

A questo punto, è solo il Real Madrid a spingere e a tentare di portare a casa la vittoria, la quale arriva al minuto 79, con il terzo gol nella competizione di Hector Rial, agevolato ancora una volta da una grandissima giocata al limite dell’area di Alfredo Di Stefano.

I blancos del presidente Santiago Bernabeu alzano per la prima volta nella storia la Coppa Campioni.

Un trofeo che parla madrileno

Le merengues domineranno la scena per altre quattro edizioni della sempre più seguita competizione calcistica europea. Giocatori come Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskas, Raymond Kopa, José Santamaría e Miguel Muooz faranno la storia, anzi la leggenda del club spagnolo, il quale trionferà in Europa fino al 1960.

Proprio quest’ultima edizione pertanto, rimarrà per sempre negli albori del calcio, grazie alla vittoria del Real Madrid sull’Eintracht Francoforte per ben 7 reti a 3. In quell’occasione, si divisero il bottino i due giocatori più forti di quel periodo storico: Alfredo Di Stefano, autore di tre segnature, e il grande Ferenc Puskas, mattatore delle altre quattro.

La finale si giocò all’Hampden Park di Glasgow, davanti alle telecamere della BBC e dell’Eurovisione, forte di un pubblico di oltre 135.000 persone. Ancora oggi, si tratta di un vero e proprio recordo di spettatori per una finale di Coppa dei Campioni.

Dopo la prima edizione, va detto, i blancos superarono in finale, nel 1957, i campioni uscenti della Serie A italiana, ossia la Fiorentina, grazie a un gol di Di Stéfano su rigore e ad un altro di Gento. Nell’edizione 1957-1958, fu ancora una volta un’italiana a contendere il titolo ai madrileni: il Milan.

Dopo una partita bellissima ed equilibrata, protrattasi fino ai tempi supplementari per via del perdurante 2 a 2, a decidere fu ancora una volta Gento, al minuto 107. Infine, prima del record di Hampden Park, toccò nuovamente al Reims fare posto al Real sul primo gradino del podio europeo: a Stoccarda, decisive furono le marcature di Mateos e del solito Di Stéfano.

La Champions League vinta nel 2022 contro il Liverpool è la numero 14 per la società; a guidare la squadra in panchina l’italiano Carlo Ancelotti, primo allenatore della storia del calcio a vincere quattro volte la competizione.

La cavalcata di Ancelotti porta la squadra spagnola a conquistare l’ottava Coppa Intercontinentale nel 2023: il Real Madrid batte per 5-3 i sauditi dell’Al Hilal nella finale che si svolge in Marocco l’11 febbraio.

Il 1° giugno 2024 Ancelotti guida il Real Madrid alla conquista della sua 15ª Champions League: vince a Wembley contro il Borussia Dortmund per 2-0.

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Strage dell’Heysel: 29 maggio 1985 https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/ https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/#respond Thu, 25 Apr 2024 16:13:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41171 Poco prima del fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, presso lo Stadio Heysel di Bruxelles, in Belgio, si verifica un gravissimo episodio, passato alla storia come strage dell’Heysel. È il 29 maggio 1985. In quella partita maledetta perdono la vita 39 persone, tra cui 32 italiani. I feriti sono invece circa seicento. È uno degli episodi più tristi della storia del calcio.

La cronaca: ricostruiamo i fatti

C’è molta attesa per il match, soprattutto da parte dei tifosi juventini, che accompagnano la squadra del cuore sperando che possa aggiudicarsi la prima Coppa dei Campioni della carriera.

Il Liverpool invece, campione d’Europa in carica, è intenzionato a ripetere l’ottima esperienza dell’anno precedente, ed è molto carico dopo aver sconfitto facilmente in semifinale la squadra greca del Panathinaikos.

Lo stadio scelto per disputare la partita è l’Heysel di Bruxelles, il fischio di inizio è fissato per le ore 20.15.

L’impianto, ristrutturato una prima volta negli anni Settanta, se valutato oggi sicuramente non rispetterebbe gli standard di sicurezza previsti per una finale europea. Ma quella partita si giocò lo stesso, in condizioni generali alquanto precarie.

Lo stadio

L’Heysel non dispone di vie di fuga adeguate, ed anche il servizio d’ordine fa acqua da tutte le parti.

Le tribune ed il campo di gioco, poi, non sono certo adatti ad una competizione calcistica di alto livello. Per non parlare dei muri divisori dei settori, che si sgretolano in calcinacci che colpiscono gli spettatori. Sono del tutto inadeguati i servizi igienici.

Lo stadio, predisposto per ospitare al massimo 60 mila spettatori, viene riempito con circa 400 mila persone (la maggior parte dei tagliandi viene venduta agli italiani).

I biglietti e le zone

La vendita dei ticket allo stadio viene gestita male, in maniera alquanto approssimativa. Ai tifosi bianconeri sono assegnati i settori M, N, O (posizionati nella zona sud-est dell’impianto), mentre gli Inglesi occupano la curva opposta (zone X e Y).

Il “settore Z”, adiacente a quello degli Ultrà del Liverpool, è separato da semplici reti metalliche, e viene destinato ai tifosi neutrali, ovvero non appartenenti ad un gruppo organizzato.

Sono i tifosi bianconeri ad acquistare la maggior parte dei biglietti, ma l’organizzazione sottovaluta l’eventualità che tra le due tifoserie opposte possa scoppiare qualche tafferuglio o scontro.

Probabilmente entrambe le società ritengono che la situazione possa essere facilmente gestita seguendo le regole burocratiche e il senso di civiltà e rispetto che dovrebbero contraddistinguere qualsiasi evento sportivo.

Gli scontri tra i tifosi

Nelle ore che precedono la partita i tifosi del Liverpool arrivano in città, abusano di alcol e accade qualche scaramuccia, ma nulla di preoccupante. O meglio, niente che lasci presagire la tragedia che sarebbe accaduta dopo, tra gli spalti dello stadio Heysel.

All’apertura dei cancelli i controlli sono pochi e disattenti.

Il settore Z viene occupato per lo più da persone tranquille, famiglie, non solo italiane ma anche di altri paesi, che simpatizzano per la Juventus. Circa seimila tifosi inglesi riescono ad entrare senza biglietto e vanno ad occupare la Curva: insieme a loro ci sono anche alcuni Ultrà del Chelsea, del gruppo Headhunters di estrema destra, particolarmente violenti e facinorosi.

Purtroppo ci sono tutti i presupposti per trasformare un evento sportivo in una tragedia di cui parlare a lungo.

Manca un’ora all’inizio della partita, e gli animi cominciano a riscaldarsi. I tifosi inglesi, molti dei quali entrati ubriachi allo stadio, iniziano a lanciare cori e slogan contro gli juventini.

I settori dello stadio dell'Heysel
I settori dello stadio dell’Heysel

La tragedia

Alcuni Ultras del Liverpool, credendo che i tifosi presenti nel settore Z siano tutti italiani, allo scopo di intimidirli cominciano ad ondeggiare con forza. Dopo tre cariche da parte degli Hooligans, le recinzioni cedono paurosamente.

I poliziotti non riescono a fronteggiare gli Ultras inglesi, che invadono letteralmente lo spazio occupato dagli altri tifosi.

Cominciano i lanci di bottiglie, che colpiscono i tifosi, ferendone qualcuno alla testa.

I tifosi del settore Z, terrorizzati dalla furia degli hooligans, cercando disperatamente di lasciare lo stadio.

I cancelli di uscita in alto dell’impianto sono serrati, e non è possibile raggiungere il terreno di gioco perché i poliziotti lo impediscono a suon di manganellate.

Presi dal panico, i tifosi italiani finiscono con l’asserragliarsi nell’angolo più basso e lontano del settore, schiacciati contro il muro che divide le opposte tifoserie.

Alcuni tentano di lanciarsi nel vuoto, nello spazio che separa il settore Z dalla tribuna. Altri però non ce la fanno, perché vengono raggiunti dalla calca in fuga e restano schiacciati. Ad un certo punto, il muretto crolla. È la strage.

Una pattuglia della polizia belga raggiunge lo stadio Heysel, ma solo dopo mezz’ora. L’impianto ha le sembianze di un campo di battaglia, ci sono morti e feriti ovunque.

La partita

Nonostante l’entità della tragedia, la partita si gioca comunque: si verifica solo un rinvio di un’ora e 25 minuti. Le autorità prendono tale decisione per motivi di ordine pubblico: si teme che i tifosi bianconeri possano rivendicare ciò che è successo.

Pare che i giocatori siano stati obbligati a giocare. Sia la Juventus che il Liverpool non hanno intenzione di scendere in campo, ma l’effetto rinuncia fa paura.

La Juventus vince per 1-0.

Molti ricorderanno per sempre la telecronaca di quella partita maledetta, i surreali festeggiamenti finali, e tutte le polemiche – legittime – che ne seguirono.

Alcune emittenti televisive, come quella tedesca ed austriaca, si rifiutarono di trasmettere la partita.

In Italia Bruno Pizzul, poco prima dell’inizio della telecronaca, rilascia queste dichiarazioni:

Gentili telespettatori, la partita verrà commentata in tono il più neutro, impersonale e asettico possibile.

Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, rimane uno degli episodi più tristi del calcio e dello sport in genere.

Strage dell’Heysel
La targa commemorativa

Lo stadio è stato completamente ristrutturato nel periodo 1994-1995; il suo nome è cambiato ed è stato intitolato a Re Baldovino. Oggi è presente una targa commemorativa con i nomi delle vittime della strage dell’Heysel, a loro imperitura memoria.

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La 24 Ore di Le Mans: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/ https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/#respond Sun, 11 Jun 2023 15:22:49 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=35843 La 24 Ore di Le Mans è una gara di automobilismo che si svolge tutti gli anni sul “Circuit de la Sarthe” di Le Mans, in Francia. Si tratta di un circuito parzialmente permanente, ossia in parte chiuso e in parte aperto al traffico normale nel resto dell’anno. La prima edizione si svolse tra il 26 e il 27 maggio 1923; ogni team era composto da due piloti che si alternavano: uno alla guida mentre l’altro riposava. Nel 1979, e poi dal 1986 in via definitiva, i team si compongono di 3 piloti ciascuno.

Poster dell'edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)
Poster dell’edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)

La storia della corsa

La 24 Ore deve la sua fama alla lunghezza e alla semplicità del regolamento: vince chi in 24 ore percorre più strada. Ma ci sono anche altri aspetti che hanno contribuito a crearne la leggenda.

Per esempio, la famosa partenza “alla Le Mans”: essa avveniva con i piloti schierati su un lato della pista e pronti a scattare a piedi verso le rispettive vetture al segnale dello starter, per poi avviarle e partire.

Nel 1970 si passò però a uno stile di partenza più tradizionale, anche in seguito alla plateale protesta di Jacky Ickx, che l’anno prima aveva “passeggiato” fino alla sua vettura.

Jacky Ickx a Le Mans 1969: passeggia verso l'auto
Le Mans 1969: il pilota belga Jacky Ickx e la sua celebre passeggiata

Il problema infatti era che i piloti, dovendo partire senza l’ausilio dei meccanici, non erano in grado di allacciarsi correttamente le cinture di sicurezza e questo rendeva realmente pericolosa la prima parte di gara (dopo il primo cambio che avveniva ai box, i meccanici potevano allacciare le cinture al pilota subentrante).

L’incidente più grave

Tristemente famosa è l’edizione del 1955 nel corso della quale si verificò l’incidente più grave in tutta la storia dell’automobilismo.

Durante la terza ora di gara, la Mercedes di Pierre Levegh “decollò” in seguito a un tamponamento con Lance Macklin e atterrò sulle tribune.

Oltre al pilota morirono 83 spettatori e 120 rimasero feriti. Dopo questo incidente, i circuiti vennero resi più sicuri; a Le Mans in particolare si lavorò per migliorare la sicurezza degli spettatori; fu una cosa non molto facile se si pensa che in diversi punti dei circa 13,5 km di lunghezza del percorso, le auto transitano nei pressi di abitazioni.

La vittoria più contestata a Le Mans

La gara si disputa tradizionalmente a giugno, con pochissime eccezioni, tra le quali la prima edizione e quelle del 2020 e 2021, posticipate a causa dell’epidemia di COVID-19.

Nel 1966, dopo un estenuante duello con la Ferrari, due vetture Ford piombarono contemporaneamente sul traguardo. Mentre si pensava già ad una vittoria ex aequo, la giuria decise di premiare i neozelandesi Bruce McLaren, fondatore della casa automobilistica che porta tuttora il suo nome, e Chris Amon perché, essendo partiti dietro in griglia, avevano percorso 20 metri in più dei rivali!

Modellino Ferrari Le Mans 1966, numero 21
Un modellino riproduce la Ferrari, nel suo tradizionale colore rosso, della storica edizione di Le Mans del 1966

Nel 2023 la Ferrari torna a Le Mans dopo 50 anni di assenza e fa la storia. Dopo una lunghissima battaglia con la Toyota numero 8, la Ferrari 499P numero 51 trionfa.

I plurivincitori della 24 ore di Le Mans

  • Il danese Tom Kristensen è il pilota che ha vinto il maggior numero di edizioni della corsa: ben 9, tra il 1997 e il 2013.
  • Tra gli italiani spicca Emanuele Pirro che ha trionfato 5 volte fra il 2000 e il 2007.
  • Il costruttore più vincente a Le Mans è la Porsche che vanta 19 primi posti tra il 1970 e 2017.
  • Sono 9 gli allori della Ferrari tra il 1949 e il 1965; gli ultimi 6 sono consecutivi: sconfiggere il Cavallino Rampante in quegli anni sembrava pressoché impossibile. Ci riuscì la Ford nella già menzionata edizione del 1966.
  • L’altra casa italiana ad aver ottenuto vittorie è l’Alfa Romeo: quattro consecutive dal 1931 al 1934.

La 24 Ore al cinema

La fama di questa competizione è tale che ha ispirato anche diverse pellicole cinematografiche. La più famosa è forse “La 24 Ore di Le Mans”: Steve McQueen è il protagonista e interpreta un pilota della Porsche.

Parzialmente ambientato a Le Mans è il film “Adrenalina blu – La leggenda di Michel Vaillant” che si ispira liberamente al pilota immaginario Michel Vaillant, protagonista di fumetti.

Del 2019 è invece il film Le Mans ’66 – La grande sfida ispirato al duello tra Ferrari e Ford.

Lee Iacocca: Signor Ford, c’è un messaggio di Ferrari per lei, signore.

Henry Ford II: Che cosa dice?

Lee Iacocca: Dice che Ford fa piccole e brutte macchine in brutte fabbriche. E… l’ha chiamata ciccione, signore.

Cit. dal film Le Mans ’66

Diversi videogiochi simulano la 24 Ore di Le Mans.

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Giro delle Fiandre: storia, percorsi, successi e curiosità https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/ https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/#respond Tue, 22 Mar 2022 16:05:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39591 Il Giro delle Fiandre (Ronde van Vlaanderen in fiammingo) è una delle cosiddette 5 classiche monumento del ciclismo su strada. Le altre corse che ne fanno parte sono:

  • Milano-Sanremo
  • Parigi-Roubaix
  • Liegi-Bastogne-Liegi
  • Giro di Lombardia.

Molti considerano il Giro delle Fiandre l’università del ciclismo e per almeno 3 buoni motivi.

  1. In primo luogo si disputa nella parte fiamminga del Belgio, dove il ciclismo è considerato poco meno di una religione.
  2. In secondo luogo è celebre per i cosiddetti muri – salite brevi ma spesso ripidissime – e i pavé, dove i più forti possono fare la differenza.
  3. Ed è proprio questo il terzo punto: raramente il Fiandre “laurea” un carneade, perché per vincere una gara alla quale puntano tutti i migliori specialisti, belgi e non solo, e per di più su un percorso così duro, è necessaria tanta tanta classe e una condizione di forma al top.
Giro delle Fiandre illustrazione

La storia del Giro delle Fiandre

La prima edizione del Fiandre si è corsa il 25 maggio 1913. La fama e l’importanza della gara sono cresciute progressivamente fino a portarla definitivamente nel novero delle classiche del nord, le gare che si svolgono in primavera in Belgio, Olanda e Francia settentrionale. È anzi la prima classica del Nord in calendario e precede di una settimana la Parigi – Roubaix.

Ad avere iscritto più volte il proprio nome nell’albo d’oro, con tre trionfi a testa, sono:

  • Achiel Buysse
  • Fiorenzo Magni
  • Eric Leman
  • Johan Museeuw
  • Tom Boonen
  • Fabian Cancellara.

Il toscano Magni è l’unico riuscito nell’impresa di ottenere le sue tre vittorie in modo consecutivo.

I belgi, da soli, nel primo secolo di storia di questa corsa hanno vinto il Fiandre un numero di volte quasi doppio rispetto ai corridori di tutti gli altri Paesi messi insieme. Ciò a conferma di quanto sia difficile primeggiare per chi non è nato da queste parti e non ha quindi l’abitudine a correre sui muri, con il vento, la pioggia e il gelo delle Fiandre.

Il percorso

Nelle prime edizioni il percorso superava ampiamente i 300 chilometri andando a toccare tutte le principali città del Belgio fiammingo.

In anni più recenti lo si è ridotto a “soli” 250-260 chilometri.

A differenza di gare come la Milano – Sanremo, il percorso varia spesso, anche perché le condizioni dei muri richiedono una manutenzione frequente; non è scontato che tutti i muri siano percorribili il giorno della corsa.

Negli anni a cavallo tra la fine dei 2010 e l’inizio dei 2020 l’arrivo è spesso fissato a Oudenaarde, cittadina sul fiume Schelda.

Il muro simbolo della corsa

Il simbolo della corsa è probabilmente il Muro di Grammont, o Muur van Geraardsbergen in fiammingo, come amava ricordare Adriano De Zan nelle sue appassionate telecronache, o anche Kapelmuur perché giusto in cima c’è una piccola chiesa.

E’ simbolico sia per la difficoltà dell’ascesa, che tocca anche la pendenza del 20%, sia perché in questo tratto si sono spesso decise le sorti della corsa, magari dopo duelli epici.

Un duello epico fu quello del 2010: lo svizzero Fabian Cancellara staccò l’idolo di casa Tom Boonen e si involò per cogliere il 1° dei suoi 3 successi: fu un trionfo clamoroso – ma non scevro di polemiche.

Cancellara Fiandre 2010
Fabian Cancellara sul pavé del Fiandre 2010 con moltissimi tifosi che lo incitano

Altri muri quasi altrettanto famosi e spettacolari sono:

  • l’Oude Kwaremont
  • il Paterberg
  • il brutale Koppenberg, che tocca il 22% di pendenza!

I tifosi

Sono tanti gli aneddoti sui tifosi che circondano questa corsa. Ogni storia testimonia l’infinita passione dei fiamminghi per il ciclismo e per il “loro” Giro delle Fiandre in particolare.

Si dice che fra i tifosi assiepati ai margini delle strade la birra – bevanda tradizionale del paese – scorra a fiumi e l’odore degli hotdog impregni l’aria per ore. Ma non tutti i tifosi sono “stanziali”: ci sono autentiche gare per riuscire a vedere più volte il passaggio degli atleti; e per riuscirci i tifosi si spostano in macchina da un punto all’altro del percorso.

Ovviamente non possono percorrere le stesse strade dei corridori e sono quindi costretti a studiare alternative che includono stradine di campagna a malapena transitabili.

Il colore predominante lungo tutto il percorso è decisamente il giallo, non solo quello dorato delle birre ma anche e soprattutto quello del leone fiammingo: la bandiera delle Fiandre rappresenta un leone nero in campo, appunto, giallo.

Bandiera delle Fiandre - Flanders flag
La bandiera delle Fiandre: un leone nero con lingua e artigli rossi campeggia sullo sfondo giallo

I vincitori italiani

Quando Fiorenzo Magni partì per andare a cogliere il suo primo trionfo, i corridori italiani non erano considerati adatti alle corse del Nord, tanto che non solo non vi partecipavano, ma nemmeno le conoscevano in dettaglio. La stessa squadra del toscano, la Willier Triestina, gli accordò il permesso di partecipare ma senza garantirgli alcun supporto.

Così Magni partì in treno, con la sua bicicletta e un unico gregario. Vinse la volata finale dopo 7 ore e 20 minuti di gara. Era il 10 aprile 1949.

Gli altri due successi consecutivi (1950 e 1951), ottenuti entrambi per distacco, gli valsero il soprannome di Leone delle Fiandre.

Il fenomenale “terzo uomo” del ciclismo italiano (chiamato così perché considerato tra i grandissimi della sua epoca, dopo Fausto Coppi e Gino Bartali) aveva uno spaventoso furore agonistico. Era un passista di rara potenza e si trovava perfettamente a suo agio nel gelo e nella pioggia, condizioni che spesso caratterizzano le Fiandre a inizio aprile.

Fiorenzo Magni - Fiandre 1951 - Tuttosport
La prima pagina del quotidiano sportivo Tuttosport (3 aprile 1951) con Fiorenzo Magni vincitore del Giro delle Fiandre

Il secondo italiano a imporsi fu il veneto Dino Zandegù, nel 1967.

Bisognerà poi aspettare fino al 1990 per un nuovo trionfo italiano. Quello di Moreno Argentin, che vinse al termine di una fuga a due con il belga Dhaenens.

Quattro anni (1994) dopo si parlò di Pasqua di resurrezione perché, alla fine di una splendida corsa che aveva chiamato allo scoperto molto presto i grandi favoriti, si impose Gianni Bugno, “risorgendo” da un periodo buio, con un contestatissimo sprint sul belga Museeuw; altro campione che su queste strade ha scritto pagine importanti.

Poco sofferta nel 1996 la vittoria del toscano Michele Bartoli, per quanto agevole possa essere un trionfo al Fiandre, in considerazione della straordinaria superiorità del toscano.

Il primo decennio del 2000 vide diverse vittorie tricolori: Gianluca Bortolami nel 2001; Andrea Tafi nel 2002; il veneto Alessandro Ballan vinse nel 2007 e l’anno successivo sarebbe diventato campione del mondo a Varese.

Nel 2019 vinse a sorpresa Alberto Bettiol, staccando di forza gli avversari con un’irresistibile progressione sull’Oude Kwaremont.

Le donne

Dal 2004 si disputa anche la corsa femminile, nello stesso giorno e sulle stesse strade degli uomini, sia pure su un chilometraggio ridotto.

La prima edizione fu vinta dalla russa Zul’fija Zabirova.

Le azzurre non si sono però limitate a fare da comprimarie e possono vantare già 2 successi. La prima vittoria risale al 2015 (edizione corsa su un totale di 145 chilometri) quando una Elisa Longo-Borghini realmente in stato di grazia salutò una compagnia comprendente tutte le più forti a 20 chilometri dall’arrivo, per non essere più rivista fino al traguardo.

Nel 2019 fu la campionessa europea in carica, Marta Bastianelli, a replicare: fulminò in volata due fuoriclasse come Annemiek van Vleuten e Cecilie Ludwig.

Fiandre 2019 - Alberto Bettiol e Marta Bastianelli
Al Fiandre 2019 i vincitori sono entrambe italiani: Alberto Bettiol e Marta Bastianelli

Sito ufficiale

Se state pianificando una gita e un viaggio in Belgio per assistere alla gara o addirittura pedalare lungo i percorsi del Giro delle Fiandre, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale Visit Flanders.

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Miracolo di Belo Horizonte https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/ https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/#respond Fri, 28 Jan 2022 10:30:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38548 Quando l’Inghilterra calcistica perse contro gli Stati Uniti d’America

Il Miracolo di Belo Horizonte è un’espressione con cui si ricorda un evento sportivo storico. Ai mondiali di calcio del 1950, che si svolsero in Brasile, l’Inghilterra perse contro gli USA.

Il contesto

Nel 1950 l’Inghilterra partecipa per la prima volta al campionato mondiale di calcio. Gli inglesi sono considerati gli inventori del gioco (ne abbiamo parlato nell’articolo sulla storia del calcio); prima di questa edizione tuttavia non avevano mai partecipato ai campionati del mondo. Si sono autoesclusi dalla FIFA (Fédération Internationale de Football Association) e non sono stati inclusi tra i partecipanti alle prime tre edizioni (1930, 1934, 1938).

Ma sono pur sempre i “maestri inglesi” e quando arrivano in Brasile, sede della manifestazione, hanno alle spalle una serie pressoché ininterrotta di successi, spesso travolgenti, colti nel secondo dopoguerra.

Di contro gli Stati Uniti hanno preso parte a tutte le edizioni precedenti, cogliendo anche un inatteso 3° posto nel corso della prima manifestazione assoluta, nel 1930. Negli anni che precedono questa 4ª edizione, hanno subito quasi solo sconfitte, anzi disfatte. Ciononostante trovano la forza di qualificarsi, a spese di Cuba.

Le squadre

Viste le premesse, i Maestri sono gli ovvi favoriti della manifestazione. Hanno sconfitto due volte in amichevole gli Azzurri, detentori del titolo dal 1938 (le edizioni del 1942 e del 1946 sono state annullate a causa della guerra). Tra i favori ci sono anche i padroni di casa verde-oro.

Per dare un’idea del livello, nella nazionale di Sua Maestà militavano attaccanti del calibro di:

  • Stanley Matthews, futuro baronetto e 1° vincitore del Pallone d’oro;
  • Stan Mortensen, celebre in Italia per un gol segnato alla Nazionale azzurra con un tiro a effetto dalla linea di fondo che beffò un sorpresissimo Valerio Bacigalupo.

Di contro, gli Americani erano quasi tutti dilettanti; alcuni addirittura in attesa della cittadinanza statunitense.

La partita: il Miracolo di Belo Horizonte

E’ giovedì 29 giugno 1950.

Le squadre di Inghilterra e USA si presentano sul terreno di gioco di Belo Horizonte, città capitale dello Stato del Minas Gerais.

Ad arbitrare la partita c’è l’italiano Generoso Dattilo.

Siamo alla seconda giornata del girone di qualificazione. Gli inglesi hanno vinto la loro prima partita; gli statunitensi sono invece stati sconfitti 3-1dalla Spagna, pur essendo rimasti in vantaggio fino ai 10 minuti finali.

Inizia la partita.

Gli inglesi partono subito all’attacco; creano numerose occasioni per portarsi in vantaggio, ma al 37° minuto è l’attaccante americano Joseph Gaetjens (detto Joe), di origine Haitiana, a segnare di testa, beffando clamorosamente l’incerto goalkeeper inglese (portiere) Bert Williams.

Per il resto del primo tempo e per tutta la ripresa, gli uomini del c.t. britannico Walter Winterbottom cercano di raggiungere almeno il pareggio, ma invano.

I minuti finali

Al minuto 82′, il difensore USA Charlie Colombo atterra fallosamente Mortensen al limite dell’area. Gli inglesi reclamano il calcio rigore, ma Dattilo assegna loro un calcio di punizione. Dagli sviluppi di quest’ultimo l’Inghilterra arriva a sfiorare il gol di testa sotto porta: il tiro viene bloccato da Borghi sulla linea. L’Inghilterra invoca il gol, ma per l’arbitro Dattilo la palla non ha superato la linea di porta.

L’autentico eroe della partita è proprio il portiere Frank Borghi, autore in questa storica giornata sportiva di epiche parate.

L’episodio e i l’avvicinarsi della fine del match minano il morale dei britannici, che rischiano addirittura di subire lo 0-2 pochi istanti dopo.

Si arriva al fischio finale: gli Stati Uniti d’America battono l’Inghilterra per 1-0.

La gioia degli americani è incontenibile. Anche il pubblico brasiliano è entusiasta della partita che viene vissuta come una vera impresa eroica, tanto che invade il terreno di gioco portando in trionfo Joe Gaetjens.

Miracolo di Belo Horizonte - Joe Gaetjens portato in trionfo
Il calciatore americano Joe Gaetjens portato in trionfo alla fine della partita

Curiosità

Prima della partita:

  • Il quotidiano britannico Daily Express scrisse: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando [agli Stati Uniti] tre goal di vantaggio”.
  • Il Belfast Telegraph definì gli statunitensi “una squadra di uomini senza speranza”.
  • La vittoria degli Stati Uniti sull’Inghilterra fu quotata 50:1 dagli allibratori.

Dopo la partita:

  • Per la stampa anglosassone l’arbitro italiano parteggiò per gli americani.

L’evento e la partita hanno ispirato il libro The game of their lives (1996) dello scrittore statunitense Geoffrey Douglas; ad esso poi è seguito il del 2005 “In campo per la vittoria“, diretto da David Anspaugh, con Gerard Butler nei panni del protagonista Frank Borghi.

giornale americano che ricorda Frank Borghi
Un giornale USA ricorda l’impresa di Frank Borghi (Soccer America, 26 aprile 1990)

Il proseguimento del mondiale di calcio 1950

L’esito del match Inghilterra-USA venne conosciuto dal resto del mondo con un certo ritardo. Va considerato che l’efficienza delle comunicazioni dell’epoca non è paragonabile a quella odierna. Un giornale britannico credette a un terribile errore di trascrizione della “velina” in arrivo dal Brasile: venne così diffusa la notizia della vittoria inglese per 10-1.

Sebbene sia entrata nella storia, paradossalmente questa partita fu abbastanza ininfluente per le due nazionali: entrambe le squadre persero la loro 3ª e ultima partita del girone e furono eliminate. Gli Stati Uniti persero contro il Cile; gli inglesi persero contro la Spagna.

A proseguire il cammino furono poi le Furie Rosse, che approdarono al girone finale, arrivando quarti al termine del campionato.

Al Miracolo di Belo Horizonte seguì un’altra partita capace di ribaltare clamorosamente il pronostico: fu proprio la finale del 1950, ricordata come la notte del Maracanazo. I favoritissimi padroni di casa del Brasile vennero sconfitti dall’Uruguay (che peraltro schierava fuoriclasse del calibro di Obdulio Varela, Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino).

Ma questa è un’altra storia.

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Zona Cesarini: cos’è, cosa significa e dove ha origine https://cultura.biografieonline.it/zona-cesarini/ https://cultura.biografieonline.it/zona-cesarini/#respond Wed, 12 Jan 2022 22:37:37 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38045 Salvarsi in zona Cesarini. Quante volte l’abbiamo detto o lo abbiamo sentito dire? Sicuramente tantissime. Lo abbiamo usato consapevolmente per indicare un fatto o un’azione avvenuta in extremis. Sappiamo davvero, però, da dove deriva questa espressione e per quale motivo la utilizziamo?

Il fatto: Juventus anni ’30

L’espressione Zona Cesarini fa riferimento diretto al calciatore Renato Cesarini, mezzala della Juventus in campo nella prima metà degli anni Trenta.

Renato Cesarini - zona Cesarini
Il modo di dire Zona Cesarini si deve al calciatore Renato Cesarini

Renato Cesarini realizzò tanti gol nei minuti finali di diverse partite, in diversi campionati. Per questo si è fatto detentore delle sorti (vincenti) di più match.

Ha fatto questa magia anche in incontri molto importanti. L’ha fatto pure al cospetto di grandi squadre come il Napoli o il Torino, nel derby.

La prima volta

La locuzione “Zona Cesarini” è stata coniata il 13 dicembre del 1931, in occasione di un incontro tra nazionali. In campo, a Torino, c’erano gli azzurri della nazionale italiana e l’Ungheria. Si trattava di una partita per la Coppa internazionale.

La partita si risolse al 90° minuto, a tutti gli effetti durante i tempi regolamentari.

La svolta fu una rete di Renato Cesarini che portò alla vittoria l’Italia con il risultato finale di 3 a 2.

Quando entra in uso il modo di dire Zona Cesarini

La domenica successiva il giornalista Eugenio Danese utilizzò l’espressione “caso Cesarini” per qualificare una rete segnata all’89° minuto. Si trattava di un incontro tra l’Ambrosiana Inter (così si chiamava l’Inter allora) e la Roma. Finì 2 a 1.

Il passaggio da caso a zona avvenne probabilmente mutuando dal gioco del bridge, dove il termine zona indica la fase finale di una partita.

Renato Cesarini breve biografia

  • Nacque a Senigallia il giorno 11 aprile 1906. Nella sua carriera è stato prima calciatore e poi allenatore.
    Ebbe anche cittadinanza argentina, ciò gli permise di giocare sia in Italia che in Argentina, sia con squadre di club che nelle nazionali.
  • La sua carriera è legata perlopiù alla Juventus dove giocò come centrocampista e attaccante dal 1929 al 1935.
    Nel suo percorso da allenatore guidò i bianconeri negli anni del secondo dopoguerra, dal 1946 al 1948.
  • Con la nazionale argentina giocò 2 partite segnando 1 gol.
    Con l’Italia totalizzò 11 presenze e 3 gol – uno dei quali gli diede gloria imperitura nel lessico italiano, come abbiamo visto.
  • Terminò la sua carriera sportiva allenando la nazionale bianco-celeste nel periodo 1967-1968.
  • Renato Cesarini morì a Buenos Aires il 24 marzo 1969, pochi giorni prima di compiere 63 anni.
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James Naismith e la storia della pallacanestro https://cultura.biografieonline.it/storia-della-pallacanestro/ https://cultura.biografieonline.it/storia-della-pallacanestro/#comments Fri, 15 Jan 2021 06:11:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2180 La nascita della pallacanestro

La pallacanestro nasce nel 1891 a Springfield (Massachusetts), esattamente il giorno 15 gennaio. L’idea fu di James Naismith, medico ed insegnante di educazione fisica. Naismith lavorava come insegnante di educazione fisica presso la Young Men’s Christian Association (YMCA) International Training School (Scuola Internazionale di Allenamento dell’Associazione Giovanile Maschile Cristiana) di Springfield (Massachusetts).

I Kansas Jayhawks nel 1899: Naismith è il primo da destra.
I Kansas Jayhawks nel 1899: James Naismith è il primo da destra.

Il capo del dipartimento di educazione fisica dell’istituto, Luther Halsey Gulick, chiese a Naismith di trovare qualcosa che potesse divertire gli studenti durante le lezioni invernali di ginnastica; ciò perché le temperature rigide li costringevano a fare lezione al coperto.

James Naismith
James Naismith (Almonte, Canada, 6 novembre 1861 – Lawrence, USA, 28 novembre 1939). Foto: Wikipedia

Gulick in particolare chiedeva un gioco in luoghi chiusi, facile da imparare, con poche occasioni di contatto, il cui costo non gravasse sulle spese della scuola.
Naismith trovò l’ispirazione da un gioco che aveva conosciuto nella sua infanzia in Canada, “Duck on a rock” (l’anatra su una roccia). In questo gioco la regola principale era il tiro a parabola di un sasso. Attinse anche da giochi più antichi, come l’azteco Tlachtli, (in cui si passava una palla cercando di non farla mai cadere a terra, e vinceva chi riusciva a farla entrare in un anello sopraelevato), ed il maya Pok-Ta-Pok. Oltre a questi analizzò gli sport più praticati all’epoca: quali il football americano, il rugby, il lacrosse ed il calcio.

Pallacanestro: le prime 5 regole

Dopo due settimane, Naismith formalizzò le prime cinque regole del nuovo gioco:

  1. si doveva usare un pallone rotondo, che poteva essere toccato solo con le mani;
  2. non si poteva camminare con il pallone fra le mani;
  3. i giocatori potevano posizionarsi e spostarsi ovunque nel campo;
  4. non era permesso il contatto fisico tra i giocatori;
  5. l’obiettivo era posizionato orizzontalmente, in alto.

Le 13 regole di base

Il gioco della pallacanestro vede la luce il giorno 15 dicembre 1891: Naismith tradusse questi principi in tredici regole di base. Nello stesso giorno organizzò la prima partita sperimentale della storia disputata dal cosiddetto First Team (la prima squadra): un gruppo di diciotto giocatori (gli studenti della classe di Naismith), divisi in due squadre di nove ciascuno. La partita fu giocata con un cesto di vimini, usato per la raccolta delle pesche, che venne appeso alle estremità della palestra della scuola.

Le tredici regole vennero pubblicate dal giornale studentesco “The Triangle” (Il triangolo) il 15 gennaio 1892, data ufficiale della nascita del Basketball (palla del cesto). Il 20 gennaio si svolse la prima partita dalla pubblicazione delle regole. Terminò con il risultato finale di 1-0, grazie al canestro di un certo William “Willie” Chase.

La prima partita pubblica ufficiale fu fissata da Naismith l’11 marzo 1892 fra una squadra di docenti e una di studenti: vinsero i primi 5-0. Lo sport cominciò a diffondersi presto negli Stati Uniti, proprio perché esercitato negli YMCA. Inoltre, gli allievi di Naismith, al termine degli studi, divennero missionari, e mentre portavano il messaggio cristiano in tutto il mondo, insegnavano anche ai giovani il nuovo gioco.

Nel 1904 fu disputato un torneo non ufficiale di pallacanestro durante le Olimpiadi di St.Louis. Invece nel 1936 lo sport del basketball fu aggiunto al programma delle Olimpiadi di Berlino. In questa occasione Naismith ebbe l’onore di consegnare la medaglia d’oro agli Stati Uniti, che avevano sconfitto in finale il Canada. Fu nominato presidente onorario della Federazione Internazionale Pallacanestro (FIBA), sorta nel 1932.

NBA

Nel 1946 nacque negli Stati Uniti la National Basketball Association (NBA, Associazione nazionale di pallacanestro), al fine di organizzare squadre professionistiche e rendere lo sport popolare.

Naismith comunque fu il primo allenatore della storia del basket. Guidò infatti i Kansas Jayhawks dal 1898 al 1907: in nove stagioni sedette in panchina 115 volte, vinse 55 incontri e ne perse 60. Ad oggi, il suo libro “Basketball: Its Origin and Development” (“La pallacanestro: origini e sviluppo”, uscito dopo la sua morte nel 1941) resta il caposaldo della bibliografia della pallacanestro. A lui sono stati intitolati in Canada e negli Stati Uniti riconoscimenti, Hall of Fame, statue e premi. Ogni anno il miglior giocatore della NCCA (National Collegiate Athletic Association, l’associazione atletica nazionale dei college) riceve il “Premio Naismith”.

Da allora le regole sono state perfezionate, e l’NBA mantiene delle differenze sostanziali rispetto alla FIBA, ai Campionati Mondiali e alle Olimpiadi. Questo perché negli USA si vuole rendere il gioco più spettacolare. In particolare, con la globalizzazione degli ultimi anni, sono entrati in gioco gli sponsor che creano un business pubblicitario molto elevato. Per questo la pallacanestro è diventata più fisica, a dispetto della prima regola impostata da Naismith, e dal puro divertimento si è passati al vero e proprio agonismo.

Una spettacolare fotografia di Michael Jordan durante una schiacciata
Una spettacolare fotografia di Michael Jordan durante una schiacciata

D’altronde, nell’NBA hanno figurato e figurano tuttora i più grandi nomi della storia di questo sport, da Magic Johnson a Michael Jordan, da Larry Bird a Kareem Abdul-Jabbar, da Shaquille O’Neal a Kobe Bryant a LeBron James, e gli italiani Andrea Bargnani, Belinelli e Gallinari, solo per citarne alcuni.

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Juventus, breve storia della squadra e della società https://cultura.biografieonline.it/juventus-storia/ https://cultura.biografieonline.it/juventus-storia/#comments Fri, 05 Jul 2019 05:01:04 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26603 Juventus: oltre 100 anni di storia calcistica

La storia della Juventus, l’inizio dell’avventura bianconera, risale al 1° novembre 1897, nel secolo XIX. Un gruppo di giovani del Liceo classico Massimo D’Azeglio di Torino (il più grande all’epoca aveva solo 17 anni) decide di mettere su una squadra di calcio. E’ un gioco che da poco è stato importato dall’Inghilterra.

Storia della Juventus- logo simbolo

Juventus: il nome e i colori bianco e nero

Vista la loro età e la loro estrazione culturale, scelgono un nome latino e la chiamano Juventus (dal latino: gioventù). Il primo presidente è Eugenio Canfari. La prima maglia è di colore rosa. Il primo campionato giocato è datato 1900.

Il “bianconero”, oramai sinonimo a tutti gli effetti di Juventus, arriva nel 1903. Due anni dopo il primo titolo italiano con Alfredo Dick alla presidenza, poi uscito dalla società per andare a fondare il Torino.

A cavallo della Prima guerra mondiale la squadra si fa sempre più forte e nel 1923 arriva un nuovo capitolo con la nomina a presidente di Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat. Questa pietra miliare della storia della Juve viene suggellata con la definizione di un campo proprio della squadra in corso Marsiglia.

Fra il 1930 e il 1935 arrivano titoli nazionali e scudetti fino alle semifinali della Coppa Europa e della Coppa dei Campioni. Arriva ancora un altro successo dopo la Seconda Guerra Mondiale; nel 1947 avviene un fatto cardine: a seguito della morte di Edoardo, in un tragico incidente aereo nel 1936, il figlio Giovanni Agnelli (detto Gianni) prende le redini della società.

Con Gianni Agnelli arrivano gli scudetti del 1950 e del 1952. In questo periodo entra in campo Giampiero Boniperti che segnerà la storia della squadra prima come giocatore e poi, dal 1971, come presidente (succeduto a Umberto Agnelli, fratello di Gianni).

La Juventus negli anni Settanta e Ottanta

Quelli con Boniperti alla presidenza della società sono anni d’oro per i bianconeri: si contano due vittorie in campionato, nove scudetti, la Coppa Uefa nel 1977, la Coppa delle Coppe nel 1984 e una Coppa dei Campioni.

Nella lista di queste vittorie c’è anche quella amarissima del 29 maggio 1985 in concomitanza con la tragedia dell’Heysel, a Bruxelles (in cui morirono 39 persone). I bianconeri volano poi a Tokyo e si laureano Campioni del Mondo.

Questa è la stagione di grandi nomi traghettati nella squadra dal mister Giovanni Trapattoni: Zoff, Scirea, Tardelli, Cabrini, Causio, Gentile e Paolo Rossi, pallone d’oro 1982, Platini, Boniek.

Gli Anni Ottanta si chiudono con una seconda tragedia ovvero la morte per incidente d’auto del campione e, in quel momento braccio destro dell’allenatore Dino Zoff, Gaetano Scirea, passato a miglior via il 3 settembre del 1989, a soli 36 anni.

Un uomo straordinario e un calciatore straordinario. Un esempio di stile e classe sia in campo che fuori. Con lui abbiamo condiviso tanti momenti, in ritiro stavamo sempre nella stessa stanza. […] Sarebbe stato un ottimo allenatore, se ne avesse avuto l’opportunità: sapeva convincere, gli piaceva insegnare. Il calcio di oggi gli sarebbe piaciuto, anche se non era il tipo da rincorrere miraggi di protagonismo. Non sarebbe mai diventato un personaggio da copertina, ma avrebbe saputo farsi ascoltare da tutti.

Dino Zoff, su Gaetano Scirea, nel 2009

La Juventus negli anni Novanta

Accanto a campioni di più lungo rodaggio come Vialli e Baggio a metà degli anni Novanta arriva in squadra Alessandro Del Piero, poi detto “Pinturicchio”. Alex sarà protagonista assoluto di una fase trionfale, segnata negativamente soltanto dalla dipartita di Andrea Fortunato.

La Juventus con lui ottiene la Coppa Italia e la Coppa dei Campioni fino a diventare Campione d’Europa nel 1996. Nel 1997 arrivano Boksic, Vieri, Amoruso, Montero, Zidane e altre nuove vittorie.

Gli anni 2000

Questa è la stagione di Buffon, Thuram, Nedved, Del Piero e Trezeguet che festeggiano il 26esimo scudetto. Intanto, nel 2003, un nuovo lutto colpisce la società: muore Gianni Agnelli. Dopo un anno avviene anche la scomparsa del fratello Umberto.

L’allenatore è Fabio Capello; altri grandi nomi in campo sono quelli di Emerson, Cannavaro, Ibrahimovic: il team ottiene grandi successi in Italia, ma poche soddisfazioni in Europa.

Calciopoli e la serie B

Sul finale della stagione 2005-2006 la società della Juventus – soprattutto la sua dirigenza, tra cui Luciano Moggi – viene coinvolta nel cosiddetto scandalo di “Calciopoli”. Come conseguenza dell’illecito associativo, la squadra si ritrova a giocare per la prima volta nella sua storia in serie B; oltre a ciò subisce 9 punti di penalizzazione e la revoca degli scudetti dei due anni precedenti.

La rinascita della Juventus

Il nuovo allenatore è Didier Deschamps che riparte dai suoi campioni più rappresentativi: Del Piero, Buffon, e Camoranesi, freschi del titolo mondiale conquistato a Berlino, oltre a Trezeguet e Nedved.

Il 2006 è l’anno del tragico incidente a Ferramosca e Neri a cui viene dedicata la vittoria a Bologna e il rientro in A.

Si avvicendano fra alti e bassi gli allenatori Ranieri, Ferrara, Zaccheroni. Fra inciampi e riprese il nuovo capitolo è affidato alla presidenza che torna in “casa Fiat” con Andrea Agnelli (figlio di Umberto). Dopo una fase di assestamento, porta la squadra nuovamente ai vertici.

L’allenatore della rinascita bianconera è Antonio Conte; i grandi nomi in campo sono, fra gli altri, quelli di Vucinic, Vidal e Pirlo. La squadra ha inoltre il suo Juventus Stadium. È una stagione di ripresa (arriva un nuovo scudetto e la Supercoppa italiana) a cui ne segue una da record: terzo tricolore di seguito ottenuto e 102 punti a fine campionato nel 2014.

Possono cambiare gli uomini, possono cambiare i dirigenti, però quello che ha di forte questa società sono i giocatori cui è stata tramandata una voglia di vincere, di primeggiare, che non è pari in nessuna altra squadra.

Gigi Buffon – da: Frasi sulla Juventus
Juventus logo e simbolo

Dal 2015

Con Allegri, arriva il quarto scudetto consecutivo, e la decima Coppa Italia, oltre a un grande successo in Champions League.

Con il cambio squadra e una prima fase di rodaggio, il 2015 regala alla squadra 25 vittorie su 26 partite: la Juventus è Campione d’Italia.

Le vittorie in Italia sono rafforzate dall’arrivo di campioni come Pjanic, Benatia, Dani Alves, Higuain, Pjaca: il sesto scudetto è certezza. Nuovo record, in accoppiata ancora alla Coppia Italia.

Il culto bianconero

L’Allianz Stadium o Juventus Stadium è stato edificato nei primi anni 2000 sul preesistente e demolito Stadio delle Alpi. È ospitato dai quartieri Vallette e Lucento di Torino. Ospita 41.507 spettatori ed è il primo stadio italiano privo di barriere architettoniche.

Accanto allo stadio, per celebrare il mito bianconero, è sorto il J-Museum. All’interno dello spazio espositivo tantissimi visitatori hanno già potuto godere del racconto della storia della Juventus e della nascita della leggenda bianconera, dalla fine dell’Ottocento ad oggi.

Fra le iniziative fuori dal campo la squadra torinese ha istituito il Liceo Juventus: si tratta di un programma innovativo riservato ai ragazzi del Settore Giovanile per mettere insieme la pratica calcistica con la scuola.

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Cassius Clay contro Sonny Liston: la nascita di un mito dello sport https://cultura.biografieonline.it/cassius-clay-sonny-liston/ https://cultura.biografieonline.it/cassius-clay-sonny-liston/#respond Tue, 25 Feb 2014 16:36:59 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9936 È il 25 febbraio 1964 quando Cassius Clay, a soli 22 anni, vince il titolo di campione del mondo dei pesi massimi. Il suo avversario Sonny Liston, campione in carica, all’ottava ripresa, con il volto tumefatto, dice ai suoi collaboratori che non ce la fa più e abbandona.

Cassius Clay contro Sonny Liston
25 febbraio 1964: Cassius Clay sconfigge Sonny Liston e diventa campione del mondo dei pesi massimi a soli 22 anni

Cassius Clay nel mito

La vittoria inaspettata e trionfale mette Clay sul podio dei campioni della boxe e gli permette di entrare nel mito dell’arte nobile. Dopo la vittoria Cassius Clay euforico grida: “ho scosso il mondo“. Poi se ne va, lasciando i suoi compagni a festeggiare una vittoria che entrerà nella storia non solo dello sport.

Clay Liston vittoria
Cassius Clay e il suo staff esultano per la vittoria contro Sonny Liston

La conversione all’Islam

Durante la notte il pugile eccentrico e un po’ pazzo incontra Malcolm X e il giorno dopo, ad una sala gremita di giornalisti, dichiara di essersi convertito all’Islam.

Dopo dieci giorni, il 6 marzo, il suo nome viene cambiato: abbandona il nome di Cassius Clay e diventa Muhammad Alì per volere di Elijah Muhammad, capo spirituale della Nazione dell’Islam e padre spirituale di Malcolm X, organizzazione afroamericana che si ispirava alle leggi dell’Islam.

Malcolm X e Cassius Clay: la vicinanza tra i due era cosa nota
Il leader politico afroamericano Malcolm X

Da quel momento le sue azioni e il suo pensiero influiranno sulla storia dei diritti civili statunitensi e il suo modo di agire avrà un peso completamente diverso. Cassius Clay era considerato, fino ad allora, un pugile di talento ma dal comportamento bizzoso e incontrollabile: spesso era additato come uno sbruffone e un pagliaccio.

Il carisma di un leader

Tuttavia dopo la sua adesione all’Islam e la sua battaglia contro il potere e a favore dei diritti delle persone di colore, l’opinione pubblica ha dovuto ricredersi, spesso dovendo fare i conti con un carisma da leader politico.

Una settimana prima dell’incontro il Miami Herald aveva intervistato il padre di Clay. Egli, preoccupato, aveva descritto il figlio come una vittima dell’organizzazione di Malcolm X. In seguito l’intervista sarebbe stata smentita ma già si era a conoscenza della vicinanza fra i due.

Di fatto l’intervista genera scompiglio e molti tifosi restituiscono i biglietti del match.

Per gli organizzatori è una tragedia e anche gli esponenti della Nazione dell’Islam cercano di non alimentare le polemiche. Ciò perché capiscono l’importanza di quell’incontro e quali possano essere le conseguenze della vittoria di Clay.

Prima dell’incontro la stampa è contro di lui: viene dato perdente, il suo avversario è considerato superiore in tecnica e velocità. Sonny Liston è più anziano ma è quasi imbattibile: figlio di un mezzadro è il tredicesimo di venticinque figli, non sa né leggere né scrivere; la mafia ne gestisce gli incontri ma è una bestia di muscoli e cattiveria e può solo vincere: così pensano in molti. Ma si sbagliano.

Cassius Clay (Muhammad Ali) in piedi e Sonny Liston al tappeto
Una celebre foto che ritrae la cattiveria agonistica di Cassius Clay contro Sonny Liston, al tappeto.

Cassius Clay colpisce duramente, resiste e riattacca fino a quando Liston non ce la fa più e getta la spugna.

È da quel giorno che nasce il mito di Muhammad Ali insieme a un nuovo capitolo della storia americana.

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Perché i vincitori di gare sportive ricevono in premio una coppa? https://cultura.biografieonline.it/vincitori-simboli-coppa/ https://cultura.biografieonline.it/vincitori-simboli-coppa/#respond Sun, 23 Feb 2014 18:26:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9825 Da sempre tutti coloro che partecipano ad una competizione sportiva o ad un torneo, lo fanno per ambire alla conquista del premio, la coppa, la cui eredità nasce da usanze antichissime che si perdono nella notte dei tempi. In quasi tutte le civiltà del mondo, infatti, la coppa è da sempre un oggetto storicamente carico di simbolismi.

Baseball: Italia campione d'Europa nel 2012
La nazionale italiana di baseball campione d’Europa (2012), alza la coppa della vittoria ed esulta

Nella storia della mitologia greca ed in quella romana, così come nella tradizione sociale e religiosa ebraica e cristiana, la coppa viene sempre citata ed appare in tutti i momenti salienti delle cerimonie religiose o sociali e come oggetto di culto nelle cerimonie religiose e nelle offerte agli dei pagani. Inoltre bisogna ricordare che secondo la tradizione religiosa islamica, a tutte le anime beate che giungono in paradiso viene riservata la coppa d’amore. Per tutta la cultura celtica, altro esempio, il nuovo Re incoronato riceveva da una fanciulla vergine una coppa contenente una bevanda magica ed inebriante.

Ma non dobbiamo assolutamente dimenticare una delle leggende religiose più note alla storia, quale quella del “Santo Graal”, la coppa che per la leggenda conteneva il sangue di Cristo e bevendo da essa si poteva acquisire l’immortalità. Quotidianamente lo vediamo usare nella sua copia durante le celebrazioni religiose dai sacerdoti cattolici.

Hockey su ghiaccio (NHL) : Stanley Cup
La Stanley Cup è una delle coppe più ambite nel mondo dell’Hockey su ghiaccio (Lega NHL americana).

Ma cosa dona alla coppa una valenza così importante? I suoi due significati principali più importanti sono quello legato all’abbondanza e quello riferito al suo contenuto, al quale sovente venivano attribuite delle virtù magiche. Arrivando alla storia più recente, la coppa inizia ad assumere un significato sportivo, diventando il premio consegnato alla fine dei tornei e delle manifestazioni.

Champions League, Coppa dei Campioni
La coppa “con le orecchie” della Champions League è il premio più ambito dalle squadre di calcio (club) europee.

La consegna della coppa al vincitore di una gara sportiva, è quindi un riferimento a tutti i simboli citati precedentemente, un modo per simboleggiare il merito e la gloria dell’atleta o alla squadra, più forte di tutti gli altri ed un augurio di prosperità e ricchezza.

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