Perché Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/curiosita/perche/ Canale del sito Biografieonline.it Tue, 05 Nov 2024 12:11:23 +0000 it-IT hourly 1 L’origine dei nomi dei giorni della settimana https://cultura.biografieonline.it/nomi-dei-giorni/ https://cultura.biografieonline.it/nomi-dei-giorni/#comments Mon, 04 Nov 2024 10:18:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3626 I nomi dei giorni della settimana furono applicati dai Babilonesi e derivano dai nomi dei pianeti e del Sole

All’epoca si riteneva che i corpi celesti dominassero la prima ora di ogni giorno.

I Babilonesi erano grandi osservatori del cielo. Notarono che sette corpi celesti erano visibili ad occhio nudo: il Sole, la Luna e i cinque pianeti conosciuti all’epoca: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

L’origine dei nomi dei giorni della settimana ci ricorda come l’uomo, fin dai tempi antichi, abbia cercato di comprendere e spiegare il mondo che lo circondava, creando legami tra i fenomeni celesti e il tempo che scorre.

I nomi dei giorni sono molto più che semplici etichette: sono un ponte tra il passato e il presente, un riflesso delle credenze e delle conoscenze delle antiche civiltà.

Perché sette?

Sette era un numero considerato magico e perfetto in molte culture antiche.

Successivamente, i Babilonesi associarono ciascuno di questi corpi celesti a una divinità, creando così una corrispondenza tra i giorni della settimana e le divinità stesse. Questa usanza si diffuse in altre culture, tra cui quella romana.

I nomi dei giorni della settimana derivano dai pianeti

I nomi dei giorni della settimana

I Romani adottarono questa idea e associarono a ciascun giorno una divinità del loro pantheon.

Così …

  1. lunedì era il giorno in cui dominava la Luna, in latino Lunae dies;
  2. martedì il giorno di Marte, Martis dies;
  3. mercoledì di Mercurio, Mercurii dies;
  4. giovedì di Giove, Iovis dies;
  5. venerdì di Venere, Veneris dies;
  6. sabato di Saturno, Saturni dies, che venne però sostituito, con il propagarsi del Cristianesimo, derivando il nome dal termine ebraico shabbath cioè “giorno di riposo”;
  7. domenica era il giorno del Sole, Solis dies, che venne sostituito da Costantino con “il giorno del Signore” in latino Dominica.

In inglese e francese: esempi

In inglese: Monday (Moon day), Tuesday (Tiw’s day, un dio germanico associato a Marte), Wednesday (Woden’s day, un altro dio germanico associato a Mercurio), ecc.

In francese: Lundi (Lune), Mardi (Mars), Mercredi (Mercure), ecc.

agenda nomi dei giorni

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Energia nucleare: perché è potente e perché è pericolosa? https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/ https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/#comments Wed, 02 Oct 2024 09:20:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42424 L’energia nucleare è una forma di energia potentissima. Tuttavia è una delle fonti energetiche più controverse del nostro tempo. Da un lato, offre incredibili valori di potenza ed efficienza. Dall’altro, comporta rischi altissimi.

In questo articolo, esploreremo perché l’energia nucleare è così potente e al contempo pericolosa.

Energia nucleare - Illustrazione
Energia nucleare – Illustrazione

Premesse storiche

Un chilo di combustibile nucleare (uranio e plutonio) può produrre un’energia pari a 3 milioni di chili di carbone.

Nei reattori nucleari i nuclei dell’uranio vengono bombardati con particelle chiamate neutroni.

Questi rompono il nucleo degli atomi di uranio trasformandoli in nuclei più piccoli: in tal modo si libera un’enorme quantità di energia.

Il primo reattore nucleare fu costruito a Chicago (USA) nel 1942, grazie alle ricerche e agli esperimenti svolti dal fisico italiano Enrico Fermi, che per primo produsse energia nucleare mediante una controllata reazione a catena dell’uranio.

In brevissimo tempo, purtroppo, l’energia nucleare e i suoi studi si rivolsero in direzione degli scopi bellici.

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, le prime bombe atomiche furono scagliate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki: uno degli episodi più tristi e sconcertanti della storia moderna.

Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica
Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica

La reazione nucleare causa, oltre all’energia, l’emissione di radiazioni che oltre una certa soglia diventano mortali per gli esseri viventi.

Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica
Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica

Ecco perché i reattori delle centrali nucleari sono protetti da spessi scudi per impedire la fuoriuscita di radioattività.

Il 27 aprile 1986, in Ucraina, uno dei quattro reattori della centrale di Chernobyl esplose causando un disastro ambientale.

Chernobyl, la centrale nucleare
Chernobyl, la centrale nucleare

Venne sprigionata una radioattività pari a quella della bomba atomica su Hiroshima.

Gli effetti si fecero sentire in tutta Europa – anche in Italia, e riguardarono la salute degli abitanti, i terreni e i raccolti.

L’incidente segnò l’avvio di un aspro dibattito sull’energia nucleare che portò a una maggiore consapevolezza sui rischi, la potenza e la pericolosità del nucleare.

A distanza di anni, nel 2011, a causa di un terremoto seguito da uno tsunami, si verificò un altro disastro: quello della centrale atomica giapponese di Fukushima.

Fukushima
Fukushima

Fatte queste premesse storiche ed essenziali, proviamo a spiegare perché l’energia nucleare sia così potente e così pericolosa.

Perché l’energia nucleare è potente ed efficiente

Come dicevamo essa deriva dalla fissione degli atomi di uranio o plutonio. Questo processo rilascia una quantità di energia enormemente superiore a quella ottenuta dalla combustione di combustibili fossili.

Le centrali nucleari possono funzionare in modo costante, ininterrottamente per mesi, fornendo un’affidabile base di carico per la rete elettrica.

Durante il funzionamento, le centrali nucleari non emettono gas serra, contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico.

Nonostante gli alti costi iniziali, l’energia nucleare può essere economicamente vantaggiosa nel lungo termine grazie ai bassi costi del combustibile.

Perché è pericolosa

Eventi come Chernobyl e Fukushima dimostrano le potenziali conseguenze devastanti di un incidente nucleare.

Le scorie nucleari rimangono radioattive e quindi pericolose per migliaia di anni, ponendo sfide significative per lo stoccaggio a lungo termine.

La tecnologia nucleare può essere utilizzata per scopi militari, aumentando i rischi di proliferazione di armi nucleari.

L’estrazione dell’uranio e la costruzione di centrali nucleari possono avere effetti molto negativi sull’ambiente circostante.

In sintesi

L’energia nucleare rappresenta una fonte di energia potente e a basse emissioni, ma i suoi rischi non possono essere ignorati.

Il futuro dell’energia nucleare dipenderà dalla capacità dell’uomo di bilanciare i benefici con una gestione responsabile dei suoi pericoli.

Il dibattito è costantemente aperto, soprattutto tra politici e ambientalisti, chi a favore e chi contro il nucleare.

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Perché si dice “mettere le corna” o “avere le corna”? https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-mettere-o-avere-le-corna/ https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-mettere-o-avere-le-corna/#comments Wed, 18 Sep 2024 15:49:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7567 Nel linguaggio comune mettere le corna equivale a “tradire il proprio partner”, mentre “avere le corna” è lo stato in cui si trova il poveretto che viene tradito ed è vittima del fedifrago.

Il significato di queste due espressioni è condiviso in alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia.

Qual è l’origine di questi modi di dire per intendere rispettivamente il compiere e il subire adulterio?

mettere le corna, avere le corna
Da dove deriva il modo di dire avere o mettere le corna

Il mito del Minotuaro

L’ipotesi più accreditata risale all’antica civiltà greca.

Si racconta che la moglie del re di Creta Minosse, chiamata Pasifae, si invaghì di un toro dalla rara bellezza che era stato inviato in dono da Poseidone al re per essere sacrificato.

Il re Minosse, accortosi della straordinaria bellezza dell’animale, decise di sacrificarne un altro al suo posto.

Ciò scatenò l’ira di Poseidone, che pensò di vendicarsi.

La vendetta fu di far innamorare Pasifae del toro, tanto da farla impazzire per la passione.

La donna infatti, per potersi congiungere carnalmente con il toro, chiese a Dedalo di costruire una mucca di legno.

Dall’unione tra Pasifae e il toro nacque il Minotauro, famoso personaggio leggendario dell’antica mitologia greca.

Da qual giorno gli abitanti di Creta cominciarono a salutare il re Minosse facendo il segno delle corna per schernirlo del tradimento di sua moglie con il toro.

=> Leggi anche: frasi sul tradimento <=

Il Minotauro in una foto mitologica
Una raffigurazione del mitologico Minotauro

Le corna

Però in genere anticamente le corna non avevano una valenza negativa.

Anzi, le divinità e i personaggi più in vista venivano spesso rappresentati con le corna in testa per evidenziare la virilità e il coraggio.

Per esempio a Roma esisteva la nobile famiglia dei Cornelii.

I poeti latini Tibullo e Orazio dedicarono versi alle “corna d’oro” del Dio Bacco.

Leonardo da Vinci - Bacco - 1510-1515
Leonardo da Vinci, Bacco, 1510-1515

Quando, invece, le corna cominciarono ad assumere il connotato negativo che gli diamo noi oggi?

A partire da quando dire “cornuto” a qualcuno diventa un insulto?

I cornuti

La storia narra di un imperatore bizantino, chiamato Andronico I Comneno, che era un tipo poco raccomandabile, violento e con il vizio delle donne.

L’imperatore non era ben visto né dalla sua famiglia, né dai sudditi, sia perché tramava contro lo stesso impero, sia perché era capace di portarsi a letto qualsiasi donna volesse.

Dal 1183 al 1185 Andronico Comneno conquistò il potere e cominciò ad accanirsi contro i sudditi, soprattutto contro chi lo avversava.

Oltre a fare imprigionare chiunque senza alcuna ragione, l’imperatore rapiva le donne e le manteneva come concubine fino a quando non si stancava.

Poi faceva appendere sui muri delle case dei poveri mariti delle teste di cervi per burlarsi di loro.

Dal 1185 in poi cherata poiein in greco significò “mettere le corna” per indicare lo scherno pubblico subito dai poveri mariti sudditi dell’imperatore Andronico.

Quando i soldati del re  Guglielmo II il Normanno entrarono nella città di Salonicco e videro le corna appese sui muri e le finestre di alcuni palazzi, ne chiesero il motivo.

L’epiteto “cornuto” raggiunse così la terra di Sicilia, poi il resto d’Italia e infine altri Paesi europei.

Dopo la caduta di Salonicco nelle mani dell’esercito siciliano, i sudditi-cornuti di Andronico insorsero contro di lui.

Dopo essere stato catturato e seviziato, l’imperatore venne appeso alla facciata del suo palazzo: una punizione esemplare per le sue nefandezze.

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Perché ci si bacia? https://cultura.biografieonline.it/baci-perche-ci-baciamo/ https://cultura.biografieonline.it/baci-perche-ci-baciamo/#comments Thu, 05 Sep 2024 19:52:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9396 Secondo molteplici ricerche effettuate da ricercatori, i baci e il gesto di baciarsi fa stare bene. Il bacio risulta essere una dimostrazione di affetto, che può rappresentare diverse “gradazioni”: l’amore, l’affetto o la riconciliazione. Anche altre specie animali, come le scimmie, usano tale gesto per esprimere le loro emozioni.

"Bacio davanti all'hotel De Ville" (Le Baiser de l'hotel De Ville), 1950
“Bacio davanti all’hotel De Ville” (Le Baiser de l’hotel De Ville), 1950 : la foto più famosa di Robert Doisneau

Le teorie

Il neurologo e psicoanalista Sigmund Freud è convinto, nelle sue teorie, che baciarsi faccia tornare alla mente il ricordo dell’allattamento al seno materno, un momento di fiducia e di abbandono totale del bambino nei confronti della madre.

Secondo antiche teorie, il bacio può essere collegato al fatto che i bambini, primordialmente, erano soliti assumere cibo pre masticato direttamente dalla bocca di un genitore e siccome tale gesto consisteva nel collegare a pressione le labbra, poteva essere considerato un’antitesi del bacio e, di conseguenza, vissuto come un vero e proprio atto d’amore.

Bacio, baci, baciare, baciarsi

In ogni caso durante l’atto del bacio, entrano in gioco sia la feniletilamina o Pea, una anfetamina naturale che ci fa sentire più disinvolti e a nostro agio e l’ossitocina, un ormone la cui produzione viene sollecitata solo dal tatto.

Il risultato finale è una reazione a catena di eccitazione.

Per tale motivo, baciare è un atto speciale tanto da farci perdere perfino l’appetito ed il sonno. Sintomi che vengono associati frequentemente all’innamoramento.

Durante tale gesto, il sangue si dirige verso la superficie del nostro più grande organo di senso, la pelle, che diviene un vero e proprio ricettore di sensazioni. In sintesi, più baciamo, più vogliamo baciare.

Baci
Baciarsi – Il bacio alla francese trasmette una carica sensuale importante

Secondo molte ricerche effettuate da studiosi, un bacio appassionato può portare ad una maggiore produzione dell’ossitocina attraverso la ghiandola dell’ipofisi e ciò aiuta a preservare il legame e l’attaccamento al proprio partner.

Diversi invece i baci che vengono dati sulle guance che non danno la stessa carica emotiva di quelli dati sulle labbra.

Tra i più rappresentativi ed oggi usati per definire la passione, il bacio alla francese, che trasmette in assoluto la più alta carica sensuale.

Nell’arte

Diversi sono i pittori che hanno interpretato il bacio nei loro dipinti, come Il bacio di Francesco Hayez, Gli Amanti di René Magritte e Il bacio di Gustav Klimt.

Il “Bacio davanti all’hotel De Ville” è la fotografia più nota del grande fotografo francese Robert Doisneau.

L’usanza di baciarsi sotto il vischio a Natale riveste questo gesto di caratteristiche beneaguranti, portatrici di fortuna e amore.

Famosi infine sono i cioccolatini “Baci Perugina” inventati dall’allora proprietaria Luisa Spagnoli: ancora oggi sono famosi per contenere romantiche frasi e bellissimi aforismi sui baci e sull’amore.

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Che cosa significa il motto “festina lente”? https://cultura.biografieonline.it/festina-lente/ https://cultura.biografieonline.it/festina-lente/#comments Wed, 04 Sep 2024 16:44:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3643 “Festina lente” significa “affrettati lentamente” ed unisce due concetti divergenti, velocità e lentezza. La frase è attribuita all’Imperatore Augusto dallo scrittore latino Gaio Svetonio Tranquillo, nel suo testo “Vita di Augusto, 25, 4”; essa sta ad indicare un modo di agire senza indugi, ma con cautela.

Festina lente: il simbolo della tartaruga con la vela
Festina lente: il simbolo della tartaruga con la vela

Un ossimoro

“Festina lente” è un ossimoro, ovvero un accostamento di due termini contraddittori. Questa contraddizione è intenzionale e serve a sottolineare l’importanza di un equilibrio tra velocità e cautela nell’agire.

Oltre il significato letterale

Il significato va oltre la semplice esortazione a fare le cose in fretta ma con calma. Implica la necessità di agire con determinazione ma senza precipitarsi, ponderando bene ogni passo.

Secoli dopo

Nel XVI secolo, Cosimo I de’ Medici, secondo duca di Firenze ed in seguito primo granduca di Toscana, associò questo motto al simbolo di una tartaruga con la vela, facendone l’emblema della sua flotta.

La tartaruga, caratterizzata dall’estrema lentezza, simboleggia la prudenza.

La vela, che spinge la nave gonfiata dal vento, simboleggia l’azione.

All’interno del Palazzo Vecchio a Firenze, su soffitti e pavimenti, sono presenti molte raffigurazioni di questo emblema.

Anche il celebre stampatore veneziano Aldo Manuzio scelse questo motto, sottolineando così la sua attenzione alla qualità e alla precisione nella produzione dei suoi libri.

L’uso contemporaneo di “Festina lente” oggi, fa di questo motto un’espressione ancora attuale e viene utilizzato in diversi ambiti, dallo sport alla politica, per sottolineare l’importanza di un approccio equilibrato e ponderato.

Il bisogno di equilibrare fretta e cautela è una necessità umana universale, che trascende epoche e culture.

In un mondo sempre più frenetico, “festina lente” ci ricorda l’importanza di pianificare le nostre azioni e di non lasciarci trasportare dall’impazienza.

Questo motto ci invita a concentrarci sulla qualità dei nostri risultati piuttosto che sulla velocità con cui li otteniamo.

Altre curiosità

Il brand di orologi Festina trae il nome proprio da questo motto, sottolineando la sua filosofia di coniugare precisione e stile.

L’immagine della tartaruga con la vela è stata ripresa e reinterpretata da numerosi artisti nel corso dei secoli, diventando un’icona dell’arte e della cultura occidentale.

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Piantare in asso: perché si dice così? (ci sono diverse cose curiose) https://cultura.biografieonline.it/piantare-in-asso/ https://cultura.biografieonline.it/piantare-in-asso/#comments Wed, 24 Jul 2024 08:11:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21244 Vi siete mai chiesti da dove deriva il modo di dire piantare in asso? Il primo pensiero e la prima associazione figurativa – probabilmente – rimanda alla carta da gioco tanto cara al poker, l’asso. Ma potrebbe non centrare nulla. Vediamo perché. Innanzitutto ricordiamo che chi viene piantato in asso è una persona solitamente lasciata a sé stessa, da un momento all’altro. Il significato del detto – o del modo di dire – è proprio quello dell’abbandono senza preavviso.

L’asso

Secondo il Dizionario etimologico della Lingua italiana (di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, 1999), il detto in esame va probabilmente ricondotto al gioco delle carte o dei dadi. In questo contesto l’asso è interpretato come la carta di valore 1, e il significato del modo di dire “piantare in asso” è quello di “realizzare il punto più basso”.

Si trova un’analoga spiegazione anche nel Vocabolario etimologico della lingua italiana (di Ottorino Pianigiani, 1907). Secondo questa interpretazione l’asso viene lasciato – abbandonato inaspettatamente, magari in modo brusco – in quanto costituisce il punto peggiore possibile nel gioco. A sostegno di questa tesi vi è anche il detto tedesco “im Stich lassen” (lasciare in punto), la cui frase e concetto sono equivalenti.

Piantare in asso o piantare in Nasso: etimologia

In realtà “piantare in asso” è la forma errata (alterazione linguistica) di “piantare in Nasso”, che si presume si sia modificata nel tempo. Stiamo parlando di tempo immemore, in quanto la correlazione all’isola di Nasso ci catapulta indietro fino alla mitologia greca.

La leggenda di Arianna – celebre per avere suggerito a Teseo di entrare nel labirinto del Minotauro dipanando un filo – termina con il suo abbandono sull’isola di Nasso. Ad abbandonarla – o… piantarla – fu proprio l’amato Teseo, con cui inizialmente fuggì e di cui si innamorò. Esistono diverse versioni sulle motivazioni dell’abbandono; vedasi: L’abbandono di Arianna.

Arianna a Nasso – Piantare in asso
Arianna a Nasso (opera di Evelyn De Morgan, 1877)

Nell’italiano colloquiale il toponimo esotico Nasso si sarebbe trasformato in un più comune asso. Troviamo richiami a questa tesi anche in diversi libri di Luciano De Crescenzo: “Le donne sono diverse” (1999), “I grandi miti greci” (1999) e “Ulisse era un fico” (2010).

In lingua italiana si può definire piantare in asso come polirematica: si tratta di una unità sintattica significativa autonoma (o sintagma). La locuzione pertanto assume un significato autonomo rispetto ai singoli termini che costituiscono il modo di dire.

Come lo dicono gli altri

Oltre al già citato tedesco, è curioso vedere come anche le altre lingue esprimono lo stesso concetto. In inglese: leaving somebody in the lurch (oppure leave somebody stranded). In francese: laisser quelqu’un tomber. In spagnolo: dejar a alguien en la estacada.

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Canta che ti passa: da dove deriva il modo di dire? https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-canta-che-ti-passa/ https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-canta-che-ti-passa/#respond Fri, 26 Apr 2024 15:05:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1740 Il modo di dire “canta che ti passa” pare che derivi da un incisione fatta su una trincea durante la Prima Guerra Mondiale da un soldato sconosciuto.

Piero Jahier

Piero Jahier, scrittore e poeta italiano nato nel 1884 e arruolato nel 1916 come volontario negli Alpini con il grado di sottotenente, lo cita nell’epigrafe della sua raccolta di Canti di soldato pubblicata nel 1919, che si ispira al periodo passato in trincea.

Nella raccolta, firmata con lo pseudonimo di Pietro Barba, Jahier parla del “buon consiglio che un fante compagno aveva graffiato nella parete della dolina: canta che ti passa”. Un modo di dire ai giorni nostri molto diffuso per invitare a superare con il canto le preoccupazioni che la vita quotidianamente presenta.

Tra l’altro è noto che nel Corpo militare degli Alpini vi sia una lunga tradizione di canti.

Il canto nell’antichità

La forza del canto è nota sin dall’antichità: Orfeo, figura della mitologia greca, con il suono della sua lira e del suo canto, ammansiva le bestie feroci, dava vita alle rocce e agli elementi della natura, resisteva alla forza seduttrice delle sirene.

Canta che ti passa
Incisione dell’artista Virgilius Solis raffigurante Orfeo – 16° secolo

Anche un verso del poeta e scrittore italiano Francesco Petrarca cita:

Perché cantando il duol si disacerba
(Canzoniere, XXIII, 4)

Cosa dice la scienza

Oggi, la scienza conferma quanto già intuito in passato: il canto ha effetti positivi sul corpo e sulla mente.

Riduce lo stress, l’ansia e la tensione, abbassa la pressione sanguigna e rinforza il sistema immunitario.

Inoltre, stimola la produzione di endorfine, le “molecole della felicità”, migliorando l’umore e il senso di benessere.

cantare in cucina - canta che ti passa

Quindi, la prossima volta che ti senti giù, prova a cantare! Potresti sorprenderti di quanto ti faccia bene.

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Mayday: perché per segnalare un’avaria si usa questa parola https://cultura.biografieonline.it/mayday/ https://cultura.biografieonline.it/mayday/#comments Wed, 27 Mar 2024 07:49:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=684 La parola Mayday non ha nulla a che vedere con la traduzione di Primo Maggio, Festa dei Lavoratori che si festeggia nella maggior parte dei paesi del mondo. Il segnale internazionale di richiesta di aiuto deriva dal francese venez m’aider!” (venite ad aiutarmi).

Mayday
Mayday Mayday

L’utilizzo di questo termine è attribuito a Frederick Stanley Mockford, addetto alle comunicazioni radio impiegato nell’aeroporto di Croydon (Londra) che nel 1923 riceve l’incarico di trovare una parola facile e riconoscibile da ogni nazione, da utilizzare in caso di richiesta d’aiuto.

In quegli anni la maggior parte del traffico aereo avviene tra Croydon e l’aeroporto parigino Le Bourget; propone quindi l’espressione mayday che è una deformazione anglofona dell’espressione francese “m’aider”.

Tale espressione è ufficialmente utilizzata dal 1927.

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Perché rompere uno specchio porta sfortuna? https://cultura.biografieonline.it/sfortuna-specchi-rotti/ https://cultura.biografieonline.it/sfortuna-specchi-rotti/#comments Sun, 03 Mar 2024 08:22:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9549 Secondo un’antica credenza che risale ai tempi degli antichi Romani, rompere uno specchio porta decisamente sfortuna. E causa ben sette anni di disgrazie. Secondo gli antichi Romani, infatti, rompere uno specchio era sinonimo di salute spezzata. Ci volevano ben setti anni prima di tornare sani come si era quando lo specchio era intatto.

Uno specchio rotto
Si dice che quando si rompono gli specchi si devono attendere sette anni di guai

Storicamente, già ai tempi dell’uomo preistorico, era in voga specchiarsi. L’uomo vedeva la propria immagine riflessa nell’acqua di un lago o di uno stagno e credeva che quel riflesso rappresentasse un’altra persona come lui.

Prima dell’invenzione dello specchio infatti, si presumeva che ogni superficie riflettente fosse caratterizzata da proprietà magiche. Qualsiasi disturbo o interruzione del riflesso poteva portare o causare un imminente pericolo per la propria salute o disgrazia.

La nascita degli specchi

Con la nascita dello specchio poi, tale credenza venne maggiormente rafforzata. Poiché si pensava che nel caso la propria immagine venisse distorta e spezzata nei frammenti di uno specchio rotto, era molto più probabile avere conseguenze e ricadute negative che avrebbero colpito la persona maldestra.

Inoltre, secondo la credenza di quel tempo, i riflessi erano intesi e visti come una propagazione della nostra anima.

Quindi rompere la propria anima sarebbe stato decisamente segno di sventura.

Specchi, oggetti preziosi

Oltre alle varie credenze, c’era da considerare il fatto che lo specchio era un oggetto molto prezioso e costoso, per cui rimpiazzarlo voleva dire affrontare una grande spesa economica. Secondo alcune fonti antiche di quei tempi, nella Repubblica Veneziana furono emesse delle sanzioni pecuniarie a carico del proprietario che rompeva oggetti preziosi come gli specchi, questo per obbligare a recuperare lo strato argenteo e consegnarlo prontamente alle fonderie del Doge.

Specchi rotti - rompere uno specchio
Uno specchio rotto

In ultimo non bisogna dimenticare che lo specchio era spesso legato alla superbia, uno dei sette peccati capitali.

La superbia è sinonimo di malvagità e nella rottura dello specchio era visto il trasferirsi di tale condizione in colui che lo rompeva.

Rompere uno specchio e riparare lo sventurato danno

Per scongiurare i guai, causati dalla rottura di uno specchio, esistevano diversi modi.

Tra questi: mettere i frammenti dello specchio in una bacinella con una pietra trasparente per sette giorni. Dopodiché buttare il tutto, tranne le pietre preziose.

Oppure immergere i frammenti dello specchio in un corso d’acqua dolce corrente. Meglio se una sorgente.

Se il tema ti ispira, puoi leggere un nutrito elenco di frasi sui guai.

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Fare le cose alla carlona: cosa vuol dire e perché si dice? https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/ https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/#comments Mon, 15 Jan 2024 14:36:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9310 Con il detto fare le cose alla carlona, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.

Le origini del detto

L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone.

Egli viene rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che ama indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.

Carlo Magno - fare le cose alla carlona
Carlo Magno : il modo di dire “fare le cose alla carlona” deriva dal suo nome

Lo stile dell’Imperatore

Si racconta che anche quando l’Imperatore Carlo Magno doveva essere ritratto, indossava sempre vestiti non alla portata del suo rango, usando uno stile non consono ad un Imperatore, bensì uno stile più vicino a quello di un plebeo.

Leggenda: la battuta di caccia

La leggenda narra che ad una battuta di caccia, l’Imperatore Carlo Magno, si presentò tra lo stupore generale dei partecipanti, che indossavano per l’occasione abiti da caccia e sfarzosi, con un abito dimesso, fatto di ruvida stoffa indossata solitamente dai contadini.

L’Imperatore, accortosi dello stupore dei presenti, disse a quel punto che il suo abbigliamento un po’ rozzo non era casuale, serviva alla bisogna.

Di lì a poco, si scatenò un violento temporale e Carlo Magno fu l’unico a passare indenne alla tempesta. Gli eleganti cacciatori si inzupparono, rovinando i loro abiti preziosi, ridotti alla fine in un pessimo stato.

A questo punto l’Imperatore fece notare ai partecipanti alla battuta di caccia, di essere totalmente asciutto grazie ai suoi abiti umili e di stoffa grezza.

Da quel giorno in poi, si cominciò ad usare il modo di dire: essere vestiti alla carlona.

Il significato oggi

Il termine indica inoltre altri concetti simili:

  • fare le cose in modo veloce, sbrigativo e alla meno peggio possibile;
  • fare qualcosa senza curarne i dettagli;
  • essere una persona alla buona (“quello è un tipo alla carlona”)

Ed infine può significare anche essere troppo ingenui.

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