La Pentecoste, di Alessandro Manzoni

La “Pentecoste” di Alessandro Manzoni è considerato il più bello degli Inni Sacri. Fu iniziato nel 1817 e completato nel 1822. La Pentecoste è la festa che celebra la chiesa nel cinquantesimo giorno dopo la Resurrezione di Cristo. L’Inno di Manzoni si divide in tre parti.

Manzoni Pentecoste
La Pentecoste è considerato il componimento più bello degli Inni Sacri

Nella prima parte il Manzoni rappresenta il vero religioso, costituito dall’ascesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e dalla missione che ha la Chiesa militante di trasformare gli uomini e di fondare la nuova società cristiana.

Nella seconda parte l’autore rappresenta il vero storico, ossia gli effetti umani e terreni della discesa dello Spirito Santo, che si riassumono nella nascita di una società nuova, fondata sulla libertà, sulla giustizia, sull’uguaglianza, sulla solidarietà umana e sulla pace della coscienza.

Nella terza parte, invece, il Manzoni rappresenta il vero psicologico mediante la preghiera corale innalzata dai fedeli allo Spirito Santo, perché continui ad operare, concedendo i suoi doni agli uomini in genere, indipendentemente dalla condizione spirituale e sociale e dall’età, dalla nascita alla morte.

La Pentecoste: testo completo

Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;

Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?

E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;

Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,

Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.

Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.

* * *

Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,

Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.

Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?

Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.

* * *

O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,

Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.

Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;

Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.

Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.

Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.

Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.

Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante
Di chi sperando muor.

Parafrasi della Prima parte

(vv. 1-48) Il poeta si rivolge alla Chiesa e rievoca i giorni passati nell’umiltà e nella paura, che precedono l’ascesa dello Spirito Santo e poi quelli immediatamente successivi, quando uscì dal suo nascondiglio e si sparse per il mondo per convertirlo alla nuova religione.

Madre dei Santi, Manzoni dice alla Chiesa, cioè ispiratrice di virtù che rendono santi i cristiani, immagine, prefigurazione sulla terra della chiesa trionfale del Paradiso, depositaria, nell’Eucarestia, del sangue di Cristo, tu che da tanti secoli sopporti le persecuzioni, combatti per la difesa della fede e preghi per la salvezza degli uomini, tu che come un esercito vittorioso ti accampi, ti diffondi in ogni parte della terra, campo di battaglia, contro le passioni, di quelli che sperano nella vittoria sul peccato e sulla morte e hanno fede nel premio celeste, tu, o Chiesa, che sei la comunità nella quale Dio è sempre vivo e presente, in quale luogo eri mai, quale nascondiglio ti riparava sul tuo primo nascere nei tre momenti della Passione di Cristo? E nel momento della Crocifissione, quando Egli fu tratto da uomini crudeli a morire sul monte Calvario e arrossò col suo sangue le zolle, il terreno in cui fu piantata la croce, che fu il suo sublime altare; e nel momento della Resurrezione, quando, tre giorni dopo, il corpo divino di Cristo, uscito dalle tenebre della morte, emise il potente respiro della seconda vita; e nel momento dell’ascensione al cielo, quando dopo quaranta giorni dalla Resurrezione, portando con sé i meriti della sua dolorosa Passione come prezzo, per placare l’ira di Dio contro il peccato dell’uomo e ottenere da Lui il perdono e la redenzione degli uomini, dalla polvere della terra salì al trono di Dio-padre.

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In questi tre momenti, tu, o Chiesa, che fosti compagna delle sue sofferenze, che fosti consapevole dei suoi misteri, ossia della sua natura divina, tu che eri figlia della sua vittoria sul peccato, dove eri mai? Vivevi tutta raccolta tra le mura nascoste di una casa, desta solo per il terrore delle persecuzioni, tranquilla solo nell’essere dimenticata, fino al giorno di Pentecoste, quando, dopo cinquanta giorni dalla Resurrezione di Cristo, lo Spirito Santo, deciso a rinnovellare la vita sulla terra, discese sopra di te e ti consegnò la fiaccola inestinguibile della nuova fede, quando ti collocò sul monte come faro di luce, cioè come maestra di verità ai popoli, e sulle labbra degli Apostoli operò il miracolo della polilalia, ovvero della predicazione fatta nella loro lingua, che veniva intesa da ciascun popolo come se fosse la propria lingua.

Per spiegare questo miracolo il Manzoni ricorre a una similitudine. Come la luce, egli dice, pur essendo una in sé, quando scende dall’alto e si posa sugli oggetti, prende colori diversi, secondo la diversa attitudine degli oggetti a riflettere i raggi luminosi, “tal”, ossia proprio come la luce, la lingua parlata dagli Apostoli, una in sé, fu compresa dagli ascoltatori delle varie nazioni, come se fosse la propria lingua nativa.

Parafrasi della Seconda parte

(vv. 49-80) Il poeta immagina di essere presente ai primi tempi della predicazione apostolica e invita i pagani idolatri a volgere lo sguardo a Gerusalemme, da dove si irradia la nuova predicazione: la terra (gli uomini), il Manzoni dice, stanca della devozione agli dei pagani, vile, perché prestata a divinità false e bugiarde, ritorni in Lui, cioè al culto del vero Dio: e voi, che date inizio alla prima generazione dell’era cristiana, o spose, che vi svegliate nel sonno per l’improvviso movimento di una nuova creatura nel vostro grembo, voi, o spose, che state per partorire e liberare dal dolore il grembo dal peso in esso nascosto, non rivolgete la preghiera propiziatoria a Giunone Lucina, la falsa dea pagana, protettrice dei matrimoni e delle nascite, perché la creatura che sta nel vostro grembo è destinata al culto del vero Dio, che è il Santo per eccellenza.

La schiava, baciando i suoi bambini, non ha più motivi di sospirare di tristezza, pensando alla loro futura condizione di schiavi, né ha più motivo di guardare con invidia il seno delle madri che nutre i figli liberi, perché Dio non solo solleva al suo regno celeste i miseri, per compensare le ingiustizie patite sulla terra, ma anche su questa terra farà sorgere il regno della libertà e della giustizia per i benefici della Redenzione estesi a tutti i discendenti di Eva, a tutti gli uomini quindi, senza distinzione di razza, di classe, di privilegi, essendo tutti fratelli e uguali a Dio.

Il Manzoni delinea, a questo punto, il nuovo spirito dell’era cristiana: la nuova religione annunzia una nuova libertà, quella dell’anima dalla schiavitù del peccato, e gente nuova, rinnovata spiritualmente dalla nuova fede; nuove vittorie e nuova gloria ottenute in più nobili lotte, come quelle dello spirito contro il male, e una nuova pace interiore, quella della coscienza, che resiste come roccia alle minacce e agli allettamenti fallaci di chi vuole indurre al peccato, una pace, che il mondo può anche schernire, per ignoranza, perché non ne comprende la grandezza e il valore, ma che non può strappare in nessun modo.

Parafrasi della Terza parte

(vv. 81-fine) O Spirito Santo, dicono in coro i fedeli, sia che noi riuniti in comunità civili e organizzate, ci prostriamo in preghiera davanti ai tuoi altari oggi parati a festa per la solenne ricorrenza, sia che viviamo in contrade aspre e selvagge, lontane dal consorzio civile, o erriamo per le vaste solitudini dei mari, in qualunque parte del mondo viviamo, dalle Ande gelide per le nevi perenni al Libano, dall’Irlanda all’isola montuosa di Haiti, disseminati su tutti i lidi della terra, ma uniti nei sentimenti per tuo merito, noi ti preghiamo!

Discendi ancora come Spirito placabile, benigno verso coloro che credono in te, e benigno anche verso i miscredenti, scendi e rinnova in questi la vita spirituale, e Dio stesso, vincitore dei miscredenti, si dia come premio eterno ai vinti dalla sua grazia.

Discendi come Amore divino. Spegni negli uomini le ire scatenate dalla superbia. Ispira pensieri di bene, ricordando i quali, in punto di morte, l’uomo non li rifiuta, ma anzi se ne compiace; la tua grazia benefica alimenti di continuo i tuoi doni, come fa il sole, che fa sbocciare il fiore dal germe lento ad aprirsi, il quale fiore poi appassirà, confuso tra le erbe basse, né più si solleverà con gli splendidi colori della corolla dischiusa, se, diffusa nell’aria, non tornerà di continuo a sostenerlo quella luce temperata, che dà la vita e infaticabilmente l’alimenta.

Noi ti preghiamo. Nell’animo stanco, fiaccato dal dolore, dell’infelice, scendi come un leggero soffio di gioia, come una ventata di consolazione. Scendi invece come bufera, come vento impetuoso e sconvolgente, nell’animo del violento, gonfio di superbia e d’ira, e ispira in lui uno sgomento, che lo induca a ravvedersi e ad essere amorevole e pietoso verso il prossimo.

Per la tua azione il povero alzi gli occhi al cielo, che gli appartiene di diritto, per la promessa del Signore, cambi in gioia i suoi lamenti, pensando che somiglia a Cristo, che sulla terra visse povero e sofferente come lui; colui che dalla sorte ebbe beni in abbondanza, aiuti i bisognosi amichevolmente, senza ostentazione, con quel silenzio pudico, rispettoso, fraterno, che rende gradito il dono.

Ora la preghiera si rivolge allo Spirito Santo, perché assista gli uomini di ogni età. Concedi ai bambini la gioia di vivere, che si manifesta nel loro sorriso indescrivibile per la sua straordinaria bellezza; diffondi sulle guance delle fanciulle il rossore del pudore, concedi alle suore, chiuse nella pace dei chiostri, le intime gioie spirituali sconosciute al mondo; rendi sacro l’amore pudico delle spose. Modera l’indole, che troppo confida in sé, dei giovani arditi e generosi; dirigi i pensieri degli adulti verso mete buone e giuste; rendi bella la vecchiaia, ispirando desideri sereni e puri; risplendi nello sguardo fievole di chi muore, sperando nella misericordia di Dio.

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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