La luce e gli impianti fotovoltaici: come funzionano?

La radiazione solare consente la vita sulla Terra, fornendo l’energia necessaria al suo mantenimento e regolando, inoltre, la gran parte dei fenomeni meteorologici e il clima.

La luce e gli impianti fotovoltaici - I pannelli solari
Pannelli solari

La necessità di ottemperare ad un sempre più oppressivo fabbisogno energetico, accompagnata ad una progressiva sensibilizzazione alle tematiche ambientaliste, hanno indotto l’uomo a voler sfruttare questa grande risorsa donata dalla nostra stella, il sole, per produrre corrente elettrica. Gli impianti fotovoltaici sono costituiti essenzialmente da una serie di pannelli recanti sulla propria superficie moltissime celle fotovoltaiche.

Il materiale più utilizzato per la realizzazione di questi dispositivi è il Silicio.

Il silicio negli impianti fotovoltaici e nelle celle fotovoltaiche

Il silicio è un semiconduttore, ossia gli elettroni di valenza (che si trovano sull’orbitale più esterno e gli unici a formare legami atomici) non sono eccessivamente mobili, come accade nei materiali conduttori, né tantomeno bloccati, come avviene nei materiali isolanti, nella cosiddetta “banda di valenza”.

Nell’atomo di silicio, la quantità di energia necessaria ad accelerare gli elettroni della banda di valenza è molto piccola, pertanto le particelle in questione possono passare nella banda di conduzione solo nel caso di assorbimento d’energia proveniente dall’esterno, come quella fornita dalla radiazione solare che, attraverso l’effetto fotoelettrico, è in grado di trasformare un materiale semiconduttore come il silicio, in un materiale conduttore.

Gli elettroni, una volta scalzati dalla loro banda di valenza, vengono convogliati in apposite griglie metalliche incastonate sulla superficie del pannello, generando corrente elettrica continua, che per poter essere utilizzata necessita di essere alternata nell’apposito inverter che ha la funzione di rendere la corrente fruibile con la frequenza di utenza (50Hz).

La luce: onda o particella?

Prima di sviluppare il principio secondo cui è possibile produrre corrente elettrica dalle onde luminose, non è possibile, a questo punto, evitare le domande: “Che cos’è la luce?“, “Di cosa è composta?”.

Il sole
Il sole

L’esperienza quotidiana ci suggerisce che la luce si propaga in linea retta; si pensi, ad esempio, ad un raggio luminoso che penetra in una stanza buia attraverso una fenditura nel muro. Dall’osservazione notiamo, infatti, che il raggio è rettilineo, mentre se prendessimo uno specchio per deviarne la direzione, noteremmo anche in questo caso un andamento rettilineo, poiché l’angolo di incidenza del raggio luminoso sulla superficie è uguale a quello di riflessione.

A partire dalla metà del Seicento, le teorie fisiche sui fenomeni luminosi erano diverse, pertanto, sono stati necessari ben due secoli per dimostrare l’effettiva natura della luce, ponendo in tal modo fine a molte delle controversie.

Le teorie della luce

Il dibattito era incentrato su due modelli postulati negli stessi anni che, descrivendo perfettamente alcuni fenomeni propri della luce anche se in maniera differente, non sembravano trovare un punto di incontro, quindi una svolta.

Il modello corpuscolare descriveva la luce come un flusso di particelle microscopiche (i cosiddetti corpuscoli), emessi in forma CONTINUA da opportune sorgenti luminose. Si trattava di flussi rettilinei e in grado di attraversare alcune superfici (quelle trasparenti) mentre “rimbalzavano” sui materiali opachi alla luce, tanto da impedirne l’attraversamento.

Il modello ondulatorio, d’altra parte, descriveva la luce come un’onda la cui propagazione avveniva in maniera analoga alle onde elastiche (come quelle che diffondono un sisma dal proprio punto di origine).

La luce è intesa quindi come trasferimento di energia e non di materia (corpuscoli), tanto da essere definita “energia radiante“.

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Isaac Newton
Isaac Newton

Newton e Huygens

Tra i sostenitori della teoria corpuscolare vi era Isaac Newton (1642-1727), secondo cui i fenomeni luminosi si riducono ad un mero movimento di particelle con le proprietà di qualsiasi punto materiale (si pensi al moto delle biglie sul tappetino del tavolo da biliardo) che, urtando la retina dell’occhio, stimolano il senso della vista.

Christiaan Huygens
Christiaan Huygens

Il modello ondulatorio fu sostenuto da Christiaan Huygens (1629-1695), uno scienziato olandese contemporaneo a Newton, il quale descriveva la luce non più come flusso di particelle interagenti grazie a continui urti, bensì come onde circolari.

Per comprendere il fenomeno si pensi, ad esempio, ad un sasso che precipita in un pozzo: le onde circolari che si sollevano ritmicamente sulla superficie dell’acqua, propagandosi in direzione radiale, si allontanano dalla sorgente.

La svolta: la teoria dei quanti

Le varie teorie descritte risultavano complementari per molti aspetti; mentre un modello riusciva a descrivere un fenomeno, l’altro ne approfondiva altri versanti.

Max Planck (1858-1947) avanzò una ipotesi rivoluzionaria, secondo cui l’energia radiante, precedentemente introdotta, non veniva emessa in forma continua, ma per piccolissime quantità fisiche (discontinue), dette quanti.

L’energia associata a un quanto con frequenza ν è pari a E = hν, dove h è la costante di Planck, pari a 6.625x Js.

Per capire la differenza tra emissione continua ed emissione discontinua, si può pensare ad un particolare molto comune nella vita di ogni giorno: il rubinetto aperto di un lavandino fornisce acqua in maniera continua mentre le bottiglie forniscono, invece, acqua per quantità discrete pari al volume della bottiglia stessa.

Il concetto di quantizzazione può essere descritto da un altro esempio altrettanto comune: una palla può rotolare verso il basso o su un piano inclinato oppure rimbalzare lungo una scala. Nel primo caso la sfera ha un moto continuo, mentre nel secondo, gradino dopo gradino, ha un moto discontinuo, cioè avviene per salti in cui ogni scalino rappresenta un quanto di energia.

Max Planck
Max Planck

L’effetto fotoelettrico: produrre corrente elettrica dalla luce

Ai tempi di Planck, si conosceva già da tempo il fenomeno secondo cui sottoponendo una lamina di metallo ad una certa radiazione luminosa di determinata frequenza, essa si caricava elettricamente con carica positiva, quindi emetteva elettroni, cioè corrente elettrica (opportunamente rilevabile da strumenti come il Galvanometro, nome che deriva dal nome di Luigi Galvani).

Gli elettroni sono trattenuti all’interno del metallo da una certa energia, quindi per espellerli è necessario investire la lamina metallica da una radiazione luminosa avente energia E = hν, pari all’energia che trattiene le particelle all’interno del materiale.

Per comprendere meglio il fenomeno, si immagini di dover calciare un pallone oltre una staccionata: se l’energia impressa al corpo è troppo bassa, l’oggetto colpirà l’ostacolo e tornerà indietro, ma se il bersaglio venisse colpito con la forza necessaria, solo a quel punto, il pallone riuscirebbe a superare la barriera.

Nell’effetto fotoelettrico, l’energia necessaria E è proporzionale alla frequenza della radiazione luminosa incidente la lamina; se si supera la frequenza critica di radiazione (propria del materiale colpito dalla luce), si raggiunge la condizione sufficiente per cui si riesce a “scalzare” gli elettroni dalla lamina e quindi produrre corrente elettrica (su vasta scala).

Albert Einstein
Albert Einstein

Einstein e i fotoni

Queste osservazioni indussero Einstein a confermare l’ipotesi secondo cui la luce fosse sia un’onda elettromagnetica (descritta dalle equazioni di Maxwell) ma che avesse anche una natura corpuscolare. Solo le particelle cariche di energia, infatti, sarebbero in grado non solo di spostare altre particelle (in questo caso elettroni), ma di impartire ad esse una accelerazione tanto maggiore quanto più intensa è la radiazione.

A queste particelle di luce venne dato il nome di fotoni e la scoperta dell’effetto fotoelettrico (principio alla base dei comuni impianti fotovoltaici) valse ad Einstein il premio Nobel del 1921.

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Antonio Moretto

Antonio Moretto nasce il 18 Luglio del 1990 e attualmente vive ad Oria. Conseguita la laurea in "‘Ingegneria Industriale"’ presso l'Università del Salento con la tesi dal titolo "‘Prestazioni del motore Wankel al variare delle caratteristiche geometriche e costruttive"’, si appresta a conseguire la laurea specialistica in Ingegneria Meccanica presso il medesimo ateneo salentino, congiungendo l’esito finale della passione personale per la scienza e la tecnologia al raggiungimento della qualifica di ingegnere meccanico.

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